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Fertilità




Si definisce fertilità la capacità di riprodursi degli esseri viventi con conservazione delle caratteristiche di specie; la mancanza di fertilità è detta sterilità. Per fecondabilità si intende, invece, la probabilità di concepire, per una data coppia, nell'arco di un certo tempo di rapporti non protetti.

sommario: Aspetti medici e demografici. Le dinamiche psicologiche della fertilità. Aspetti antropologici. 1. Troppi figli? 2. La donna e la terra. 3. Controllo delle nascite. □ Bibliografia.

Aspetti medici e demografici di Ettore Cittadini

La fecondabilità è una condizione intrinseca della coppia e può essere considerata una variabile biologica che si esprime come potenzialità. Per una coppia apparentemente sana che abbia rapporti non protetti, la probabilità di concepire sale dal 30% al primo tentativo fino al 90% nell'arco dei dodici mesi successivi, secondo le statistiche più accreditate. Come tutte le variabili biologiche, la fecondabilità fluttua all'interno di una popolazione. Tra gli estremi di fecondabilità nulla (che si identifica con la sterilità) e di fecondabilità massima esistono tutti i gradi possibili di espressione di questo parametro, sintesi della potenzialità riproduttiva dei due partner. Indagini realizzate su un determinato campione di coppie hanno evidenziato come la fecondabilità media di una popolazione si riduca con il tempo: dopo un anno di insuccessi, la fecondabilità media è stimata pari al 10,6%, riducendosi così a quasi 1/3 del valore iniziale; dopo due anni è del 3,1% e dopo cinque anni è soltanto dello 0,3%. Inoltre, dopo cinque anni, il 91,2% delle coppie che non hanno concepito deve essere ritenuto sterile. Gradualmente nel tempo si selezionano, quindi, quelle coppie che richiedono un trattamento o che sono destinate a rimanere definitivamente sterili. Il fissare, inoltre, un termine preciso per parlare di sterilità riveste una notevole importanza pratica, in quanto permette di stabilire il momento in cui è lecito iniziare l'esplorazione clinica e attuare un eventuale trattamento della coppia sterile.
Tuttavia, l'adozione di differenti criteri di identificazione (definizioni della sterilità) appare incidere sensibilmente sulle stime epidemiologiche del fenomeno, tenendo conto che: a) la semplice astensione da ogni intervento rappresenta, per le coppie ipofertili, una scelta terapeutica (in una popolazione a fecondabilità media, dopo un anno, del 10,6%, la probabilità di concepimento nei dodici mesi successivi è nell'ordine del 61,3%); b) l'effetto di eventuali trattamenti di coppie ipofertili non può essere misurato attendibilmente a causa della possibilità di concepimenti spontanei, non influenzati dalle cure. Il 'possesso' della fertilità da parte di una coppia comporta la normalità di una serie di eventi che si susseguono nella biologia delle prime fasi della vita di un nuovo individuo, comprese tra l'interazione e la fusione dei gameti (ovocita e nemasperma) e l'instaurarsi dell'intimo contatto del pre-embrione con l'organismo materno, nonché, successivamente, la sequenza di eventi e fattori anatomofunzionali, che consentono il normale sviluppo dell'embrione prima e del feto dopo (v. cap. Dal concepimento alla nascita; embrione; fecondazione).

Le dinamiche psicologiche della fertilità di Isabella Coghi

La fertilità è sempre stata considerata nelle varie società ed epoche come un valore fondamentale, qualunque fosse il piano culturale di riferimento, mentre, per converso, la sterilità è stata sempre percepita e rappresentata come disvalore sociale, in grado di provocare una profonda crisi a livello esistenziale. La fertilità, come capacità di generare un essere nuovo diverso da sé, può contare su garanzie biologiche formidabili che si sono venute evolvendo nel corso del tempo. Nella specie umana, il processo evolutivo ha comportato un progressivo sganciamento della riproduzione da alcuni meccanismi più elementari (per es., l'alternarsi delle stagioni e, quindi, la durata del periodo di luce) per inserirla in una rete di meccanismi molto più sofisticati nei quali assume un ruolo rilevante il sistema nervoso centrale (corteccia cerebrale, strutture limbiche, ipotalamo, ipofisi ecc.). Questo garantisce una correlazione tra sistema endocrino e sistema nervoso vegetativo, coordinando anche una serie di risposte agli stimoli esterni (ambientali) e interni (psichici). Si stabilisce in tal modo un'integrazione psiconeuroendocrina che è alla base dell'entità corpo-mente caratterizzante la nostra specie.
La possibilità di realizzare la propria fertilità presuppone quindi una buona integrazione corpo-mente che ha radici lontane. Le complicate influenze fisiologiche e psicologiche delle prime fasi della vita contribuiscono - attraverso il duplice processo di separazione dalla figura materna, vista come onnipotente durante la prima infanzia, e di acquisizione dell'identità di genere e dell'identità sessuale che si completa all'epoca dell'adolescenza - alla costituzione e allo sviluppo della persona e allo stabilirsi della propria immagine corporea e della rappresentazione del Sé individuale. Pertanto, la convergenza di influenze fisiche e psichiche permette il processo di formazione della propria identità personale sia corporea sia psichica, comprese la consapevolezza e la fiducia nella propria capacità di riprodursi. La donna, in particolare, mentre la maturazione fisica la rende concretamente simile alla propria madre, si trova a dover elaborare sul piano psichico un sentimento ambivalente e contrastante di identificazione con le capacità femminili della madre e, al tempo stesso, di separazione da lei.
D.W. Winnicott (1958) sostiene l'importanza del ruolo materno nel promuovere l'ambiente in cui maturano i primi stadi di sviluppo del Sé; infatti, ove i bisogni del bambino non siano adeguatamente soddisfatti, si possono costituire uno scarso senso di autostima e le relative difficoltà ad accedere al desiderio e, conseguentemente, alla capacità di dare e ricevere amore. Se la prima esperienza con la madre non ha permesso alla bambina piccola di interiorizzare una sensazione di soddisfazione corporea tra sé e la madre, si possono instaurare o una difficoltà o un blocco dello sviluppo della sua femminilità per la mancanza di una stabile sensazione di benessere e di fiducia. Per il bambino sono passaggi evolutivi importanti maturare il distacco dall'identificazione primaria con la madre, accedere all'identificazione con il padre ed elaborare il conseguente desiderio edipico di dare un figlio alla propria madre.
Nel mondo psicoanalitico si dibatte sulla possibilità della trasmissione della vita psichica tra le generazioni per quanto attiene sia agli aspetti positivi sia a quelli più chiaramente patologici. Rispetto al problema della sterilità, può costituire un nodo patologico particolarmente pregnante il 'non-detto', il 'segreto' sepolto nell'inconscio, che può passare non elaborato dai genitori ai figli, e da questi ai figli dei figli. Per es., un non-detto rispetto all'inseminazione eterologa potrebbe andare a depositarsi nella profondità dell'inconscio del bambino, rappresentando così un'incognita rispetto all'interferenza che potrà avere sulla generatività di quel soggetto. Se queste sono le premesse lontane, da un punto di vista psicodinamico, di un buon assetto interno 'fertile', molto importante è anche la vicenda relazionale della coppia generante. Generalmente una coppia si forma quando due individui si innamorano: scatta un gioco reciproco, più o meno inconscio, di proiezioni, idealizzazioni che di regola vengono prima o poi ridimensionate e il partner viene visto e riconosciuto come oggetto nella sua realtà. Si avvia così un processo maturativo che permette di accedere alla separatezza, alla reciprocità, alla condivisione, con una continua dialettica tra la dimensione affettiva, emotiva e corporea, inclusa la sessualità. Se si verificano queste condizioni, nella coppia può prendere corpo il desiderio di un figlio, sia come una continuità trasformativa del Sé della coppia sia come reale concretizzazione del processo creativo: si può così configurare quello spazio potenziale per il terzo, il figlio fantasticato, una qual sorta di spazio di gestazione psichica, nel quale la coppia comincia a disegnare con l'immaginazione il profilo sia del figlio sia delle reciproche funzioni genitoriali. Se i partner invece sono confusi nella loro reciproca identità o non sono persone sufficientemente differenziate tra loro, difficilmente si può costituire lo spazio potenziale per questo desiderio.
Nel complesso mondo che sta dietro al desiderio di un figlio esistono razionalizzazioni di tipo sociale e individuale quali: l'affermazione del proprio ruolo sociale in quanto genitore; l'aumento della coesione familiare; la garanzia della discendenza; l'avere figli in particolari periodi storici come disponibilità di forza lavoro o come soldati per la guerra; la conferma esplicita della propria virilità per l'uomo e della propria capacità di generare per la donna. Su un piano profondo, è un desiderio che nasce dal soddisfacimento di bisogni narcisistici tanto nel senso di poter amare una copia di sé come in uno specchio, quanto come possibilità di pensare che una parte di sé sopravviverà e, quindi, di poter affrontare la paura della morte e di garantire una continuità generazionale attraverso il figlio che a sua volta genererà. Inoltre può significare potersi prendere cura del proprio 'Sé bambino' tramite le cure prodigate al figlio, quale espressione riparatrice di carenze di cure materne, soddisfacendo al tempo stesso il bisogno di superare i genitori nella funzione genitoriale, sia qualitativamente sia quantitativamente.

Aspetti antropologici di Marco Aime

1. Troppi figli?
Alla conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sul tema 'Popolazione e sviluppo', tenutasi al Cairo nel settembre 1994, sono emerse due posizioni distinte e contrapposte: da un lato, i rappresentanti dei paesi del Nord del mondo denunciavano l'eccessiva crescita demografica dei cosiddetti paesi in via di sviluppo; dall'altro, questi ultimi rivendicavano invece il diritto ad avere molti figli, unica garanzia di sopravvivenza, in età avanzata, all'interno di società che non prevedono forma di assistenza alcuna se non quella apportata dalla propria prole. Tale opposizione di vedute è significativa in quanto mette in luce il ruolo dei figli nelle società di interesse etnografico. Secondo un'ipotesi formulata da J.C. Caldwell (1977), esistono due tipi di regime di fecondità: il primo, in presenza di un patrimonio familiare da trasmettere, nel quale un elevato numero di figli è considerato economicamente svantaggioso; il secondo, in assenza di patrimonio, nel quale, al contrario, risulta vantaggioso sotto il profilo economico mettere al mondo molti figli. Da studi condotti sul continente africano è risultato che, tenendo conto del tasso di mortalità infantile e della percentuale di nascita di figlie femmine (destinate a lasciare la casa paterna in seguito al matrimonio), un padre di famiglia, se vuole raggiungere l'età di 60 anni con due figli maschi in vita che possano accudirlo, deve mettere al mondo in media otto figli. Un'eccezione è costituita dai gruppi dediti all'allevamento: in questi infatti, essendoci un patrimonio (gli armenti) da trasmettere in eredità, viene praticato un controllo delle nascite per ridurre il numero di figli a una media di sei-sette per famiglia. L'importanza dei figli in contesti come quelli delle popolazioni agricole africane è sottolineata anche dal particolare status ottenuto dalla donna in quanto madre. Con il primo parto la donna acquisisce una posizione sociale particolare, che le conferisce diritti e prerogative negati alle ragazze nubili o non ancora madri. A evidenziare ulteriormente la considerazione del ruolo di 'produttrice di produttori' sono le sanzioni nei confronti delle donne considerate sterili. Presso i mossi del Burkina Faso, per es. (ma si tratta di un atteggiamento diffuso presso molte popolazioni africane), una donna sterile può essere abbandonata dal marito; spesso viene espulsa anche dalla propria famiglia e condannata a morire nella savana. L'incapacità a mettere al mondo figli viene inoltre spesso associata ad accuse di stregoneria, in seguito alle quali la donna può essere emarginata dalla famiglia e dalla comunità stessa, oppure essere sottoposta a rituali riparatori. Presso gli ndembu dello Zambia si pensa che una donna che abortisce o è sterile abbia offeso un'ombra, la quale esce dalla tomba e si siede sul suo corpo fino a che un rituale apposito non la renda propizia (Turner 1967).

2. La donna e la terra
La fertilità della donna nelle società di coltivatori è spesso associata a un altro evento di vitale importanza: la fertilità della terra. Quest'ultima è quasi sempre rappresentata al femminile, in contrapposizione al cielo di sesso maschile. "La donna è il campo e il maschio è il dispensatore di sementi" è scritto in un antico testo vedico; negli scritti islamici la donna viene spessa chiamata 'campo' o 'vigna' e il Corano recita: "Le vostre mogli sono per voi come dei campi" (Eliade 1948, trad. it., p. 268). Presso quasi tutte le culture si trovano forme cerimoniali che legano i riti propiziatori per il raccolto con l'auspicio che le donne della comunità possano mettere al mondo molti figli. L'osservazione dei fenomeni naturali ha reso piuttosto evidente l'analogia tra il seme che cadendo nel solco feconda la terra per dare nuovi frutti e l'atto sessuale. Analogia che ricompare in numerose mitologie provenienti da tutte le parti del pianeta. Così come si riscontrano spesso, anche nelle credenze popolari nostrane, pregiudizi e comportamenti legati all'accostamento tra la fertilità della donna e quella della terra: si dice che una donna mestruata (quindi non fertile) non deve toccare fiori o piante e soprattutto non seminare o piantare nulla perché ne impedirebbe la crescita. Significativamente, nell'Europa antica la figura della levatrice era spesso collegata ai culti della pioggia e della fertilità agricola.
Secondo gli indios jivaros, che abitano la foresta amazzonica dell'Ecuador orientale, la fertilità della donna dipende da un'azione combinata della luna nuova - alla quale viene attribuita la responsabilità delle mestruazioni - e del rapporto sessuale. Anche in questo caso l'atto sessuale viene assimilato all'azione della semina e pertanto occorre tenere conto dell'influsso della luna, che favorirà lo sviluppo del feto, così come favorisce il germogliare del seme. Fra gli yakö della Nigeria orientale, organizzati in lignaggi matrilineari (dove la discendenza non passa per linea paterna, cioè di padre in figlio, ma per linea materna, dal padre al figlio della sorella), i quali a loro volta fanno parte di clan matrilineari, i clan, talvolta dispersi sul territorio, costituiscono soprattutto delle unità rituali per quanto riguarda la fertilità delle loro donne. Ogni clan è infatti associato a un santuario (ase) dedicato agli spiriti della fertilità. I sacerdoti responsabili (bi'ina) formano un consiglio permanente al quale vengono richieste pace, prosperità e fertilità (Essays on the ritual... 1962).
Presso i tangba del Benin settentrionale, ogni cinque anni si svolge la cerimonia del Kpama. In occasione di tale evento, connesso al passaggio degli uomini da un grado d'età a quello superiore, si celebra un rituale legato alla fertilità femminile. Il sacerdote incaricato si reca di notte, accompagnato dai giovani e dalle donne che non hanno ancora figli, nel luogo dove sorgeva originariamente il villaggio. Qui, nel mezzo di un boschetto sacro, viene dissotterrata una giara contenente birra di sorgo, sepolta cinque anni prima in occasione della cerimonia precedente. Le donne che berranno questa birra otterranno rapidamente la fertilità e potranno vedere realizzati i loro matrimoni con la nascita di numerosi figli. Terminata la vecchia birra, la giara viene riempita con bevanda fresca portata fino lì da una fanciulla vergine e nuovamente seppellita.
I siriono dell'alto bacino del Rio delle Amazzoni eseguono periodicamente, nelle notti di luna piena, danze circolari propiziatorie per la fertilità sia delle donne della comunità sia degli animali che dovranno cacciare. Gli uomini formano un cerchio e, tenendo il viso rivolto verso l'alto, danno inizio alla danza, nel corso della quale lanciano grida acute e cantano in coro storie di battute di caccia. Le donne formano un cerchio a parte e, tenendo ognuna un braccio sulla spalla dell'altra, intonano un canto a bassa voce, pronunciando nomi di uccelli, animali, alberi e piante. Di tanto in tanto una donna spezza il circolo femminile e corre verso quello maschile additando il proprio marito. Raggiuntolo, lo invita esplicitamente a seguirla e a giacere con lei. Questo è un esempio tipico di danza a carattere sessuale, un motivo che si ritrova in molte cerimonie legate alla fertilità, dove la rappresentazione dell'accoppiamento, spesso esasperata e teatralizzata, diventa un atto propiziatorio alla nascita di nuovi figli.

3. Controllo delle nascite
Se presso alcune società è importante mettere al mondo molti figli, per altri gruppi è invece determinante limitarne il numero. Un sistema di controllo delle nascite messo in atto da molte popolazioni di cacciatori-raccoglitori, come, per es., i boscimani del Kalahari, è quello dell'allattamento prolungato al fine di distanziare i parti. Le donne boscimane sono costrette a lunghi spostamenti per procurarsi il cibo quotidiano, composto principalmente di bacche e frutti selvatici. La necessità di trasferire gli accampamenti, per sfruttare le risorse naturali, costringe inoltre le famiglie boscimane a ulteriori spostamenti nel deserto. È stato calcolato che nel corso di quattro anni, il periodo di dipendenza del bambino dalla madre, una donna boscimana compie oltre 7000 chilometri tra spedizioni per la raccolta del cibo e trasferimenti di accampamento (Harris 1977). Il tutto con un figlio in braccio. Appare ovvia quindi la necessità di non avere più di un bambino da trasportare. La risposta culturale a questa situazione consiste nel distanziare di almeno quattro anni un parto dall'altro. Dopo questo periodo, infatti, il primo figlio sarà già in grado di seguire, camminando, la madre nelle sue spedizioni, e quest'ultima potrà accollarsi il peso del nuovo arrivato. Per ottenere tale 'scaglionamento' delle nascite, si sfrutta il meccanismo fisiologico che riduce la fecondità delle donne che allattano. Dopo il parto, la donna non ha nuove ovulazioni fino a che il suo corpo non ha acquistato una percentuale di grasso corrispondente all'incirca al 20-25% del suo peso totale. Un bambino allattato al seno sottrae alla madre circa 1000 calorie al giorno, rendendole così difficile accumulare il grasso necessario al raggiungimento di un nuovo stato di fecondità. Grazie al prolungamento dell'allattamento, le donne boscimane riescono dunque a controllare le nascite, distanziando i parti in relazione alle loro necessità.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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