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Cicala




Il canto è il principale elemento di caratterizzazione della
cicala, che sembra consacrare a esso tutta la sua vita.
Proverbiale è l’espressione «Dalla voce più melodiosa di una
cicala» (v. sotto). Narra Platone (Fedro 259bc) che un tempo
le cicale erano uomini, i quali, dopo la nascita delle Muse,
furono travolti dal piacere del canto e, dimenticando di bere
e di mangiare, vennero trasformati nella stirpe delle cicale.
Esse cantano così fino alla morte per poi giungere nel cielo,
tra le Muse, a riferire chi in terra le onori. Sono due le
caratteristiche del canto secondo gli antichi: la melodiosità e
la continuità. Ancora in ambito cristiano, san Girolamo
raccomanda a Eustochio di essere «la cicala della notte»,
invitandolo a una preghiera senza soste (Epistole 22,48). Ma
queste caratteristiche possono essere lette in modo
differente: la melodiosità diventa «stridulo canto» (Virgilio,
Bucoliche 2,12-13); la continuità assume anche una valenza
negativa (cfr. Ovidio, L’arte di amare 1,271). La cicala è
legata alla stagione estiva e perciò diventa naturale attributo
del dio Apollo: secondo Eliano (De natura animalium 3,38;
ma cfr. anche Aristotele, Historia animalium 682a), canta
solo quando è riscaldata dal sole, poiché è fredda per
costituzione. Sulla base di questi presupposti, la cicala non
può godere di una fama positiva nell’utilitaristico mondo
esopico. Una delle favole più celebri (la cicala e le formiche:
Esopo 336 Ch.) la segnala come simbolo delle persone
superficiali, agli antipodi della laboriosa formica, e diventa
tanto celebre da essere ripresa nel capolavoro che apre la
raccolta di La Fontaine (1,1). Questa fortunata narrazione, in
alcune delle sue numerose versioni (Aviano 34; Aftonio 1),
diventa un’esortazione ai giovani, perché si impegnino e non
restino inerti, evitando così i guai che ne deriverebbero nella
vecchiaia. La tradizione favolistica (cfr. Esopo 278 Ch.)
riprende anche la credenza secondo cui le cicale si nutrono
di rugiada (leccandola con un organo posto al centro del
petto, visto che sono sprovviste di bocca, secondo Plinio,
Naturalis historia 11,93-94). A colpire gli antichi è anche la
sproporzione tra l’intensità del canto e le modeste
dimensioni (Aftonio 4): la cicala suggerisce così l’immagine
di chi non vale nulla, pur dandosi arie di persona importante.
Come spesso accade nel mondo esopico, tuttavia, proprio il
suo essere insignificante diventa l’àncora di salvezza nei
momenti difficili: non essendo utile, la cicala ha salva la vita
(così sembra suggerire Sintipa 62: la salvezza è peraltro resa
esplicita nella versione esopica 298 H.-H.). Fedro (3,16)
riprende il motivo dell’insistenza molesta del canto della
cicala, che finisce, a causa della sua scortesia, per essere
vittima della civetta. In questo caso, la cicala è stata
interpretata come il simbolo del poeta che perseguita gli
altri, continuando a declamare i suoi componimenti (cfr.
Mandruzzato 341). Insomma, il profilo della cicala è
tendenzialmente negativo nell’ambito della tradizione
favolistica, anche se eccezionalmente la cicala può emergere
per la saggezza (Esopo 335 Ch.) o compiere un’azione
giusta, quando supplica il contadino di non abbattere un
albero infruttuoso, che poi si rivela pieno di miele (Esopo 85
Ch.).






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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