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Destino
Destino
Di tutti gli scritti giunti fino a noi, il più antico è quello di Omero: è qui che si trovano i costumi dell'antichità profana: rozzi eroi, rozzi dei, fatti a immagine dell'uomo; ma vi si trovano anche i germi della filosofia, e soprattutto l'idea del destino, che è signore degli dei, come gli dei sono i signori del mondo.
Invano Giove vorrebbe salvare Ettore: consulta i Fati, pesa su una bilancia i destini di Ettore e di Achille; si rende conto che il troiano deve assolutamente essere ucciso dal greco, e non può opporsi; e da quel momento Apollo, il genio protettore di Ettore, è obbligato ad abbandonarlo. Non che Omero non prodighi spesso nel suo poema idee del tutto contrarie, secondo il privilegio dell'antichità, ma, infine, è il primo in cui si trovi la nozione di destino. Ai suoi tempi, essa era dunque molto diffusa.
I farisei, presso il piccolo popolo ebreo, non adottarono tale concetto che molti secoli dopo: infatti i farisei, che
furono i primi uomini istruiti fra i giudei, erano molto «moderni».
Mischiarono in Alessandria una parte dei dogmi degli stoici con le antiche idee ebraiche. San Girolamo pretende anzi che la loro setta non sia stata di molto anteriore alla nostra era volgare.
I filosofi non ebbero mai bisogno né di Omero né dei farisei per convincersi che tutto accade secondo leggi immutabili, che tutto è preordinato, che tutto è un effetto necessario.
O il mondo sussiste per sua propria natura, per le sue leggi fisiche, o è stato formato da un Essere supremo secondo le sue leggi superne: nell'un caso o nell'altro queste leggi sono immutabili; nell'un caso o nell'altro, tutto è
necessario; i corpi gravi tendono verso il centro della terra, senza poter tendere a riposarsi nell'aria; i peri non possono
mai fruttare ananassi; l'istinto di uno spaniel non può essere l'istinto di uno struzzo. Tutto è predisposto, ingranato e limitato.
L'uomo non può avere che un certo numero di denti, di capelli e di idee; e viene il momento in cui perde necessariamente i suoi denti, i suoi capelli e le sue idee.
È contraddittorio credere che ciò che fu ieri non sia stato, che ciò che è oggi non sia; ed è altrettanto contraddittorio credere che ciò che deve essere possa non dover essere.
Se tu potessi mutare il destino di una mosca, non ci sarebbe nessuna ragione che potrebbe impedirti di mutare il destino di tutte le altre mosche, di tutti gli altri animali, di tutti gli uomini, di tutta la natura: alla fine ti troveresti più potente di Dio.
Certi imbecilli dicono: «Il mio medico ha salvato mia zia da una malattia mortale: l'ha fatta vivere dieci anni più di quanti ne avrebbe dovuto vivere.» Altri, che fanno i saputi, dicono «L'uomo accorto foggia lui stesso il proprio
destino.»
Nullum numen abest, si sit prudentia, sed nos te facimus, fortuna, deam coeloque locamus.
Ma spesso l'uomo accorto soccombe al suo destino, anziché foggiarselo; è il destino che fa gli uomini accorti.
Certi profondi politici sostengono che, se Cromwell, Ludlow, Ireton, e una dozzina di altri parlamentari fossero stati assassinati otto giorni prima che venisse decapitato Carlo I, questo re avrebbe potuto vivere ancora e morire poi nel suo letto: hanno ragione; potrebbero anche aggiungere che se tutta l'Inghilterra fosse stata inghiottita dal mare, quel monarca non sarebbe morto sul patibolo nei pressi di Whitehall; ma i fatti erano ordinati in modo che Carlo dovesse
avere il collo mozzato.
Il cardinale d'Ossat era senza dubbio più prudente di un pazzo delle Petites-Maisons; ma non è anche evidente
che gli organi del saggio d'Ossat erano diversi da quelli del pazzo, così come gli organi di una volpe sono differenti da quelli di una gru e di un'allodola?
Il tuo medico ha salvato tua zia; ma è certo che in questo egli non ha contraddetto l'ordine naturale; lo ha seguito. È chiaro che tua zia non poteva fare a meno di nascere in una determinata città, non poteva fare a meno di avere in un determinato momento una certa malattia; che il medico non poteva essere altrove che nella città dov'era; che tua
zia doveva chiamarlo, e che egli doveva prescriverle le droghe che l'hanno guarita.
Un contadino crede che sia grandinato per puro caso nel suo campo; ma il filosofo sa che il caso non esiste, e che era impossibile, data la costituzione di questo mondo, che quel giorno, in quel luogo, non grandinasse.
C'è gente che, spaventata da questa verità, l'accetta soltanto a mezzo, come quei debitori che offrono la metà ai
loro creditori, e chiedono respiro per il resto. Ci sono - dicono - avvenimenti necessari, e altri che non lo sono. Sarebbe
ben strano che una parte di questo mondo fosse preordinata e l'altra no; che una parte di quanto accade dovesse
veramente accadere, e un'altra di quanto accade non dovesse accadere. Se la si esamina da vicino, si vede che la dottrina
contraria a quella del destino è assurda; ma c'è molta gente destinata a ragionare male, altri a non ragionare affatto, altri
a perseguitare coloro che ragionano.
C'è gente che vi dice: «Non credete al fatalismo; perché allora (tutto sembrandovi inevitabile) vi guarderete dal
lavorare; marcirete nell'indifferenza; non amerete né le ricchezze né gli onori, né le lodi; non vorrete acquistare nulla; vi
crederete senza merito come senza potere; nessun talento sarà più coltivato, tutto perirà per apatia.»
Non temete, signori miei; noi avremo sempre passioni e pregiudizi, perché il nostro destino è di essere soggetti
ai pregiudizi e alle passioni; e dunque, potremo ben sapere che non dipende da noi possedere grandi meriti e gran
talenti, come non dipende dalla nostra volontà l'avere capelli ben radicati e una bella mano; potremo essere convi nti che
non dobbiamo attribuirci nessun merito e tuttavia saremo sempre vanitosi.
Io ho necessariamente la passione di scrivere questo; tu hai la passione di condannarmi: siamo entrambi egualmente inutili, egualmente balocchi del destino. La tua natura è di fare il male, la mia è d'amare la verità e di
pubblicarla tuo malgrado.
Il gufo, che si nutre di topi dentro il suo rifugio, disse all'usignolo: «Piantala di cantare fra le tue belle fronde e
vieni nel mio buco, affinché ti divori.» E l'usignolo rispose: «Io sono nato per cantare qui, e per farmi beffe di te.»
Ora mi chiedete a cosa si riduce la libertà. Non vi capisco: non so cosa sia questa libertà di cui parlate; avete consumato tanto di quel tempo a disputare sulla sua natura che certamente non ne sapete niente. Se volete (o piuttosto se
potete) esaminare pacatamente con me che cos'è, passate alla lettera L.
Bibliografia
Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico