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Corvo




Uccello oracolare, il corvo è sacro ad Apollo, patrono
della divinazione: dal suo volo vengono tratti presagi. Eliano
nota che, quando gracchia e agita le ali, annuncia temporali
(De natura animalium 7,7). Lo stesso autore (1,47) spiega,
inoltre, il motivo per cui in estate il corvo gracchia, afflitto
dalla sete: un giorno Apollo, di cui l’uccello era servitore, lo
inviò a prendere un po’ d’acqua, ma il corvo si fermò in un
campo ad attendere che le biade maturassero. Allora il dio lo
punì con la sete per la negligenza dimostrata. Il volatile è,
dunque, simbolo di pigrizia: secondo Agostino (Esposizioni
sui Salmi 102,16) coloro che rimandano la conversione
ripetono quasi il verso del corvo: cras, cras («domani», in
latino); il santo ricorda anche che l’uccello, uscito dall’arca,
non vi fece ritorno. Inoltre questo volatile, spesso
addomesticato, è simbolo di loquacità, perché impara a
riprodurre le parole degli uomini (cfr., ad esempio,
Macrobio, Saturnalia 2,4). Una tradizione vuole che Apollo
gli cambiò colore (da bianco a nero) proprio a causa della
sua loquacità (cfr. Ovidio, Metamorfosi 2,540 ss.).
La favolistica riprende diversi motivi culturali presenti
nella tradizione antica. Innanzitutto, il legame del corvo con
la divinazione e con i presagi (Fedro 3,18,12), che però,
come si verifica anche per altri personaggi (animali e
uomini: v. CORNACCHIA; INDOVINO; MAGA), sono spesso
motivo di scherno nell’utilitaristico e disincantato mondo
esopico. In Esopo 255 Ch. un corvo, privo di un occhio, è
deriso da alcuni viandanti perché non è stato in grado di
prevedere la sua mutilazione. Forse si riprende qui il
proverbio «Trafiggere gli occhi dei corvi» (cfr., ad esempio,
Cicerone, Pro Murena 11,25), ossia ingannare chi è
particolarmente attento, come appunto è questo uccello,
dotato di un’acuta vista (cfr. Tosi 1991, 606). Invece, come la
favola del ragazzo e del leone dipinto (Esopo 295 Ch.), anche
quella del ragazzo e del corvo (Esopo 294 Ch.) ha
un’impostazione diversa. Non si tratta comunque di un atto
di fede nella profezia, poiché sembrano prevalere
l’ambiguità e l’aspetto ironico della vicenda. Per lo più, il
corvo emerge in una prospettiva negativa, come bestia
perfida e ingrata nei confronti di Apollo, per cui un altro dio,
Hermes, non può fidarsi di lui (Esopo 166 Ch.); inoltre, è
solito mangiare il cibo degli dei, pertanto alla sua morte non
troverà pietà alcuna (168 Ch.). Il povero gracchio che si
avventura tra i corvi finisce miseramente: questa favola è
stata ritenuta una possibile fonte del proverbio «(Finire) ai
corvi», che corrisponde all’incirca alla nostra espressione
«Alla malora» (tale modo di dire è spesso presente in
Aristofane: cfr. Nuvole 123,133; 789; Vespe 51; v. proverbio
sotto). Peraltro, il proverbio è collegabile anche all’idea
secondo cui il corvo è un uccello di malaugurio. Pur essendo
un animale di notevole intelligenza, capace anche di tessere
sofisticati inganni, tipici dell’uomo, come peraltro ha ribadito
l’etologia anche di recente (cfr. Bugnyar-Heinrich 2005), il
corvo non sembra emergere per queste qualità nella
tradizione esopica; anzi, affamato, si getta in modo avventato
su un serpente, che poi lo uccide (Esopo 167 Ch.); nella
celebre favola che lo vede contrapposto alla volpe si segnala
per la superbia e per l’ingenuità con cui si lascia raggirare
(cfr. Esopo 165 Ch. e Fedro 1,13). Questa favola, piuttosto
antica (per lo meno di età classica, come deduciamo da una
rappresentazione realizzata su un vaso corinzio), ha trovato
lunga fortuna in età umanistica: si suppone, tra l’altro, una
ripresa in un racconto della tradizione albanese (cfr.
Adrados 2003, 164). Non si tratta dell’unica narrazione a
segnalarsi per una certa comicità: in Esopo 274 Ch. il corvo
becca la ferita di un asino, che per il dolore comincia a
saltellare e a ragliare, suscitando il riso dell’asinaio. Il
caratteristico colore nero del corvo (da cui il proverbio
antico «Nero come un corvo»: cfr. Petronio 43,7) è alla base
di una favola in cui l’uccello, invidioso del cigno, cerca di
lavarsi le penne, ma non ha successo e così finisce per
morire di fame (Aftonio 40). Lo schema narrativo ricorda la
favola in cui il padrone cerca invano di sbiancare l’Etiope,
che alla fine si ammala (Esopo 11 Ch.). I corvi si ritrovano
come protagonisti anche nella tradizione favolistica indiana
del Pañcatantra (primo tantra, racconti 4 e 5): una coppia di
corvi abitava su un albero; un serpente venne e divorò la
prole; allora l’uccello, volendo vendicarsi, chiese consiglio a
uno sciacallo che gli suggerì di prendere una catena d’oro e
di collocarla nella sua abitazione. Il corvo, giunto alla corte
del re, rubò la catena d’oro e, volando lentamente per farsi
inseguire dalle guardie, fece ritorno al nido. Intanto il
serpente si era addormentato. Così quando, le guardie
arrivarono al nido, una di loro salì sull’albero, prese la
catena e uccise il serpente. La morale è semplice: l’astuzia
può sostituire il valore. Ancora nella tradizione del
Pañcatantra, va segnalata l’inimicizia con i gufi (cfr.
CIVETTA), che porta a una inevitabile guerra.






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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