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Cavallo




Sebbene sia un animale di più recente domesticazione
rispetto ad altri, in quanto difficile da domare, il cavallo
comincia a vivere con l’uomo fin da tempi antichissimi, già
prima della metà del II millennio a.C. Si dimostra sempre
molto utile: offre cibo, serve per il trasporto, nei lavori
agricoli, nelle gare; viene impiegato in guerra. Plinio
sostiene – pare con qualche fondamento scientifico (cfr.
Pugliarello 1973, 32) – che i cavalli sono stati importati in
Grecia, perché non si trovano in letteratura riferimenti a
cavalli selvaggi (Naturalis historia 27,45). Dotato della
capacità di percepire il futuro (Tacito, Germania 10),
venerato presso vari popoli (ad esempio in Persia: cfr.
Erodoto 3,84 s.; 7,40), stimato per la grande intelligenza
(ancora Plinio: 8,159), sacro a Poseidone, che l’ha creato
(Virgilio, Georgiche 1,10), questo animale è posto in
relazione, nell’ambito di alcune cerimonie a Roma, anche
con Marte e con Conso, antica divinità latina, probabilmente
legata alla vegetazione (cfr. Maspero 82). È animale
sacrificale (presso vari popoli asiatici, indoeuropei e
mediterranei i cavalli venivano immolati ai padroni defunti;
Achille sacrifica sulla pira di Patroclo quattro cavalli: cfr.
Iliade 23,171 s.). Possedere un cavallo nell’antichità è
sinonimo di ricchezza; peraltro, il ruolo strategico nella
guerra fa in modo che la sua immagine sia associata a nobili,
eroi e re (si pensi al rapporto di Ettore con i suoi quattro
cavalli: cfr. Iliade 8,184 ss.; o a Enea che parla dei suoi nobili
destrieri: cfr. Eneide 20,219 ss.). Da Cesare al folle Caligola,
è noto lo stretto rapporto di affetto che lega alcuni dei più
noti personaggi della storia romana con i loro cavalli. In
generale, il simbolismo dell’animale è solare e lunare
insieme (cfr. Cooper 85). Nel mito, oltre al ligneo cavallo di
Troia, emblema per antonomasia dell’inganno, troviamo i
cavalli impegnati a guidare il cocchio del Sole; il cavallo
(alato) più noto è forse Pegaso, che venne catturato da
Bellerofonte, a cui la dea Atena mostrò come domarlo per
uccidere la Chimera. In genere, il cavallo pare orgoglioso
della propria bellezza e va quindi a simboleggiare la moglie e
l’amante (Artemidoro, Sull’interpretazione dei sogni 1,56).
Curiosamente, il primo esempio animale parlante nella
letteratura occidentale, è quello di Xanto, il cavallo che fa
una profezia al suo padrone Achille (Iliade 19,392 ss.).
Poiché la favolistica è un genere letterario umile, agli
antipodi dell’epica, il cavallo compare in un numero
relativamente limitato di favole, pur essendo, come si è
rilevato, uno degli animali con cui l’uomo ha una più
consolidata consuetudine. La domesticazione non è
considerata in modo positivo: la sua alleanza con l’uomo
contro il cinghiale diventa sinonimo di schiavitù (Esopo 349
Ch.). È naturale che nel mondo esopico l’animale, non
sempre connotato da un’immagine positiva e raramente in
grado di riscuotere simpatia, conservi il suo legame con la
guerra (Esopo 242 e 268 Ch.) e la sua nobiltà come ad
esempio viene sottolineato in Fedro (App. 19 [21]), che
presenta un cavallo da corsa venduto a un mulino. Si tratta
di una variante di una fortunata favola: Esopo parla
semplicemente di un cavallo anziano (138 Ch.) e centra la
riflessione morale non sulla nobiltà, ma sugli affanni della
vecchiaia. Spesso, nella favolistica, il cavallo è protagonista
di mutamenti di situazione (povertà-ricchezza, privilegioperdita
del privilegio) ed è messo a confronto con l’asino,
ritenuto invece simbolo di umiltà per eccellenza. A proposito
di questa caratterizzazione, esistono anche significativi
proverbi: «Passare da cavalli ad asini» (o viceversa) significa
mutare in peggio (o, nel caso contrario, in meglio) la propria
condizione. Nelle favole 142 Ch. (cfr. Babrio 76) e 141 Ch.,
l’asino è indicato nella morale come simbolo del povero e il
cavallo del ricco e potente. In ambito romano il valore
simbolico del cavallo è stato trasferito al bue (v. BUE, anche
per il proverbio). Il cavallo si segnala spesso per la superbia
e per l’orgoglio, come nella narrazione del Romulus (53) in
cui alla fine paga il disprezzo nei confronti dell’asino. Nella
favola che spiega come l’uomo abbia ricevuto parte degli
anni della sua vita da alcuni animali (Esopo 139 Ch.), si
spiega che nella fase dell’esistenza ricevuta dal cavallo, che
coincide con la giovinezza, è vanitoso e superbo. In coerenza
con questo profilo, il cavallo è anche rappresentato quale
simbolo delle passioni, come emerge in una favola riportata
da Luciano (Il cinico 18). Per questo è anche difficile
dominarlo, se non si è esperti (Aristofane, Vespe 1427 ss.).
In controtendenza con tale caratterizzazione è
un’osservazione di Fedro (App. 2 [3], v. 7), che sottolinea
come la Fortuna abbia attribuito al «rapido» cavallo una
mansueta docilità.






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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