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Fobia




Fobia, dal greco ϕοβία (dal tema di ϕοβέομαι, "temere"), indica genericamente una forma di avversione istintiva oppure di forte intolleranza nei confronti di qualche cosa. In psichiatria può essere definita come un 'evitamento' sconvolgente mediato dalla paura, di tipo sproporzionato rispetto alla pericolosità effettiva di un oggetto o di una situazione e spesso riconosciuto dallo stesso individuo che ne è affetto come privo di fondamento.
 
sommario: 1. Caratteristiche e classificazione delle fobie. a) Fobie semplici . b) Agorafobia. c) Fobie sociali . 2. Teorie esplicative. a) Teoria psicoanalitica . b) Teorie comportamentali . c) Teorie cognitive . 3. Tipi di trattamento terapeutico. a) Terapia psicoanalitica. b) Terapie comportamentali e cognitivo-comportamentali  □ Bibliografia.

1. Caratteristiche e classificazione delle fobie

Schematicamente la fobia si contraddistingue per i seguenti caratteri: sproporzione rispetto alla situazione; irrazionalità; involontarietà e, perciò, incontrollabilità; 'evitamento' della situazione temuta (Marks 1969). Una fobia appare dunque caratterizzata da un desiderio potente di evitamento, mentre quando si verifica l'esposizione alla situazione temuta si produce un'ansia molto intensa con tutte le manifestazioni a essa associate, compresa una forte attivazione psicofisiologica con sintomi come sudorazione profusa, tachicardia, tremore, vertigine, secchezza delle fauci, tensione muscolare ecc. Una delle classificazioni più comunemente accettate delle fobie è la seguente (Marks-Gelder 1966).

a) Fobie semplici
Sono quelle che si presentano più raramente nella pratica clinica: esse colpiscono soltanto il 3% di tutti i soggetti fobici; sono presenti in maggioranza nelle donne e iniziano spesso nella prima infanzia. Nella categoria delle fobie semplici, a volte monosintomatiche e che possono comparire in diversi periodi della vita, troviamo quella per gli animali, quelle dei luoghi elevati, del buio, del tuono, del viaggiare, degli spazi chiusi, del guidare l'auto, dello sporco, delle malattie ecc.

b) Agorafobia
Il termine deriva dal greco ἀγορά, "piazza, mercato". È una fobia particolarmente complessa, costituita da un insieme di paure centrate sugli spazi aperti, che rende l'individuo del tutto invalido e incapace di affrontare la situazione senza ricevere aiuto. Spesso alla paura di uscire di casa, che è la più invalidante, se ne possono accompagnare altre, come quelle di trovarsi in mezzo alla folla, di viaggiare, di restare da solo ecc. L'agorafobia è la fobia più comune nella pratica clinica, colpisce in maggioranza le donne e costituisce circa il 60% di tutte le fobie, percentuale stimata probabilmente per difetto, in quanto i soggetti più gravemente colpiti sono incapaci di uscire di casa perfino per recarsi nello studio del terapeuta o in clinica per la terapia (Davison-Neale 1986).

c) Fobie sociali
Con questa locuzione si intende riferirsi a tutte quelle forme di paura intensa che sono legate alla presenza di altre persone e alle situazioni in cui l'individuo può essere osservato nei suoi comportamenti, come il parlare in pubblico, mangiare in pubblico, esprimere le proprie opinioni, formulare delle richieste ecc. Pur essendo una fobia abbastanza diffusa, i casi in cui viene richiesto l'intervento terapeutico sono meno numerosi rispetto all'agorafobia. Anche per questo tipo di fobia tra i soggetti colpiti si evidenzia una maggioranza di donne rispetto agli uomini.

2. Teorie esplicative
 
a) Teoria psicoanalitica
Dalla psicoanalisi le fobie sono concepite come una difesa contro l'ansia prodotta dalle pulsioni rimosse dell'Es, che si realizza attraverso lo spostamento dell'ansia stessa dalla pulsione temuta verso un oggetto o una situazione esterna che presenta una qualche connessione simbolica con essa. Oggetti o situazioni esterne, come le automobili, i cani, i serpenti, i luoghi chiusi o affollati ecc., diventano allora, in modo apparentemente inspiegabile e casuale, forti stimoli fobici. Così l'unico modo di difendersi per l'individuo è l'evitamento dello stimolo, il quale lo conduce anche all'evitamento del rapporto con i suoi conflitti rimossi che lo stimolo rappresenta (Freud 1909). Secondo una teoria psicoanalitica più recente, nelle fobie la rimozione non interessa una pulsione dell'Es, ma concerne piuttosto un problema interpersonale vissuto nell'infanzia (Arieti 1979).

b) Teorie comportamentali
Alla base della teoria comportamentale vi è l'assunto secondo cui i comportamenti umani sono appresi stando a leggi ben precise (Hilgard-Bower 1966): anche le fobie rispondono a queste leggi e costituiscono pertanto dei comportamenti appresi. Tuttavia, esistono varie teorie comportamentali, le quali, pur condividendo l'importanza centrale dell'apprendimento, si differenziano per l'accento che pongono sulle sue leggi. Per es. la teoria del 'condizionamento all'evitamento' (Mower 1947) postula che attraverso il condizionamento classico un individuo può apprendere a temere uno stimolo neutro (stimolo condizionato), quando esso è associato a un evento doloroso o pauroso per l'individuo stesso (stimolo incondizionato). Tuttavia le reazioni fobiche vanno considerate alla luce delle conseguenze che esse provocano, cioè secondo l'ottica del 'condizionamento operante' (Skinner 1953). In altre parole, se i comportamenti di evitamento vengono in qualche maniera ricompensati o gratificati dall'ambiente, aumenterà in misura notevole l'eventualità che essi si ripetano. Le risposte fobiche possono essere apprese anche imitando quelle degli altri (modeling); in tal caso si parlerà di 'condizionamento vicario' (Bandura-Rosenthal 1966).
 
c) Teorie cognitive
Secondo queste teorie, per la comprensione delle fobie non sono tanto importanti le situazioni-stimolo che provocano la risposta fobica, né gli impulsi inconsci sottostanti, bensì i processi cognitivi che precedono l'attivazione emotiva di tipo fobico; l'accento viene dunque posto sulle valutazioni coscienti che l'individuo produce nelle situazioni per lui ansiogene. In particolare, per l'agorafobia si è ipotizzato che tali valutazioni coscienti si riferiscano principalmente alla convinzione di poter perdere il controllo di fronte agli estranei considerati come pericolosi, critici e giudicanti, o alla convinzione di essere deboli di salute e perciò bisognosi di costante supporto medico (Beck-Rush 1975; Beck 1976; Beck-Emery 1985). Un altro approccio nella prospettiva cognitiva considera fondamentale per la genesi delle fobie le cosiddette convinzioni irrazionali riguardanti l'approvazione altrui, l'irrinunciabilità di ottenere quello che si desidera e le capacità di autoaccettazione delle sensazioni spiacevoli (Ellis 1979). Sempre in ambito cognitivista si è sviluppato negli ultimi anni del 20° secolo un modello strutturalista che prospetta un'organizzazione cognitivo-comportamentale articolata in livelli gerarchicamente diversi fra loro (Guidano-Liotti 1983) e propone una particolare spiegazione dell'agorafobia (Liotti 1981), basata sull'analisi dei 'pattern di attaccamento', dei sistemi di rappresentazione (immagini mentali e dialogo interno) e delle convinzioni individuali. In questa prospettiva si è anche cercato un 'pattern psicofisiologico' dell'organizzazione cognitivo-comportamentale di tipo fobico, in cui si è potuto osservare, all'inizio di un trattamento di biofeedback, come la paura di perdere il controllo sulle proprie emozioni trasformi la percezione di rilassamento in una percezione di pericolo a cui rispondere con un aumento della vigilanza; i soggetti fobici, infatti, all'abbassarsi della tensione muscolare verificata tramite elettromiografo, rispondono con una reazione di allarme segnalata dall'aumento dei valori della conduttanza cutanea (Reda-Arciero-Blanco 1986).

3. Tipi di trattamento terapeutico
a) Terapia psicoanalitica
L'obiettivo strategico principale del trattamento analitico consiste nel portare a livello cosciente i conflitti rimossi che si ritengono alla base della sintomatologia fobica. Questo approccio trova spiegazione nell'ambito del contesto teorico che considera la fobia un sintomo, un segnale dell'esistenza di conflitti profondi e pertanto non trattabile direttamente nella sua manifestazione sintomatica. Anzi, l'intervento diretto sulla fobia è addirittura controindicato, in quanto si ritiene che il sintomo fobico protegga l'individuo dai conflitti inconsci rimossi che sarebbero per lui troppo traumatici da affrontare. Per trattare in maniera adeguata i meccanismi di rimozione si ricorre alle classiche tecniche psicoanalitiche, come la tecnica delle libere associazioni, l'interpretazione dei sogni e degli atti mancati ecc., che costituiscono l'impalcatura della terapia psicoanalitica, insieme all'analisi e alla revisione della storia personale dell'individuo.

b) Terapie comportamentali e cognitivo-comportamentali
Quali che siano le prospettive teoriche all'interno del vasto panorama cognitivo-comportamentale, la grande maggioranza dei terapeuti si serve di un ampio ventaglio di tecniche. La più utilizzata fra queste è la desensibilizzazione sistematica (DS), la cui procedura si articola nelle seguenti fasi (Sacco 1989): 1) preparazione di una gerarchia di stimoli ansiogeni posti in ordine crescente di intensità; 2) addestramento del paziente al rilassamento progressivo; 3) visualizzazione in stato di rilassamento della situazione in cui è presente lo stimolo meno ansiogeno finché il paziente è completamente rilassato; 4) passaggio alla scena successiva della gerarchia. Il principio su cui si basa la desensibilizzazione sistematica è secondo J. Wolpe (1958, 1969) quello della 'inibizione reciproca', per il quale la risposta d'ansia è inibita dallo stato antagonista di rilassamento. Un'altra tecnica di intervento sulle fobie è costituita dalla coping imagery, che è in sostanza un'estensione della DS, con la quale spesso si può integrare (Meichenbaum 1977; Sacco 1989). Essa consiste essenzialmente nell'addestrare il paziente a produrre situazioni ansiogene in immaginazione e farvi quindi fronte (coping) attraverso una serie di abilità apprese in precedenza. Il terapeuta cerca, in primo luogo, di aiutare il paziente a identificare i pensieri ansiogeni, facendogli notare come essi gli arrechino ansia e come sia possibile affrontarli attraverso autoistruzioni opportune, che possono condurre in un secondo tempo a comportamenti più adeguati. Anche in questo caso il paziente viene addestrato al rilassamento e alla costruzione della gerarchia di scene ansiogene, come avviene nella DS. Tuttavia, rispetto a quest'ultima, nella coping imagery vengono introdotti alcuni importanti cambiamenti: se un paziente prova ansia durante l'immaginazione di una scena, gli viene suggerito di concedersi di provarla e poi immaginarsi mentre l'affronta usando la tecnica di rilassamento e le autoistruzioni apprese in precedenza. I processi immaginativi, come si può sottolineare, assumono un ruolo di fondamentale importanza nell'applicazione delle tecniche di intervento terapeutico (Sacco 1994), inteso sia come intervento principale sia come intervento propedeutico a quello in vivo sulla problematica di tipo fobico. Questa rilevanza è stata ulteriormente evidenziata da recenti studi, che hanno messo in luce forti correlazioni positive fra sintomatologia fobica e capacità immaginative (Sacco-Ruggieri 1997-98).




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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