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Il coccodrillo è un animale esotico e singolare agli occhi dei Greci e dei Romani: Cicerone sottolinea la meraviglia che
suscita (De natura deorum 2,124); Giovenale, in una satira
(15,1 ss.), fa riferimento al folle costume egiziano di
venerare mostri come questo. Nelle ampie descrizioni a esso
dedicate, a partire da Erodoto (2,68 ss.), è associato
normalmente al fiume Nilo. L’animale riveste un ruolo
importante nella mitologia dell’antico Egitto, dove è temuto
e onorato perché considerato un essere demoniaco e
benefico (Mercatante 182); talora, visto il suo legame con le
acque, diventa simbolo di fertilità; è posto in relazione non
solo al dio Sobek (raffigurato come coccodrillo, uomo dalla
testa di coccodrillo o vestito delle pelli dell’animale), ma
anche a Seth e alle forze infere. Nella favolistica esopica il
coccodrillo compare solo tre volte: le narrazioni, che si
prestano a letture umoristiche, prendono spunto da
caratteristiche e comportamenti singolari, che colpiscono
fortemente l’immaginario occidentale. Nella favola 35 Ch., il
coccodrillo si vanta di essere di nobili origini, addirittura
discendente di ginnasiarchi (cittadini illustri, che pagavano
le spese di feste pubbliche). Giocando sull’equivoco, poiché il
termine indica, allo stesso tempo, i soprintendenti delle
palestre, la volpe ironizza sulla pelle dell’animale, che
dimostra un certo esercizio ginnico (con allusione
probabilmente ai colpi subiti dagli schiavi). Va sottolineato
che questa parte del corpo è descritta con curiosità da vari
autori greci: Diodoro Siculo (1,35) rileva come la natura
abbia straordinariamente protetto il coccodrillo, anche
grazie alla pelle dura e provvista di scaglie. Lo stesso autore
nota anche che divora la carne degli uomini e di tutti gli
animali che si avvicinano alla riva del Nilo. Proprio questa
situazione, che deve avere colpito fortemente Greci e
Romani ed è attestata in vari autori, dà spunto a una favola
di Fedro (1,25), in cui il cane non si fida della benevolenza
del coccodrillo e beve dal Nilo mentre continua a correre.
L’immagine si diffonderebbe come motivo proverbiale grazie
ai legionari di Cesare, a seguito del Bellum Alexandrinum
(48-47 a.C.); dopo l’assedio di Modena del 43 a.C., viene
usata in riferimento ad Antonio costretto a fuggire (cfr.
Solimano 171; Della Corte 1973,145s.). Qui, come altrove
nella favola esopica, il coccodrillo sembra essere simbolo di
ambiguità e di ipocrisia, forse anche perché è creatura,
insieme, di terra e di acqua, abituato dunque a vivere una
doppia natura. Peraltro, non troviamo motivi favolistici che
valorizzino le proverbiali «lacrime di coccodrillo», comunque
già note nell’antichità (ad esempio, l’espressione trova
spazio nella raccolta di Apostolio [10,17]). In un’altra favola
(Esopo 45 Ch.), dalle sfumature tragiche e comiche ad un
tempo, d’impronta probabilmente stoica, un empio assassino
è perseguitato dagli animali che si fanno strumento della
vendetta divina: il coccodrillo, che vive nel Nilo, è il
giustiziere implacabile.
Bibliografia
Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012