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Credo




Io recito il mio Pater e il mio Credo tutte le mattine; non somiglio affatto a Broussin, di cui Reminiac diceva:

Broussin, dès l'âge le plus tendre,

Posséda la sauce-Robert,
Sans que son précepteur lui pût jamais apprendre
Ni son Credo ni son Pater.

Il «simbolo», o collatio, viene dal greco, e la Chiesa latina, che ha preso tutto da quella greca, ha adottato questa parola. I teologi, quelli che hanno un minimo d'istruzione, sanno che questo simbolo, detto «degli apostoli», non è affatto degli apostoli.
I greci chiamavano «simbolo» le parole, i segni con cui si riconoscono fra loro gli iniziati ai misteri di Cerere, di Cibele, di Mitra; anche i cristiani, col tempo ebbero il loro simbolo. Se fosse esistito al tempo degli apostoli, c'è da
credere che san Luca ne avrebbe fatto cenno.
Si attribuisce a sant'Agostino una storia del simbolo nel suo sermone CXV: gli si fa dire, in questo sermone, che Pietro aveva cominciato il simbolo dicendo: «Io credo in Dio Padre onnipotente», al che Giovanni aggiunse: «creatore del cielo e della terra», e Giacomo: «E io credo in Gesù Cristo, suo unico figlio, nostro Signore», e così via. Nell'ultima edizione di Agostino questa favola è stata soppressa. Io mi rivolgo ai reverendi padri benedettini per sapere se bisognava o no sopprimere questo brano così singolare.
La verità è che nessuno sentì parlare di questo Credo per più di quattrocento anni. Il popolo dice che Parigi non è stata fatta in un giorno, e il popolo, nei suoi proverbi, ha spesso ragione. Gli apostoli ebbero il nostro simbolo nel
cuore, ma non lo misero per iscritto. Se ne formulò uno al tempo di sant'Ireneo, che non somiglia affatto a quello che recitiamo. Il nostro simbolo, qual è oggi, risale certamente al V secolo: è posteriore a quello di Nicea. L'articolo che dice che Gesù discese all'inferno, quello che parla della comunione dei santi, non si trovano in nessuno dei simboli che precedettero il nostro. E, infatti, ne i Vangeli né gli Atti degli Apostoli dicono che Gesù, discese all'inferno. Ma già nel
III secolo era opinione radicata che Gesù fosse disceso nell'Ade, nel Tartaro, parole che noi traduciamo con quella di Inferno. L'inferno, in questo senso, non è la parola ebraica sheol, che vuol dire sotterraneo, fossa. Ecco perché
sant'Atanasio ci insegnò poi come il nostro Salvatore discese all'inferno: «La sua umanità non fu né tutta intera nel
sepolcro, né tutt'intera nell'inferno: essa fu nel sepolcro secondo la carne, nell'inferno secondo l'anima.»
San Tommaso assicura che i santi risuscitati alla morte di Gesù Cristo morirono poi di nuovo per risuscitare ancora con lui; è l'opinione più seguita. Ma tutte queste opinioni sono assolutamente estranee alla morale; bisogna essere virtuosi, sia che i santi siano risuscitati due volte, sia che Dio li abbia risuscitati una volta sola. Il nostro simbolo
venne formulato tardi, l'ammetto, ma la virtù esiste dall'eternità.
Se è lecito citare autori moderni in una materia tanto solenne, riferirei qui il Credo dell'abate di Saint-Pierre, come si trova scritto di sua mano nel suo libro sulla purezza della religione, libro che non è stato pubblicato, ma che io ho fedelmente ricopiato.
«Io credo in un solo Dio, e lo amo. Credo che egli illumini ogni anima che viene al mondo, come dice san Giovanni: intendo dire ogni anima che lo cerchi in buona fede.
«Io credo in un solo Dio, perché non può esservi che una sola anima del gran tutto, un solo essere che lo vivifica, un unico artefice.
«Io credo in Dio, padre onnipotente, perché egli è padre comune della natura e di tutti gli uomini che sono egualmente suoi figli. Io credo che colui che li fa nascere tutti in egual modo, che ha combinato il meccanismo della
nostra vita nella stessa maniera, che ha dato loro gli stessi principi di una morale la quale può essere da loro scoperta non appena riflettano, non abbia posto nessuna differenza tra i suoi figli, fuorché quella tra il crimine e la virtù.
«Io credo che il cinese giusto e generoso sia per lui più prezioso di un dottore europeo puntiglioso e arrogante.
«Io credo che, essendo Dio nostro padre comune, noi dobbiamo considerare tutti gli uomini nostri fratelli.
«Io credo che il persecutore sia un uomo abominevole, e che venga subito dopo l'avvelenatore e il parricida.
«Io credo che le dispute teologiche siano a un tempo la farsa più ridicola e il flagello più orribile della terra, subito dopo la guerra, la peste, la carestia e la sifilide.
«Io credo che gli ecclesiastici debbano essere pagati, e pagati bene, come servi del pubblico, precettori di morale, depositari dei registri dei nati e dei morti; ma che non si debba dar loro la ricchezza dei grandi appalti delle
imposte, né il rango di principi, perché l'una cosa e l'altra corrompono l'anima; e nulla è più rivoltante che il vedere uomini così ricchi e superbi far predicare l'umiltà e l'amore della povertà da persone che han solo cento scudi di salario l'anno.
«Io credo che tutti i preti che amministrano una parrocchia debbano essere sposati, non solo per avere al fianco una donna onesta che prenda cura della loro casa, ma per essere migliori cittadini, dare buoni sudditi allo Stato, e avere molti figli bene educati.
«Io credo che sia necessario estirpare i monaci; si renderebbe un gran servizio alla patria e a loro stessi; sono uomini che Circe mutò in porci; il saggio Ulisse deve rendere loro la forma umana.»
Il paradiso agli uomini che fanno il bene!







Bibliografia


Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico

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