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Fabbro




L’arte del fabbro è, insieme con quella del vasaio, una
delle più antiche, e affonda le sue origini nel mito: il dio del
fuoco Efesto (Vulcano nel mondo romano) è descritto come
una sorta di fabbro degli dei; tuttavia, è rappresentato come
storpio e brutto d’aspetto. Nel mondo greco-romano il fabbro
sconta, del resto, il pregiudizio relativo ai lavori artigianali,
che infiacchiscono il corpo e sono meno nobili
dell’agricoltura (v. ARTIGIANO): già Esiodo non nasconde
una scarsa considerazione dei fabbri e invita i contadini a
evitare la loro bottega in inverno per svolgere invece attività
più proficue (cfr. Le opere e i giorni 493 ss.). Questo
mestiere è tuttavia fondamentale nell’economia antica, non
solo greco-romana; lo stesso Platone pone l’arte del fabbro
tra quelle necessarie (cfr. Epinomide 974e-975c:
l’attribuzione dell’opera è contestata).
Esopo ci descrive un fabbro al lavoro, alle prese con
incudine e martello, affiancato da un cagnolino (345 Ch.).
L’artigiano, coerente con le numerose figure di subalterni
presenti nella favolistica, appare operoso, a differenza
dell’animale, che anche la morale indica come una sorta di
parassita, felice di vivere alle spalle del padrone. In un’altra
narrazione i fabbri deridono un topo che porta via il
cadavere di un compagno morto di fame (Tetrastici 1,8). Gli
stessi attrezzi del fabbro possono diventare personaggi che
parlano (la lima: cfr. Esopo 77; 116 Ch.).






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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