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Età




Si definisce età ciascuno dei periodi in cui si è soliti ripartire la vita umana. Se dal punto di vista biologico il passaggio da un'età all'altra comporta una pluralità di trasformazioni del corpo, a livello cellulare, tessutale, di organi e di apparati (v. anche Il corpo e le età della vita), anche dal punto di vista psicologico è possibile suddividere l'arco della vita umana in periodi che corrispondono a fasi fondamentali dello sviluppo e dell'involuzione somatopsichica. Tuttavia i termini cronologici fissati per le varie fasce sono indicativi perché, al di là di alcuni criteri normativi, sussistono sia un'ampia gamma di particolarità individuali, etniche e familiari, sia variazioni relative ai diversi ambiti di ricerca. Sotto il profilo antropologico e sociologico, si possono individuare le modalità con cui le varie culture interpretano e valutano la collocazione delle diverse classi di età nella gerarchia di status e di ruolo.

sommario: Fasce d'età e aspetti psicologici. 1. L'infanzia. 2. La fanciullezza. 3. L'adolescenza. 4. Il decennio dell'efficienza. 5. Il decennio della crisi. 6. La maturità. 7. Il 'crepuscolo'. Età e cultura. 1. Classi d'età, ruoli e generazioni sociali. 2. La mappa di Laslett. □ Bibliografia.

Fasce d'età e aspetti psicologici di Umberto Signorato

1. L'infanzia
Gli aspetti dello sviluppo durante l'infanzia (0-5 anni) comportano modificazioni rapide e fondamentali della percezione, dell'emotività e del comportamento. Da uno stato di virtuale inconsapevolezza il bambino comincia ad attuare una distinzione fra sé e gli altri, passando da una condizione di semplice 'appendice' della madre al riconoscimento di altre persone individuali ed esterne a sé: i genitori, gli eventuali fratelli, gli estranei alla famiglia. È ormai chiaro che nel modellare la personalità concorrono sia fattori ereditari, sia fattori ambientali. Già dalle primissime fasi, infatti, la formazione della personalità dipende da una serie di condizionamenti e le influenze più precoci, ancora in grembo materno, non sono di ordine esclusivamente genetico, tanto che gravi stati d'ansia o turbamenti emotivi della madre durante la gravidanza possono comportare nascita prematura, aumento della morbilità e persino della mortalità fetale e neonatale, senza parlare della maggiore suscettibilità del bambino allo stress. In tutto il primo quinquennio la madre rappresenta il centro di riferimento per il bambino e la qualità dell'attaccamento si riflette in futuro sia sui rapporti con gli altri sia sul comportamento, sulla forma e il contenuto dei giochi, sulla stessa attitudine a imparare. Una mancanza prolungata della figura materna in condizioni istituzionali rigorose può indurre nel bambino un grave ritardo psicomotorio. Prima dell'apparizione del linguaggio, le abilità del bambino interessano principalmente l'apprendimento del controllo dei movimenti, l'autonomia nel camminare, l'esplorazione attiva dell'ambiente. Ancora prima di iniziare a parlare il bambino è in grado di articolare la maggior parte dei suoni necessari al futuro linguaggio e altri ancora. Segue poi il processo di eliminazione, durante il quale i fonemi che non compaiono nella lingua madre vengono esclusi. Quando il bambino comincia a pronunciare le parole giuste, sia pure approssimativamente, i genitori le perfezioneranno secondo la procedura dell'apprendimento per rinforzo (v. apprendimento). È probabile che gli altri tipi di apprendimento procedano in modo analogo all'acquisizione del linguaggio. Le esperienze che scandiscono le tappe della crescita si svolgono così per 'prove ed errori'. Il processo viene favorito od ostacolato dalle caratteristiche dominanti dell'ambiente, ma poiché le capacità conoscitive, emotive e relazionali del bambino si modificano con il trascorrere del tempo, un particolare aspetto dell'ambiente può essere decisivo in uno stadio evolutivo ed essere privo di conseguenze in un altro. Da ricordare infine che un tipico atteggiamento di quest'età è rappresentato dal cosiddetto egocentrismo infantile, cioè dalla tendenza a non rendersi conto che possano esistere altri punti di vista difformi dal proprio (Piaget 1936).

2. La fanciullezza
La fanciullezza (6-12 anni) è stata definita da S. Freud 'periodo di latenza', espressione che sta indicare quello stadio di sviluppo nel quale i forti istinti infantili si acquietano, tenuti per così dire in letargo, pronti a riesplodere con accresciuto vigore nella fase successiva, quella dell'adolescenza. Il bambino impara ora a soddisfare i propri bisogni istintivi in relazione alle aspettative della famiglia e della società, di cui introietta obbligazioni e restrizioni. Per il determinarsi del mondo dei valori personali assume rilevanza il ruolo della figura paterna: il figlio s'identifica con il padre e ne fa suo l'ordinamento etico-disciplinare. Con l'inizio della scolarizzazione si attribuisce capitale importanza all'organizzazione intellettiva della realtà, che sfocia nella formazione degli schemi astratti. Intorno ai 7-8 anni il bambino, cominciando la dematerializzazione del pensiero e l'acquisizione dei pensieri astratti, acquista la più importante arma di socializzazione, cioè la possibilità di dialogare con gli altri. Inoltre la fine del 7° e l'inizio dell'8° anno segnano il passaggio dallo stadio puerile a quello riflessivo. Con l'ingresso nel mondo della scuola il fanciullo impara a esplorare campi sempre più vasti. Gli insegnanti si affiancano ai genitori nel ruolo educativo: comprendendo e moderando i comportamenti istintivi dei loro allievi e favorendo in questi ultimi l'accettazione delle mutate richieste d'ambiente, essi concorrono ad armonizzare il loro processo di crescita. In questo periodo, grande importanza assumono gli amici: la capacità d'intrecciare amicizie accresce la sicurezza dei fanciulli, i quali possono scegliersi, in particolare, un compagno per affinità d'inclinazioni e d'interessi. In questa cornice, i confronti e le discordanze tra morale di famiglia e morale appresa in altri ambienti possono essere causa di profonde perturbazioni. Tra gli 8 e i 12 anni in più della metà delle fanciulle inizia lo sviluppo puberale con i connessi fenomeni emotivi, i cui riflessi si estendono all'ambito familiare. L'avvento della pubertà si accompagna a un'accelerazione dell'accrescimento globale. Lo sviluppo puberale è più precoce nelle femmine, che all'età di 11 anni sono, in genere, più alte e fisicamente sviluppate dei maschi loro coetanei (v. crescita). Le fanciulle con una pubertà precoce mostrano, poi, segni di un'esuberanza che non è riscontrabile nelle coetanee più tardive e sperimentano più presto interessi, emozioni e curiosità che si sono correlate strettamente con la sfera psicosessuale.

3. L'adolescenza
Durante l'adolescenza (12-18 anni) ha luogo il processo di costituzione del senso di identità: un processo di individuazione ancora più complesso di quello verificatosi verso la fine del primo anno, con la distinzione tra realtà interna e realtà esterna, tra sé e non sé. Alla più complessa differenziazione psicologica adolescenziale, al lento distacco dai legami affettivi con la famiglia corrisponde una maggiore fragilità psichica. In conseguenza dei ritmi di accrescimento e delle modificazioni esterne e interne, l'adolescente si sente insicuro ed estremamente contraddittorio: può essere alternativamente sottomesso e ribelle, asceta e intraprendente, egoista e idealista, a volte può incorrere in una vera e propria sindrome psichiatrica, spesso vive sentimenti di solitudine e di disorientamento. L'infanzia decisamente terminata, la vita adulta da iniziare con impegni precisi e limiti ben definiti, ma soprattutto la propria identità sessuale, maschile o femminile, da conseguire, con una spinta verso la scelta eterosessuale (o quella di un compromesso), creano situazioni di ansia, a volte di vero e proprio panico. Queste lotte per l'autorealizzazione condurranno a una sistemazione interna definitiva, che si esprimerà in una maggiore consapevolezza di sé. Se l'ingresso nella maggiore età coincide, o dovrebbe coincidere, con l'emergere di una nuova progettualità, il successo con cui il giovane realizzerà questo obiettivo e il dispendio emotivo richiesto saranno la misura di come egli ha superato la crisi adolescenziale.

4. Il decennio dell'efficienza
L'efficienza intellettiva arriva ai valori massimi intorno ai 16 anni. Salvo eccezioni, un incremento quantitativo dopo i 18 è molto raro. Lo stesso può dirsi per le principali attitudini specifiche, tenendo presente che, ovviamente, la maturazione attitudinale e la maturazione della personalità sono processi diversi. L'attitudine, approssimativamente definibile come potenzialità di apprendimento, si sviluppa come un processo naturale muovendosi secondo le linee di una predisposizione biologica al di fuori di condizionamenti esterni. I livelli più alti di performance fisiche e motorie coincidono con questo segmento d'età (18-30 anni). In questa fase si completa l'accrescimento staturale e viene realizzata la massima efficienza in tutti quei compiti che richiedono rapidità, precisione e destrezza. Una volta raggiunto l'apice, queste abilità si mantengono per una decina d'anni, dopodiché inizia la fase del declino. Comunque la parabola discendente è minore nei soggetti che partono avvantaggiati essendo maggiormente dotati all'origine e, in ogni caso, in coloro che si tengono in esercizio. Per quanto riguarda le categorie di abilità, le donne ottengono punteggi più alti nelle prove verbali, gli uomini nelle altre performance. Uno dei problemi più delicati di questa fascia d'età deriva dal fatto che i legami di eccessiva dipendenza psicologica dai genitori spesso perdurano a livello dell'inconscio anche molto tempo dopo che è stata raggiunta una relativa autonomia. Questa condizione può incidere profondamente su tutti i tipi di relazioni umane e a tutte le età e, in modo particolare, sugli avvenimenti che sono tra i più importanti e significativi della giovinezza, quali la scelta del partner, il matrimonio, la genitorialità. Così, per es., il sentimento di rivalsa nei confronti di uno o di entrambi i genitori e gli antichi conflitti irrisolti tendono a essere spostati sul coniuge, con grave rischio per la stabilità del rapporto, o, in altri casi, sui figli, provocando disturbi e interferenze sulla loro crescita e differenziazione psicologica. Anche nella scelta del lavoro e nella forza dell'impegno necessario a svolgerlo possono evidenziarsi le conseguenze di antiche conflittualità. Altri elementi di tensione possono emergere dalla condizione femminile: in genere la donna sposata che intraprende un lavoro e una carriera si trova ad affrontare difficoltà pratiche e psicologiche notevolmente superiori a quelle dell'uomo.

5. Il decennio della crisi
La quarta decade (30-42 anni) è considerata il periodo dell'assestamento. L'età dei 'quaranta' era per i greci il grande spartiacque della vita. Più recentemente, C.G. Jung (1930) ha parlato della 'crisi dei 37 anni'. Come nell'adolescenza, in questo periodo si risvegliano quei bisogni emotivi irrealizzati che sono stati temporaneamente messi da parte durante gli anni dello sviluppo biologico e sociale. La delusione nasce dalla constatazione del divario esistente tra le aspirazioni ideali della gioventù e la realtà effettiva. Il dubbio e la riflessione sono un segno del bisogno di impegnarsi nuovamente nella ricerca della sicurezza e dell'autostima. Spesso l'insoddisfazione viene attribuita al senso di costrizione per gli obblighi che sono inerenti al lavoro e alla famiglia, ma in genere essa nasconde antichi conflitti che vengono trasferiti e proiettati sulle figure significative del nuovo scenario: il partner, il capufficio, i concorrenti, i figli. È in questa stagione della vita che prendono corpo tanto un tentativo di rivalsa nei confronti delle proprie aspettative frustrate quanto un recupero di intense nostalgie di felicità, i quali spingono verso nuovi interessi e nuove amicizie.

6. La maturità
Nella maturità (43-60 anni) uomini e donne, sono meno arrendevoli. Le abitudini sono ormai consolidate e ogni cambiamento provoca difficoltà adattive. Ansia e preoccupazione si legano all'accresciuto senso di precarietà della vita: appare in forma relativamente precisa la consapevolezza della morte e del morire come esperienze terminali di 'fine del mondo', donde un bisogno generalizzato di sicurezza che si può manifestare attraverso un rinnovato interesse per la filosofia, la religione e le sue pratiche di culto. Il fatto è che, se a 30 anni era necessario adattarsi alle delusioni, ora bisogna affrontare la rassegnazione, rinunciare ai desideri di onnipotenza e valutare secondo una prospettiva più realistica il proprio posto nella società e la propria capacità d'influenzare gli avvenimenti. La disperazione nasce quando l'unica vita possibile non è accettata come definitiva e si considera troppo limitato il tempo per tentarne una nuova. E.H. Erikson (1959) individua come un compito essenziale dell'età matura la questione dell'integrità in contrapposizione a disperazione e avversione. L'integrità consiste nell'accettazione del proprio ciclo vitale e delle persone che vi hanno svolto un ruolo significativo, come un insieme che non poteva, di fatto, essere diverso, e nel riconoscimento della responsabilità della propria vita. A quest'età si comincia a capire meglio il proprio passato man mano che il presente lo ripropone a ruoli invertiti, come per es. succede ai genitori di mezza età quando si trovano alle prese con figli adolescenti (Kernberg 1980). Contribuisce a questo equilibrio, proprio della maturità, la risoluzione dei sentimenti di eccessiva invidia e di rivalità (Klein 1957), per cui è possibile identificarsi con le soddisfazioni e le realizzazioni dei giovani, provando gioia e gratitudine anziché risentimento. Se ben vissuta, questa stagione può riservare molte soddisfazioni. D'altra parte le modificazioni morfologiche e funzionali, i processi preinvolutivi e il climaterio sono fenomeni che mettono in luce l'opportunità di equilibrati adattamenti. Non sempre e non tutte le performance regrediscono allo stesso modo: le abilità complesse, per es., non manifestano segni di declino. È questa infatti la stagione in cui si possono conseguire i massimi risultati professionali e produrre alcuni dei contributi culturali e artistici più creativi.

7. Il 'crepuscolo'
Il periodo che comincia dopo i 60 anni può essere definito il 'crepuscolo'. Da un punto di vista psicologico, i ritmi di invecchiamento non sono uguali per tutti e le differenze di capacità operative e relazionali tra individuo e individuo tendono con gli anni ad aumentare. Eccettuati i casi in cui i processi degenerativi a carico dei vasi cerebrali o delle stesse cellule nervose sono molto avanzati, le funzioni psichiche non si deteriorano in maniera apprezzabile. Il pensiero può perdere d'immediatezza, ma coloro che in gioventù hanno goduto di notevoli capacità di giudizio continuano a beneficiarne, aggiungendo inoltre il frutto della loro esperienza. I risultati di indagini longitudinali hanno consentito di rilevare sugli stessi soggetti piccole variazioni del profilo di personalità, sulle quali domina incontrastata la continuità del carattere. Ciò vuol dire che ciascuno vive la vecchiaia alla quale si è preparato. Inoltre, a parità di altre condizioni, decadono più rapidamente le funzioni meno utilizzate nel corso della vita, mentre si conservano quelle esercitate più a lungo. Ne consegue l'importanza dell'attività nel corso di una senescenza fisiologica, pena un certo irrigidimento della condotta accentuato dalla scarsa adattabilità dell'anziano di fronte alle situazioni nuove. Il relativo mantenimento delle funzioni psichiche maggiormente utilizzate, nonostante le attività organiche che a esse sottostanno possano essere deteriorate, si può spiegare anche con i meccanismi compensatori che operano nell'uomo sulla base della sua esperienza e che tendono a mantenere invariate le organizzazioni percettive e le forme comportamentali. Così, per es., se la memoria si affievolisce, nei punteggi dei vari test il bagaglio culturale non denuncia perdite e continua, volendo, ad arricchirsi. Altrettanto succede per le prove di vocabolario, che tendono sovente a risultare più brillanti che in precedenza. In realtà, più che da veri e propri deficit di ordine fisiologico, molti tratti psicologici dell'anziano (per es., misantropia, avversione per persone o istituzioni, disgusto ecc.) sono imputabili all'effetto cumulativo di passate frustrazioni e dalla consapevolezza delle proprie limitazioni. Inoltre, l'interruzione di un lavoro protratto, a tempo pieno, può rappresentare, nella moderna società industriale, nella quale si sono persi il ruolo e il significato delle funzioni patriarcali, fonte di un disadattamento senza precedenti. Frequentemente, allora, l'introspezione e i rimpianti aumentano l'isolamento sociale degli anziani, il loro sentimento di solitudine, il loro senso di inutilità, quando, invece, in una significativa vecchiaia "la forza si estrinseca nell'interesse distaccato eppure attivo per la vita, un atteggiamento che chiamiamo 'saggezza' nelle sue molteplici accezioni, dall'intelligenza matura al cumulo di conoscenze, al giudizio spassionato, alla larga comprensione" (Erikson 1968, trad. it., p. 163).

Età e cultura di Marco Aime

1. Classi d'età, ruoli e generazioni sociali
Le fasi di evoluzione e involuzione biologica a cui il nostro corpo, come ogni altro organismo vivente, è sottoposto, si accompagnano nelle varie culture a un processo di interpretazione che si traduce in modi di classificazione e di distribuzione dei diversi ruoli sociali. Ogni cultura, infatti, attribuisce alle fasi della vita progetti e aspettative differenti, che determinano la struttura sociale e la stratificazione di comunità e società semplici, e a volte condizionano i rapporti umani anche in quelle complesse. Un esempio di quest'ultimo caso è fornito dal Giappone odierno. Nella società giapponese gli uomini si dividono in tre categorie fondamentali: i senpai (senior), i kohai (junior) e i doryo (colleghi). Tale divisione è basata sul rango, che a sua volta è determinato dall'anzianità: non solo dall'età biologica, ma anche da quelle di assunzione in una ditta, di laurea o di diploma. Di conseguenza, ogni individuo si rivolgerà al suo interlocutore con appellativi diversi. Infatti "questa partizione si ripresenta nelle tre forme in cui ci si rivolge a una seconda o terza persona; il signor Tanaka, per esempio, può essere chiamato Tanaka-san, Tanaka-kun o semplicemente Tanaka, senza suffisso. San si usa per i senpai, kun per i kohai e il nome senza suffisso è riservato ai doryo" (Nakane 1967, trad. it., p. 46). Il concetto di età di cui ogni società fa uso quotidiano è quindi un prodotto culturale, che spesso non viaggia di pari passo con il processo di invecchiamento fisico. Proprio perché è un prodotto culturale, siamo in grado di assegnare all'età un valore relativo e di usarla per scopi sociali (Bernardi 1984).
Tutte le culture operano una suddivisione del ciclo vitale in fasce più o meno ampie, più o meno determinate, individuando, di conseguenza, dei periodi di vita, ciascuno dei quali prevede comportamenti diversi. Nella nostra società definizioni come bambino, ragazzo, giovanotto, adulto, anziano esprimono forme di classificazione che corrono parallelamente al calcolo puntuale dell'età, operato attraverso la determinazione precisa della data di nascita. Il dato anagrafico, nella nostra società, è funzionale soprattutto al corpus di atti burocratici che dobbiamo compiere nella nostra vita e ad alcune scadenze previste dalla legge, che conferiscono alcuni diritti e doveri sulla base dell'età (diritto al voto, patente di guida, servizio militare, pensione di anzianità). Anche nelle società prive di burocrazia vengono però operate classificazioni simili a quelle citate, sulla base delle quali si modellano i comportamenti degli individui: si è tolleranti con un bambino, un po' meno con un ragazzo, ci si attende una certa maturità in un giovane, un senso di responsabilità maggiore in un adulto, mentre ponderatezza ed esperienza sono generalmente riconosciute come attributi tipici degli anziani. Tali classificazioni vengono definite 'gradi d'età informali', per distinguerli da quelli 'formali' i quali, invece, come vedremo successivamente, sono integrati in un sistema strutturato di classi d'età.
Il primo grado d'età informale di cui entriamo a fare parte è quello dei bambini. Sono molte le lingue che per definire tale categoria d'età usano un termine neutro, che non possiede caratterizzazioni né femminili né maschili. Un esempio è quello della lingua inglese, dove child non prevede distinzioni di sesso e a cui, quindi, corrisponde il pronome neutro it. Questo atteggiamento è significativo in quanto lega proprio all'età biologica l'attribuzione di un riconoscimento sociale. Nella fase dell'infanzia l'individuo non è ancora entrato a fare parte della rete di relazioni sociali che danno vita alla cultura di una comunità, e pertanto non necessita neppure di una precisa collocazione sessuale. Ogni cultura stabilisce, quindi, il passaggio dal primo al secondo grado d'età informale in base ad elementi diversi. Nella società occidentale contemporanea è la scuola a determinare la scansione delle prime fasce d'età, mentre presso molte popolazioni dell'Africa occidentale l'infanzia finisce quando un bambino è in grado di maneggiare una zappa e una bambina di portare la legna sulla testa: in pratica quando entrano a fare parte del ciclo produttivo.
È interessante notare come nel momento in cui i due sessi iniziano a distinguersi socialmente, anche i sistemi per scandire le loro età differiscono. Nelle società tradizionali di interesse etnografico generalmente le donne non sono inserite in un sistema di classi d'età strutturato. Esistono però per le donne gradi d'età informali, che sono determinati da fattori strettamente connessi con il processo riproduttivo: pubertà, matrimonio, primo parto, parti successivi, menopausa. Lo status della donna, in quelle società dove la riproduzione è una necessità inavocabile, è quasi sempre determinato dal suo essere o non essere madre. Pertanto la maternità della donna è un fondamentale marcatore d'età, che segna un passaggio di status, pur non essendo legato meccanicamente a un'età biologica precisa: essere sposa indica un'età, essere madre ne indica un'altra e così via. In questo contesto l'età biologica non viene del tutto ignorata, ma non rappresenta un elemento fondamentale di calcolo.
Tra i nyakyusa della Tanzania l'età dei maschi costituisce il fondamento delle divisioni territoriali, dando luogo a gruppi chiamati 'villaggi d'età'. I ragazzi trascorrono l'infanzia, fino a un'età di 10-11 anni, presso i loro genitori dedicandosi principalmente alla cura del bestiame. Quando si avvicinano alla pubertà, essi lasciano questa attività e raggiungono un villaggio, poco distante da quello dove risiedono le loro famiglie, formato da coetanei, dove si dedicheranno alla coltivazione dei campi. Presso molte altre società dell'Africa e dell'America Latina, l'intera vita degli uomini o almeno gran parte di essa è scandita da una successione di gradi di età che ne condizionano via via il comportamento.
Prima di descrivere i sistemi di classi d'età occorre chiarire che cosa si intende per grado d'età, classe d'età e sistema di classi d'età. Il grado d'età è la fase strutturale, legata all'età, che gli individui attraversano passando, dopo un numero determinato di anni, al grado successivo. La classe d'età indica invece il gruppo di individui coetanei che raggiungono e abbandonano assieme i diversi gradi previsti. Il sistema di classi d'età infine è quell'istituzione culturale e politica che mette in relazione classi e gradi, creando una struttura sociale che lega l'età degli uomini ai loro ruoli e status sociali. I sistemi di classi d'età "tentano di determinare un ordine cognitivo e strutturale all'interno e per una popolazione, creando categorie basate sull'età e sulla generazione, esattamente come un sistema di parentela. Essi assicurano una regolarità demografica e una stabilità sociale durevole all'interno della popolazione. Un sistema di classi d'età implica continuità e sostituzione di personale in modo ordinato e prevedibile, attraverso la collocazione dei nuovi membri che sostituiscono quelli deceduti" (Baxter-Almagor 1978, p. 5).
Sebbene i sistemi di classi d'età proposti dalle diverse culture presentino differenze assai marcate per struttura, periodicità e attribuzione di ruoli, si possono distinguere due modi fondamentali di reclutamento: quello 'iniziatico' e quello 'generazionale', anche se i due sistemi non si escludono a vicenda e talvolta, anzi, convivono nella stessa struttura sociale (Bernardi 1984). Il primo, simile a quello adottato dai masai (Kenya, Tanzania), prevede l'ingresso dei giovani maschi nel primo grado d'età in seguito a un'iniziazione collettiva. Via via che una classe d'età passa al grado successivo, ai suoi membri vengono attribuiti, in successione, ruoli come guerriero, capo famiglia, responsabile politico e religioso. Gli oromo (Etiopia, Kenya) adottano invece un complesso sistema che prevede dieci gradi, i quali coprono ottant'anni. In tale sistema un figlio dovrà sempre essere separato da quattro gradi d'età dalla classe di suo padre. Se nella nostra concezione il calcolo dell'età è un dato assoluto, determinato dall'accumulo dei giorni trascorsi dalla nostra nascita, presso altre culture l'attribuzione dell'età di un individuo non è solo il prodotto matematico di una sommatoria, ma passa attraverso altri fattori socialmente determinati. L'esempio sopra citato dei tre gradi giapponesi è un evidente caso di età relative. Un'istituzione particolarmente significativa è quella chiamata fraternal linking system, presente in numerose società dell'Africa occidentale basate sui sistemi di classi d'età. Tale istituzione prevede che due fratelli non possano fare parte della stessa classe d'età, anche se il numero di anni che intercorre tra le loro date di nascita è inferiore a quello del range della classe d'età. Per es. i tangba del Benin hanno gradi di età il cui reclutamento avviene ogni cinque anni; due fratelli, distanti fra di loro due anni per età, vengono però reclutati in due classi successive e non nella stessa. Questo perché lo spirito di eguaglianza, che accomuna i membri della stessa classe d'età, risulterebbe in contrasto con il primato d'età del fratello maggiore sul minore.
Un sistema di classi d'età crea quindi generazioni sociali che differiscono da quelle genealogiche. Una generazione genealogica è formata da uomini che condividono lo stesso livello genealogico, cioè i membri della generazione dei padri e degli zii, che sono seguiti dai loro figli e nipoti i quali formano la generazione successiva. Una generazione sociale è formata invece da uomini che sono riuniti in gruppi di pari età, pari status ecc. Le generazioni sociali devono pertanto avere confini incerti, poiché gli individui slittano impercettibilmente da una all'altra. Le classi d'età operano un appianamento delle differenze dovute al diverso sviluppo di ciascun individuo. A una determinata età biologica non corrisponde un grado di sviluppo fisico e intellettuale determinato. A pari età troviamo individui più maturi, altri più robusti e così via. Nelle società nelle quali l'età è determinata dalla maturazione sociale o biologica, prima o poi le differenze di sviluppo si appianano e non creano difficoltà. Se invece l'età è determinata da un calendario, o da altri riferimenti arbitrari, età e sviluppo spesso non coincidono. Pertanto l'inserimento in un gruppo a cui competono pari diritti e doveri comporta un livellamento, almeno per quanto riguarda la struttura sociale, anche se all'interno di ogni classe d'età vi saranno individui che emergono in modo informale, grazie alle loro doti individuali. Le classi d'età agiscono, quindi, ciascuna al proprio interno, come 'calmieri' delle differenze tra gli individui. Ognuno di noi può constatare nella realtà quotidiana, come le età fisiche non corrispondano meccanicamente a età sociali, mentali o sessuali. Ciascun individuo, infatti, porta con sé un bagaglio di esperienza e di caratteristiche personali che lo rende diverso da tutti i suoi coetanei. Le classi d'età, come le nostre classi scolastiche, compiono un'operazione di livellamento agli occhi della collettività; mettono in atto un appianamento delle differenze individuali e presentano alla comunità un gruppo di uguali, sforzandosi di fare dell'invecchiamento un processo culturale piuttosto che fisico. Tentano, cioè, di arrestare, almeno parzialmente, il flusso del tempo, unendo gli uomini insieme in gruppi e assegnando perciò segmenti di tempo definiti (Baxter-Almagor 1978, p. 24).

2. La mappa di Laslett
Se nelle società tradizionali agli anziani viene attribuito un ruolo importante, nel mondo occidentale, in particolare negli ultimi decenni del 20° secolo, accade il contrario. P. Laslett, storico inglese tra i promotori del Gruppo di Cambridge e fondatore delle prime università della terza età inglesi, propone una rilettura del ruolo degli anziani alla luce delle nuove speranze di vita offerte dalla nostra società (oggi 1/5 della popolazione dell'Occidente è costituita da pensionati e la percentuale è destinata ad aumentare). La cosiddetta terza età coincide con l'abbandono del mondo produttivo e gli anziani, per Laslett, sono visti come una categoria inadatta a compiere qualunque attività, improduttiva e pertanto passibile di emarginazione. Poiché però la vita media di noi occidentali si è allungata rispetto al passato, accade che un uomo sulla sessantina sia ancora potenzialmente attivo, anche se escluso dal processo produttivo, che viene considerato un fattore di integrazione sociale determinante. Laslett propone una nuova mappa della vita, segnata da quattro fasi fondamentali: "per prima viene una fase di dipendenza, di socializzazione, di immaturità e di educazione; a questa fase fa seguito un periodo di indipendenza, di maturità e di responsabilità, in cui l'individuo ha la possibilità di guadagnare e di risparmiare; è quindi la volta di una terza fase di realizzazione personale; e, infine, di una quarta fase segnata dalla dipendenza finale, dalla decadenza fisica e dalla morte" (Laslett 1989, trad. it., p. 39). La proposta innovativa di Laslett è rappresentata dal fatto che tale mappa non è legata a compleanni particolari, che la carriera di un individuo culmina nella terza età e che le diverse età non devono essere considerate come sequenze successive, ma, per es., la terza età può essere vissuta contemporaneamente alla seconda, o anche alla prima. È il caso di un atleta che raggiungerà il meglio di sé stesso nella prima età, vivendo così contemporaneamente la terza. La confusione tra il periodo identificato da Laslett come 'terza età' (realizzazione personale) con quello da lui definito 'quarta età' (dipendenza, declino fisico, malattia) è pertanto la causa dell'esclusione degli anziani da una serie di attività, in maniera particolare da quelle che sono fonte di guadagno.
Fin qui l'analisi è stata condotta sul piano della società, ma ogni individuo, secondo Laslett, è portatore di cinque tipi di età, definiti come segue. L'età cronologica (o di calendario) è basata sul computo degli anni dalla nascita e talvolta, in certe istituzioni, viene fatta coincidere con l'età biologica, anche se appare evidente che individui con lo stesso numero di anni non hanno per forza avuto uno sviluppo biologico uguale. L'età personale, che non deve essere espressa in termini cronologici, può essere definita come l'età che l'individuo stesso giudica di avere raggiunto. L'età sociale è l'età pubblica attribuita a una persona da amici e conoscenti, datori di lavoro e funzionari statali, che talora, ma non sempre o necessariamente, coincide con quella cronologica. Infine l'età soggettiva ha la caratteristica di essere determinata non dal semplice scorrere del tempo, ma da una successione interna di avvenimenti: "si potrebbe definire come ciò che rimane costante, così da rendere percepibile il mutamento che avviene invece nell'età personale, sociale e pubblica" (Laslett 1989, trad. it., p. 76).




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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