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Feticismo





Per raggiungere l’eccitazione sessuale, i feticisti hanno bisogno di usare un oggetto inanimato, spesso un articolo di biancheria intima femminile, o una scarpa, oppure una parte genitale del corpo. Molte di queste pratiche feticiste non causano danno a se stessi o ad altri e non vengono considerate disturbi parafilici. Freud ha originariamente spiegato il feticismo come un fenomeno generato dall’angoscia di castrazione. Secondo Freud nel feticista convivono due idee contraddittorie: la negazione e l’affermazione della castrazione. Il feticcio rappresenta entrambe. Greenacre (1970, 1979) considera che il feticismo ha origine in disturbi pregenitali, precedenti la formazione di una vera e propria angoscia di castrazione. Interazioni traumatiche croniche nei primi mesi di vita possono pertanto risultare determinanti nello sviluppo del feticismo. A causa di gravi problemi nella relazione madre-figlio, il bambino non può essere consolato dalla madre o da oggetti transizionali. Per provare questo senso di integrità corporea, il bambino ha quindi bisogno di un feticcio, di qualcosa che sia «rassicurante in quanto solido, inflessibile, immutabile nella forma, e credibilmente duraturo». Kohut (1977) ha sviluppato una visione abbastanza simile del feticismo, sebbene espressa in termini della psicologia del Sé. Kohut ha descritto un paziente la cui infanzia era stata caratterizzata da una traumatica non disponibilità della madre. Il paziente aveva fatto della biancheria intima della madre un feticcio, che serviva come sostituto dell’oggetto-Sé non disponibile. In contrasto con i sentimenti di impotenza nei riguardi della madre, egli poteva avere un controllo completo sulla versione non umana di un oggetto-Sé. Scritti più recenti hanno ampliato il concetto di feticismo, fino a includerlo all’interno di uno spettro di fenomeni che controllano l’ansia attraverso l’assegnazione di aspetti magici e illusionali a un oggetto esterno.



Bibliografia

Gabbard, G. O., Psichiatria psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5, Raffaello Cortina, Milano, 2015

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