Home


Donna




La donna è spesso oggetto del feroce sarcasmo dei
favolisti. In effetti, la misoginia è piuttosto accentuata nella
tradizione esopica: Cascajero (1992, 47) ha calcolato che
questo tema compare nel 7,1% delle favole delle collezioni
anonime contenute nell’edizione Hausrath e nel 15,4% delle
favole presenti nel resto della tradizione favolistica.
Gli studiosi hanno individuato diverse ragioni sia di
carattere generale sia specifiche, in riferimento a singoli
autori. La spiegazione è stata innanzitutto ricondotta al fatto
che questo è uno dei motivi topici della letteratura antica.
Già in Omero, come è noto, la causa della guerra di Troia
viene attribuita a una donna: Elena. Esiodo (Le opere e i
giorni 373 ss.) esorta a non lasciarsi trarre in inganno dalle
donne, che mirano ai beni dell’uomo, perché «chi presta fede
a una donna, presta fede a ladri». Nel mito di Pandora,
sviluppato dallo stesso poeta anche nella Teogonia (570 ss.),
la donna è considerata come un dono irresistibile ma
dannoso offerto da Zeus agli uomini per la loro rovina. Noti,
poi, sono i versi satirici del poeta Semonide (VII secolo a.C.),
tradotti anche da Giacomo Leopardi: passano in rassegna
dieci specie di donne, ritenendole derivate da un animale o
da un elemento: troviamo, tra l’altro, quella disordinata e
sordida che trova il suo modello nella scrofa, quella perfida
che assomiglia alla volpe, quella pigra, che è come l’asina;
l’unica che si salva per la sua laboriosità è la donna ape, ma
questo non impedisce al poeta, alla fine, di considerare la
donna come «il male più grande» (fr. 7 W.2). Anche nella
letteratura latina si confermano alcuni di questi motivi
topici. Tra i testi più celebri, la satira sesta contro le donne
di Giovenale, che presenta una galleria di figure femminili
ritratte in una irriducibile negatività: oltre alla lussuria,
numerosi sono i vizi che rendono insopportabili le mogli ai
mariti, dalla superbia all’autoritarismo, dalle manie sportive
fino alle tendenze delittuose, con l’uso di filtri e veleni.
Al di là di motivi topici e considerazioni di carattere
generale legate alla cultura antica, alcuni studiosi, come
Adrados (1999, 639 ss.), hanno in particolare sottolineato
l’influsso cinico che, a partire dal III secolo a.C., incide
profondamente sul genere favolistico. In altri casi, come
quello di Fedro, dove questa tendenza appare
particolarmente accentuata, si è fatto riferimento al contesto
sociale romano o addirittura a motivi di natura
autobiografica.
In genere, in Fedro le donne spiccano per la grettezza
(come in App. 3 [4]), per l’impudicizia (la loro lingua è stata
plasmata da Prometeo a imitazione del membro maschile:
4,14 [15]), per la notevole propensione a mentire e a tradire
(come la cortigiana bugiarda di App. 27 [29]).
Come sostiene anche Giovenale, il vizio peggiore delle
donne è la mancanza di castità (App. 9 [11]): lo suggerisce
già, sia pure in modo scherzoso, la giocosa sfida tra Giunone,
dea protettrice degli amori legittimi, ossia dei matrimoni, e
Venere, dea degli amori nella loro accezione più ampia. Ma
quando la libidine e la volubilità della donna, come accade
nella novella della vedova e del soldato (App. 13 [15]),
infrangono l’ordine sociale, la critica di Fedro si fa più
severa. Infatti, il favolista esorta a punire chi viola il letto
nuziale (App. 6 [8],14).
L’idea che la donna non possa disporre di bellezza e
castità insieme, come notano altri autori, da Giovenale
(10,297 s.) a Ovidio (Amori 3,4,41 s.), pare confermata in
Fedro 4,5. Il favolista latino presenta Esopo come l’unico in
grado di risolvere un caso di eredità che vede coinvolte tre
sorelle: «una bella e sempre a caccia di uomini con i suoi
occhi; la seconda, invece, donna di campagna, frugale,
dedita a filare la lana; la terza amante del vino e assai
brutta». In questa narrazione, l’unica donna apprezzabile
riprende il modello di laboriosità semonideo e l’ideale
romano, che Fedro sembra condividere nella sua critica al
mondo femminile. Tale ideale, legato ovviamente a esigenze
di ordine sociale, è riassumibile in quattro caratteristiche: la
donna libera e appartenente alle classi sociali elevate deve
essere di onorevoli costumi (casta), trascorrere la sua vita in
casa (domiseda), dedicarsi a filare la lana (lanifica) e
appartenere rigorosamente a un solo uomo (univira). La
moglie fedele e sventurata descritta in un’altra favola (3,10)
rappresenta l’eccezione che non smentisce la regola.
Il Romanzo di Esopo attribuisce esplicitamente una
tendenza alla misoginia al padre della favolistica, secondo
cui le donne vanno picchiate o terrorizzate perché siano
ammansite. La moglie del suo padrone, Xanto, appare
libidinosa e sleale ed Esopo commenta le sue abitudini con
versi euripidei, considerando la donna un’enorme disgrazia.
Nell’ambito degli apoftegmi attribuiti allo stesso Esopo,
ne troviamo alcuni che hanno riscontro anche al di fuori
della favolistica. Uno di questi (2 Perry) sostiene che la
donna è uno dei «tre mali», insieme al mare e al fuoco, come
spiega anche un monostico di Menandro (823 J.). Un altro
presenta l’immagine della donna impiccata a un albero come
«un bel frutto» (20 Perry); viene riportato anche da Diogene
Laerzio, anche se con una diversa attribuzione (6,52).
Nelle favole, in linea con la tradizione culturale che si è
considerata, la donna viene descritta come avida (Esopo 90
Ch.), ingannatrice (ad esempio la maga di Esopo 91 Ch.),
insopportabile per il marito, che per verificarne l’indole la
manda presso la famiglia di suo padre (Esopo 49 Ch.). La
donna giovane non brilla per intelligenza (Romanzo di Esopo
131). Anche la vecchia che minaccia il bambino,
promettendo di darlo in pasto al lupo se non smette di
piangere, diventa nell’epimitio l’esempio di chi non fa
corrispondere le parole ai fatti (Esopo 223 Ch.). Come recita
un proverbio molto noto nel mondo antico, «Abili sono le
donne a ideare stratagemmi» (Euripide, Ifigenia in Tauride
1032). Così l’adultera concorda con l’amante un raffinato
piano per i loro incontri clandestini (Esopo 300 H.-H.).
In Esopo, tuttavia, si rileva qualche raro caso di
rielaborazione positiva della figura della donna, la quale, ad
esempio, escogita uno stratagemma per aiutare il marito
ubriacone a vincere il vizio, che tuttavia si rivela, alla fine,
troppo radicato (Esopo 88 Ch.). In una favola cristiana si
spiega l’origine del rossore, segnalando come questa
manifestazione di pudore appartenga soprattutto alle donne
(Gregorio Nazianzeno, Carmina moralia, MPG 37,898).
In generale, la tendenza alla misoginia coinvolge anche
altri autori, non solo attraverso le narrazioni ma anche
mediante affermazioni che esplicitano il punto di vista.
Babrio, nella favola dell’uomo reso calvo dalle due amanti,
sentenzia: «Infelice colui che si imbatte nelle donne»
(22,14). Anche le narrazioni presenti in altri contesti
letterari (come in Aristofane) fanno emergere il complicato
rapporto tra uomo e donna, anche se in una prospettiva meno univoca.







Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

Torna agli articoli