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James Hillman
James Hillman
HILLMAN JAMES, n. ad Atlantic City (Delaware) il 12 aprile 1926. Ha studiato Filosofia alla Sorbona e al Trinity College di Dublino, conseguendo in seguito il dottorato in Psicologia presso il Politecnico di Zurigo. Ha effettuato il training analitico al C.G. Jung Institute dove per dieci anni ha ricoperto la carica di direttore degli Studi. Docente presso l’Università di Dallas e il Dallas Institut for Humanities and Culture, dal 1970 è direttore della rivista Spring. H. ha dato vita a una corrente di pensiero definita "psicologia archetipica". Nella visione di H. la fantasia è la forza primordiale dell’anima, tanto che l’individuo non può volere, o amare, o comprendere senza che entrino simultaneamente in scena delle fantasie immaginali. L’Io psicologico è dunque Io immaginale e le immagini archetipiche ritraggono le emozioni peculiari all’uomo. Con il termine "immagini" H. intende riferirsi alla psiche nelle sue manifestazioni che sono anche espressione di una attività autogenerativa della stessa psiche. L’immagine non ha solo implicazioni personali perché di per sé dà "valore al mondo", "un’immagine archetipica è animata [...] è una ’presenza emotiva’ che offre un rapporto emotivo". Per H. infatti la patologia psichica non è rappresentazione della devianza, ma dell’anima, è espressione dunque di momenti di un mitema che non possono essere meglio espressi. L’immaginale è emotivo e l’analisi diviene lo strumento teso ad approfondire l’esperienza dell’inconscio. H. introduce il termine "patologizzazione" per indicare sia la capacità autonoma della psiche a creare malattie, disordini e sofferenze, sia quella di avere esperienza della vita e di immaginarla attraverso una prospettiva deformata e tormentata. I fenomeni psicopatologici, nella visione di H., si rivelano come un modo di "fare anima". Anima è "più che una sostanza, una prospettiva [...] essa media gli eventi e determina le differenze tra noi stessi e tutto ciò che accade. Tra noi e gli eventi, tra l’agente e l’azione, c’è un momento riflessivo — e fare anima significa differenziare questa zona intermedia". H. nella sua opera considera altresì che la convinzione secondo cui il movimento eroico allontani dalla madre, di fatto ha permesso che si perdesse di vista il ruolo che la Grande Dea possiede nello sviluppo dell’Io. I fenomeni del puer invece devono essere allontanati dalla dimensione materna per essere definiti dalla relazione con il senex. Di qui la necessità di recuperare la prospettiva politeistica, accettare una molteplicità di voci, "attribuendo a ciascun Dio quel che gli è dovuto su quella porzione di coscienza — su quel sintomo, su quel complesso, su quella fantasia — che richiede uno sfondo archetipico". Il lavoro sul sogno è il paradigma per H. del "fare anima" e il fine della psicologia archetipica sta nel "dispiegarsi di una sensibilità archetipica che colga l’appartenenza di ogni cosa al mito".
Bibliografia
Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992