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Diogene
Diogene
Diogene di Sinope, detto il Cane per il suo provocatorio
stile di vita, è il più noto dei filosofi cinici, in perenne
polemica contro le istituzioni e la società (la scuola cinica,
fondata dall’ateniese Antistene, suo maestro, proclama
l’autosufficienza dal mondo, l’esaltazione dello stato di
natura e il disprezzo delle passioni). Vissuto dal 412 al 323
a.C., Diogene si comporta in modo singolare, rifiutando ogni
pudore e convenzione sociale (la fonte principale sulla sua
vita è Diogene Laerzio, nel sesto libro delle Vite dei filosofi).
Secondo una consolidata tradizione, vive in una botte,
espleta i suoi bisogni in pubblico e possiede soltanto una
scodella, a cui peraltro rinuncia, ritenendola superflua,
quando vede un giovane che raccoglie l’acqua col cavo della
mano. Interpreta il cinismo, insomma, come un pragmatico
modo di vivere. Si tramandano vari aneddoti sul suo conto.
Tra gli altri, il più noto è forse quello che lo vede aggirarsi in
pieno giorno con una lucerna: a chi gliene chiede la ragione,
il filosofo risponde che sta cercando un uomo (Diogene
Laerzio 6,41). Proprio questo aneddoto costituisce il primo
collegamento, per quanto indiretto, di Diogene con la
tradizione esopica. Infatti, Fedro (3,19) adatta la storia a
Esopo, che replica così a un chiacchierone. Viceversa, nelle
collezioni favolistiche troviamo il filosofo cinico calato nei
panni tipici del padre della favolistica, protagonista di alcuni
di quegli aneddoti che presentano figure facilmente
interscambiabili: in particolare, Esopo e Socrate. Del resto,
questi tre personaggi sono accostati anche da altri autori:
Dione Crisostomo (Orazioni 79,13) sostiene che i detti di
Socrate e di Diogene (nell’antichità curiosamente definito il
«Socrate impazzito» per le sue stranezze) vengono posti
sullo stesso piano di quelli di Esopo. Inoltre, le gesta del
favolista rimandano a una visione del mondo tipica del
cinismo, la cui filosofia si delinea nella concreta predicazione
di vita piuttosto che nell’astratto insegnamento scolastico.
Entrambi i personaggi, che conoscono la schiavitù,
testimoniano il primato del valore intellettuale su quello
sociale. Al di là dell’affinità «ideologica» e dei paralleli
ricavabili delle loro biografie, Esopo e Diogene
«appartengono al medesimo tipo narrativo: sono sempre
dotati […] della capacità di trarsi d’impaccio emettendo una
battuta che tronca la discussione o risolve la situazione in
loro favore, spesso coprendo l’interlocutore o l’antagonista
di ironia o dileggio» (Jedrkiewicz 1989, 120). Così troviamo
Diogene che insulta un calvo insolente (Esopo 97 Ch.) con
una battuta fulminante; oppure (98 Ch.) lo vediamo
rimproverare un traghettatore generoso, ma incapace di
distinguere le persone degne da quelle indegne del suo
aiuto.
Bibliografia
Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012