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Ercole




Figlio di Giove e di Alcmena. I Greci lo chiamavano Eracle. Giove, per possedere Alcmena, prese le sembianze di suo marito Anfitrione mentre questi era assente. La gelosa Giunone per vendicarsi della infedeltà di Giove con una mortale, fece in modo che Alcmena, la quale doveva dare alla luce due gemelli, ritardasse il parto, facendo nascere prima Eu-risteo. (Vedi Calanti). Nel giorno in cui nacque Ercole il tuono si fece sentire in Tebe a raddoppiati colpi, e molti altri prodigi annunciarono la gloria del figlio di Giove. Volendo Anfitrione sapere qua! di essi fosse suo figlio, mandò due serpenti presso la ioro culla; Euristeo parve atterrito dallo spavento e voleva fuggire; ma Ercole strozzò i due serpenti, mostrando fin dal suo nascere ch'egli era degno d'aver Giove per padre. La maggior parte dei mitologi però dicono che Giunone, la quale, dai primi giorni d'Ercole, diede più di una prova dell'odio che gli portava per causa della madre, mandò due draghi alla di lui culla per farlo divorare; ma il fanciullo, senza spaventarsi, li prese fra le mani e li fece in pezzi; la Dea allora, alle preghiere di Minerva si raddolcì alquanto, e acconsentì anche a dargli il proprio latte per renderlo immortale. Ercole divenne di una straordinaria statura e di una forza di corpo incredibile; era anche un famoso mangiatore; e doveva anche essere un gran bevitore, se si deve giudicare dalla grandezza della sua tazza, che dicesi fossero necessari due uomini per portarla; egli però non aveva bisogno che di una mano per servirsene quando beveva. — Ercole, diventato grande, andò in un luogo isolato per decidere a qual genere di vita dovesse applicarsi: allora gli apparvero due donne di grande statura, una delle quali molto bella, che era la virtù, aveva un aspetto maestoso e pieno di dignità, accompagnata dal pudore degli occhi, dalla modestia in tutti i suoi gesti, e vestita di bianco. L'altra, che chiamavasi Voluttà, era molto paffuta, più colorita, con uno sguardo procace, e i magnifici suoi abiti la facevano conoscere per quello ch'essa era infatti. Ciascuna di esse procurò di guadagnarselo con le promesse, ma finalmente decise di seguire la Virtù, che qui viene considerata come il valore. Avendo egli dunque abbracciato un genere di vita aspro e faticoso, andò a presentarsi a Euristeo, sotto i cui ordini doveva, intrapprendere i suoi combattimenti e le sue fatiche per la sorte della sua nascita. Alcuni mitologi pretendono che questo procedere non fosse volontario, e che da principio egli ricusasse di sottomettersi alle leggi di Euristeo. Giunone per punirlo della sua disubbidienza, lo colpì con tale delirio, che egli uccise i propri figli, credendo di togliere la vita a quelli di Euristeo. Tornato in se stesso, ne fu tanto addolorato, che rinunciò alla relazione degli uomini, indi consultò l'oracolo di Apollo il quale gli ordinò di sottomettersi per lo spazio di dodici anni agli ordini di Euristeo, secondo il comando di Giove, e gli annunciò ch'egli sarebbe posto nel regno degli Dei, allorché avesse compiuti i gloriosi suoi destini. Euristeo, istigato da Giove, gli comandò le cose più difficili, le quali furono poi chiamate le dodici fatiche d'Ercole, che sono: 1. Lotta col leone di Nemea; il quale era un mostro che aveva la pelle invulnerabile; ed Ercole non potendo ferirlo nè con le frecce nè con la clava, lo cacciò entro la sua tana e ivi lo soffocò tra le braccia. - 2. L'Idra di Lerna. Era un grosso serpente con nove teste, di cui una immortale. Ercole, dopo aver con le frecce stanata la bestia, l'affrontò senza paura, tagliando con la spada le teste, delle quali, però, appena tagliate, ne rinascevano due. Allora, ricorrendo all'aiuto di Iolao, suo fido compagno, fece dare il fuoco a un bosco vicino, e si fece portare dei tronchi in fiamme. Con questi affrontò l'idra e bruciò man mano tutte le tes:e; su quella che era immortale gettò un masso enorme. Nella bile velenosa sparsa dall'idra morente, intrise le sue frecce, e ne ottenne che le ferite da esse prodotte divenissero insanabili. - 3. Il cinghiale di Erimanlo, che Ercole inseguì e spinse fino alla cima del monte Eri-manto che era coperto di neve, dove lo afferrò e lo portò vivo a Euristeo. - 4. La cerva di Cerinea, dalle corna d'oro e i piedi di rame; sacra ad Artemide. Ercole dovendola prendere viva l'inseguì un anno intero; infine la ferì con una freccia a un piede e la prese. - 5. Gli uccelli di Stinfalo, muniti di artigli, ali e becco di bronzo e penne pure di bronzo, che essi lanciavano come frecce; e questi uccelli erano tanto grandi, che stendendo le ali toglievano la luce del sole al mondo. Ercole ne, uccise alcuni, altri spaventò con un sonaglio di bronzo, in modo che non comparvero più. - 6. Il cinto d'Ippolita, regina delle Amazzoni, che desiderava possedere Admeta, figlia di Euristeo. Ercole, per averlo, entrò in rapporto con Ippolita, ma Giunone in sembianza di Amazzone diffuse la voce che si voleva rapire la regina; allora le Amazzoni presero le armi contro Ercole, il quale, uccisa Ippolita, potè avere il desiderato cinto. - 7. Ripulimento delle stalle di Augia o Augea, re degli Epei nell'Elide, ricco d'immensi armenti. Ercole doveva ogni giorno nettare dall'accumulato letame quelle stalle; impresa che pareva impossibile. Augia stesso, sentito di che si trattava, non dubitò promettere il decimo dei suoi armenti, tanto era persuaso dell'ineffettuabilità di un simile tentativo. Pure Ercole vi riuscì; deviando il corso del fiume Alfeo o del Peneo, o tutti e due, facendo passare le acque nelle stalle di Augia, così che la forza della corrente facilmente trascinò via il letame. - 8. Il toro di Creta, mandato da Nettuno, contro Minosse, il quale scorreva infuriato per quest'isola, e che Ercole prese e portò a Micene vivo. - 9. Le cavalle di Diomede, bestie feroci, a cui Diomede, re dei Bistoni in Tracia, gettava in pasto gli stranieri che capitavano sulle sue rive. Ercole vinse Diomede e diede lui in pasto alle sue bestie. Poi legò queste e le portò vive a Euristeo, il quale le rimise in libertà. - 10. I buoi di Gerione, di cui Ercole doveva impadronirsi e per raggiungere questa impresa dovette intrapprendere un lungo viaggio. Comunemente si fa viaggiare Ercole traverso la Libia; e gli si fa piantare le colonne da lui denominate sullo stretto di Gibilterra; si racconta che, offeso dai raggi cocenti del sole tramontante, punto contro di lui i suoi strali, onde il Sole, ammirato da tanto ardire gli lasciò l'uso del suo battello d'oro fatto a forma di tazza. Con l'aiuto di questo potè l'eroe passare l'Oceano e giungere a Eritrea. Quivi, ucciso il gigante Eurizione e il cane Ortro che erano a custodia del gregge di Gerione, se ne impossessò (vedi Gerione). Durante quest'impresa Ercole ebbe molte avventure. -11. I pomi d'oro delle Esperidi; dono della Tenra fatto a Giunone, in occasione del suo matrimonio con Giove. Questi pomi erano custoditi dalle Esperidi (vedi). Ercole doveva andare a prendere questi pomi d'oro, senza sapere dove abitassero le Esperidi. Per questo dovette fare nuovi e lunghi viaggi, in cui ebbe .occasioni d'incontrare diverse altre avvenuture accessorie. Prima di tutto andò all'Eridano, allo scopo di interrogare le Ninfe di questo fiume riguardo alla via da percorrere per giungere alle Esperidi. Gli fu suggerito di ricorrere all'infallibile Nereo; egli lo sorprese nel sonno, e lo tenne stretto fintanto che non seppe che la via gli sarebbe stata rivelata da Prometeo incatenato nel Caucaso. Allora Ercole, passata la Libia, si recò in Egitto ove v'era un re crudele, Musiride, che afferrava i forestieri e li sacrificava a Giove. Anche Ercole doveva subire la stessa sorte, ma egli spezzò le catene con cui era legato e uccise .Busiride ed i suoi figli. Dall'Egitto Ercole andò in Etiopia, poi di là dai mare in India, e giunse così al Caucaso dove liberò Prometeo uccidendo l'aquila che gli rodeva il fegato.
Insegnatagli Prometeo la via delle Esperidi, giunse egli finalmente al paese degli Iperborei dove Atlante regge sulle spalle il mondo. Qui terminava la sua spedizione; poiché con l'astuzia persuase Atlante di andare lui a prendere i tre pomi d'oro. - 12. La cattura di Cerbero, che fu l'ultima e più pesante fatica prescritta da Euristeo a Ercole. Giunto Ercole alle porte dell'Inferno trovò Teseo e Piritoo legati in seguito al tentativo fatto di rapire Proserpina. Ercole liberò Teseo, e voleva anche sciogliere dalle catene Piritoo, ma in quel momento tremò la terra e allora egli abbandonò l'impresa. Plutone poi gli diede il permesso di portare con sè il cane Cerbero, purché riuscisse senz'armi a domarlo. L'eroe stringendo alla gola Cerbero, l'incatenò e lo trascinò su alla luce del sole; e dopo averlo fatto vedere a Euristeo, lo ricondusse all'Inferno. Con questa fatica Ercole si liberò dal servizio di Euristeo, e in seguito alla quale compì altre gesta. Ercole, in una notte, rese madri le cinquanta figlie di Tespi, e questo fatto si conta come la tredicesima sua fatica. Ercole^ ebbe molte mogli e gran numero di amanti. E amò così ardentemente Onfale che, per piacerle, si vestiva da donna e filava la lana lasciando che Onfale indossasse la sua pelle di leone e portasse la clava pei beffa. — La causa della morte di quest'eroe fu la vendetta di Nesso e la gelosia di Deianira. Essendo questa principessa stata avvertita degli amori di suo marito, gli mandò in dono la camicia di Nesso, credendo che avesse la virtù d'impedirgli d'amare altre donne; appena indossatala, il veleno di cui era intrisa fece sentire il suo effetto inlroducendosi nelle vene, e penetrò in un momento alle midolla delle ossa. Tentò egli, ma invano, di levarsi la mortifera camicia, poiché erasi attaccata alla pelle, e quasi incorporata alle membra; a misura ch'egli la stracciava, laceravasi nel tempo stesso la propria pelle e le carni. Vedendo finalmente seccarsi le membra, e che si avvicinava il suo fine, alzò un rogo sopra il monte Oeta, distese la sua pelle di leone vi si coricò sopra, si pose la clava sotto il capo, e ordinò a Filottete di appiccarvi il fuoco e di aver cura delle sue ceneri. Appena fu acceso il rogo, dicesi che il fulmine cadesse dal cielo e riducesse tutto in cenere in un istante, per purificare tutto ciò vi era di mortale in Ercole. Giove allora lo collocò fra gli Dei; e in cielo sposò la giovinetta Ebe. — Ercole era anche ritenuto per il Sole. — Un antico autore dipinge Ercole estremamente nerboruto, con spalle quadrate, carnagione scura, naso aquilino, occhi grandi, barba folta, capelli increspati od orribilmente trascurati; Ercole fu soprannominato Melampigo, cioè del nero sedere, perchè così chiamavano i Greci gli uomini forti e robusti, e al contrario dicevano Leucopigo, cioè che ha il sedere bianco, a chi era molle ed effeminato. — Ercole si vede ordinariamente rappresentato con la clava in mano (emblema di desiderio e di prudenza), e con la pelle dd leone Nemeo (emblema di grandezza e generosità), ch'egli porta^ sopra un braccio o sulla testa. Talvolta tiene nella sinistra tre pomi d'oro, come segno d'aver domato la Voluttà e seguita la Virtù. Questo eroe trovasi spesso coronato di pioppo bianco; albero consacratogli per essersene cinto il capo quando discese all'Inferno; e la cui parte bianca delle foglie che aderivano al capo conservò il proprio colore, mentre quella esterna divenne nera per 11 fumo.
Gli animali sacri a Ercole erano: Folaga, dedicatagli quale emblema della sua voracità; perchè era ritenuto uccello grandemente vorace e ingordo. Narra la favola che Ercole, passando per l'isola di Rodi, sorpreso dalla fame, chiese a un contadino, che arava, di vendergli i suoi buoi per sfamarsi, ma avendo egli ricusato, Ercole staccò i buoi dall'aratro, e dopo averli immolati agli Dei se li mangiò con alcuni suoi compagni, ritenendo per sua parte un bue intero. Il povero contadino, disperato per la perdita dei buoi, non potendo vendicarsi, si mise a bestemmiare e maledire Ercole, di che egli ne rise, dicendo che mai mangiò con tanto piacere nel sentirsi ingiuriato. Ciò diede origine, quando Ercole fu fatto Dio, che la popolazione del paese gli consacrasse un altare detto Giogo del bue, sul quale sacrificavasi un paio di buoi col giogo; e durante la cerimonia i sacerdoti bestemmiavano e dicevano tutto il male possibile, credendo in quel modo rinnovare a Ercole il piacere ch'egli ebbe nel sentirsi bestemmiare e maledire dal contadino a cui mangiò i buoi. A proposito di questo sacrificio, si racconta che certi contadini, volendo sacrificare un bue a Ercole, essendo quello fuggito, lo sostituirono con un pomo, facendovi le gambe e le corna con dei pezzetti di legno. E dicesi che ciò fui cosa tanto grata e cara a Ercole, che d'allora in poi restò presso i tebani l'usanza di sacrificargli dei pomi. Leone, emblema della forza. Toro, che gli si sacrificava.







Bibliografia

Ronchetti G., Dizionario illustrato dei simboli, Hoepli, MIlano, 1928

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