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Follia
Follia
Non è il caso di rivolgerci al libro di Erasmo, che oggi sarebbe soltanto un insieme di luoghi comuni e abbastanza insipidi.
Noi chiamiamo «follia» quella malattia degli organi del cervello che impedisce ad un uomo di pensare e agirecome gli altri. Se costui non può amministrare i suoi beni, lo si interdice; se non riesce ad avere idee consone alla
società, lo si esclude; se e pericoloso, lo si rinchiude; se è furioso, lo si lega.
Ciò che importa osservare è che quest'uomo non è affatto privo di idee; ne ha come tutti gli altri, durante la veglia, e spesso anche quando dorme. Ci si può domandare come mai la sua anima spirituale, immortale, situata nel suo
cervello, pur ricevendo attraverso i sensi tutte le idee ben nette e distinte, non ne ricavi mai pero un retto giudizio. Essa
vede gli oggetti come li vedeva l'anima di Aristotele e di Platone, di Locke e di Newton; ode gli stessi suoni, ha la stessa
sensazione del tatto: come mai, dunque, ricevendo le stesse percezioni delle persone più sagge, non può fare a meno di
combinarle in modo stravagante?
Se questa sostanza semplice ed eterna ha per le sue azioni gli stessi strumenti che hanno le anime dei cervelli sani, dovrebbe ragionare come loro. Chi può impedirglielo? Concepisco chiaramente che, se un pazzo vede rosso e i sani vedono blu; se quando questi odono una musica, lui ode il raglio di un asino; se quando i sani sono alla predica,
costui crede di essere a teatro; se quando essi intendono «sì», egli intende «no», allora la sua anima deve pensare il contrario di quel che pensano gli altri. Ma il pazzo ha le medesime percezioni loro; non c'è nessuna ragione apparente perché la sua anima, avendo ricevuto dai suoi sensi tutti i suoi strumenti, non possa farne uso. Essa è pura, dicono; non
è di per sé soggetta ad alcuna infermità: eccola fornita di tutti gli ausili necessari; qualsiasi cosa accada nel corpo, niente
può mutare l'essenza di quest'anima; con tutto ciò, la si porta, col suo involucro, al manicomio!
Questa riflessione può far sospettare che la facoltà di pensare, data da Dio all'uomo, sia soggetta a guasti, come
gli altri sensi. Un pazzo è un infermo il cui cervello soffre, come il gottoso è un infermo che ha male ai piedi e alle
mani: egli pensava con il cervello, come camminava con i piedi, senza nulla sapere né della sua incomprensibile facoltà
di camminare, né della sua non meno incomprensibile facoltà di pensare. Si ha la gotta al cervello come la si ha ai piedi.
Infine, dopo mille ragionamenti, forse solo la fede può convincerci che una sostanza semplice e immateriale possa
essere malata.
I dotti o i dottori diranno al pazzo: «Amico mio, sebbene tu abbia perduto il senso comune, la tua anima è altrettanto spirituale, pura, immortale della nostra. Ma la nostra è alloggiata bene, e la tua, male; le finestre della casa sono ostruite per lei, le manca l'aria, soffoca.» Il pazzo, nei suoi momenti di lucidità, potrebbe rispondere: «Amici miei,
voi, come al solito, presupponete quel che invece è in discussione. Le mie finestre sono aperte altrettanto bene che le
vostre, poiché vedo gli stessi oggetti e odo le stesse parole; bisogna dunque, necessariamente, che la mia anima faccia
un cattivo uso dei suoi sensi, o che essa stessa sia un senso viziato, una qualità depravata. In poche parole: o la mia anima è di per sé pazza, o io non ho anima.»
Uno dei dottori potrà rispondere: «Fratello mio, Dio forse ha creato anime folli, come ha creato anime sagge.»
Il pazzo replicherà: «Se credessi a quel che dite, sarei ancora più pazzo di quel che sono. Di grazia, voi che ne sapete
tante, ditemi: perché sono pazzo?» Se i dottori hanno ancora un po' di buon senso, gli risponderanno: «Non ne sappiamo
un'acca.» Essi non comprenderanno perché un cervello abbia idee incoerenti; del resto, non comprenderanno nemmeno
perché un altro cervello possa avere idee normali e coerenti. Si crederanno saggi, e invece saranno altrettanto pazzi
quanto lui.
Bibliografia
Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico