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Illusione




Il termine illusione (dal latino illusio, derivato di illudere, "deridere, farsi beffe") indica in genere ogni errore dei sensi o della mente che falsi la realtà. Nel linguaggio della psicologia, le illusioni possono considerarsi come percezioni reali falsate dall'intervento di elementi rappresentativi che si fondono così strettamente allo stimolo sensoriale, da far perdere al soggetto la capacità di differenziare gli elementi sensoriali diretti da quelli riprodotti. Nella ricerca psicologica, particolare rilievo hanno le cosiddette illusioni ottico-geometriche, nelle quali si verifica un vero contrasto fra ciò che vediamo e la realtà fisica dell'oggetto: tali fenomeni stanno a indicare il carattere unitario della percezione e confermano che essa non è una somma di sensazioni, ma una nuova realtà autonoma strutturata globalmente.

I. STUDIO DELLE ILLUSIONI

L'illusione è il fenomeno psichico per cui un oggetto, una persona, un evento vengono percepiti in modo non corrispondente alla realtà. A differenza dell'allucinazione, che è una percezione puramente soggettiva in assenza di elementi esterni, l'illusione è una forma di percezione che si fonda su dati oggettivi e li trasforma. Per es., un'ombra o il movimento di una luce su un muro possono generare l'illusione che una persona o un animale si stiano muovendo; nel caso dell'allucinazione, invece, si sostiene che una persona si sta muovendo intorno a noi senza che vi sia alcun elemento fisico a giustificazione di tale affermazione.

Le illusioni sono diventate oggetto di ricerca sistematica nell'Ottocento con lo sviluppo della psicologia sperimentale, ma erano già state descritte sin dall'antichità. L''illusione della cascata', per es., veniva così illustrata da Aristotele: "Se trasferiamo lo sguardo da oggetti in movimento, per es. dai fiumi, soprattutto quelli che scorrono veloci, gli oggetti fermi appaiono in movimento" (Dei sogni, 2, 459b, 17-21), e in tal modo da Lucrezio: "Se in mezzo al fiume il cavallo ardente poi ci si arresta, e guardiam giù nelle rapide onde, ci sembra che l'impeto loro trasporti di sbieco il corpo immobile della bestia, e lo spinga di furia contro corrente, e in qualunque parte si volga lo sguardo in quel medesimo senso tutte si vedono muovere e ondeggiare le cose" (De rerum natura, 4, 420-25).

Nel 19° secolo le illusioni, soprattutto quelle visive, furono considerate uno dei problemi fondamentali da risolvere per spiegare i meccanismi della percezione (Boring 1942; Mecacci 1983). Le prime illusioni studiate  furono quelle delle prospettive reversibili (cubo di Necker), la sovrastima di segmenti verticali rispetto a segmenti orizzontali e, infine, tutta la serie di illusioni ottico-geometriche (denominazione introdotta da J.J. Oppel nel 1854-55), come le illusioni di Poggendorf, Zöllner, Hering, Müller-Lyer e Ponzo (dai cognomi dei ricercatori che le studiarono in modo sistematico). Oltre alle illusioni ottico-geometriche, furono indagate anche quelle di movimento, dall'illusione della cascata (da R. Addams nel 1832) fino al movimento apparente, che venne descritto da M. Wertheimer nel 1912. La spiegazione delle illusioni, in riferimento alle quali sono state avanzate numerose teorie, costituisce tuttora un importante tema di ricerca della psicologia e della neurofisiologia.

2. ILLUSIONI OTTICO-GEOMETRICHE

Le illusioni ottico-geometriche sono le più studiate, anche per la facilità della loro riproduzione, che le rende constatabili da ogni osservatore. Per esse sono state proposte varie distinzioni: tra illusioni di distorsione (nell'illusione di Orbison, il perimetro del quadrato e la circonferenza del cerchio sembrano distorti) e illusioni di modificazione della grandezza (nell'illusione della verticale, la verticale sembra più grande dell'orizzontale); tra illusioni primarie (come l'illusione di Müller-Lyer) e secondarie (come l'illusione della verticale), a seconda che si manifestino precocemente o successivamente, passando dall'età infantile a quella adulta. Le numerose teorie proposte per spiegare tali illusioni evidenziano aspetti diversi, dai meccanismi neurofisiologici ai fattori ecologici. Si accennerà alle più importanti, che possono essere applicate anche ad altri fenomeni illusori, come quelli relativi al movimento (Cesa-Bianchi-Beretta-Luccio 1970; Gregory 1972).

a) Teorie fondate sul ruolo dei movimenti oculari. Durante la percezione di uno stimolo visivo, i movimenti oculari consentono di esplorare le parti più rilevanti e di estrarre l'informazione sufficiente per identificare lo stimolo e valutarne gli attributi (è grande, piccolo, largo, stretto ecc.). Nel caso dell'illusione, i movimenti oculari sarebbero attuati in una determinata direzione, verso una particolare regione dello stimolo, probabilmente 'attratti' da qualche attributo o indizio, e tale spostamento consentirebbe di estrarre maggiore informazione da quella regione a svantaggio delle altre, generando così l'illusione che una certa proprietà sia presente o accentuata. Prove contrarie a questa teoria vengono dagli esperimenti in cui si creano situazioni di assenza dei movimenti oculari: anche in tale condizione le illusioni ottico-geometriche sono presenti. Tuttavia, i movimenti oculari possono essere considerati non tanto come il fattore responsabile delle illusioni, quanto come l'indice dei processi periferici messi in atto dai sistemi cognitivi centrali per esplorare lo stimolo visivo. L'interpretazione delle illusioni fornita da J. Piaget (1961) si basa sul concetto di centrazione, considerata un processo cognitivo. La centrazione si realizza mediante i movimenti oculari che si fissano su alcune parti dello stimolo rispetto ad altre (ciò che è 'centrato', fissato dallo sguardo, è sovrastimato rispetto a ciò che non è centrato, producendo in tal modo effetti illusori).

b) Teorie neurofisiologiche. Già nell'Ottocento era stata proposta una spiegazione fisiologica delle illusioni. I sistemi sensoriali sarebbero caratterizzati da cellule e da meccanismi che privilegiano certe proprietà degli stimoli a discapito di altre, probabilmente perché questa organizzazione avrebbe svolto una funzione adattativa nello sviluppo delle specie animali. Una prima serie di studi si fondava sull'ipotesi che i fenomeni illusori dipendessero da caratteristiche fisiologiche al livello della retina, cioè al primo stadio di elaborazione dell'informazione visiva. Quando intorno agli anni Sessanta del 20° secolo le ricerche di D.H. Hubel e T.N. Wiesel dimostrarono l'esistenza di neuroni della corteccia visiva specializzati per la rilevazione dell'attributo 'orientamento' dello stimolo, il livello di produzione dell'illusione fu spostato agli stadi successivi. Per es., l'illusione per cui il segmento verticale è percepito più lungo del segmento orizzontale (od obliquo) potrebbe essere spiegata con una sensibilità ottimale dei neuroni per stimoli a orientamento verticale e una ridotta sensibilità dei neuroni che rispondono agli altri orientamenti. Ulteriori meccanismi che distorcerebbero la realtà fisica generando le illusioni sono l'inibizione laterale e il filtraggio spaziale (Maffei-Mecacci 1979; Sekuler-Blake 1985; Bruce-Green-Georgeson 1996). L'inibizione laterale è data dalla compresenza di due aree di stimolazione: una regione che stimola fortemente il sistema visivo e un'altra che lo stimola più debolmente. Il risultato è che una inibisce l'altra, dando l'illusione di una maggiore differenza tra le due regioni, fra le quali inoltre si crea una sorta di tensione e di dinamismo che accentua la connotazione illusoria. La nozione di filtraggio spaziale è fondata sull'esistenza di neuroni della corteccia visiva che sono selettivi rispetto alle proprietà dello stimolo visivo, in particolare la distribuzione e le differenze di luminanza nello spazio (proprietà della frequenza spaziale). Poiché i neuroni selettivi nei confronti delle diverse frequenze spaziali variano per sensibilità, la distorsione illusoria potrebbe essere prodotta da una ridotta sensibilità dei neuroni stessi per determinate frequenze spaziali presenti nello stimolo.

c) Teorie psicologiche. Le spiegazioni psicologiche, che non ricorrono a processi e fenomeni neurofisiologici, sono molto diverse. Storicamente è possibile distinguerle in tre gruppi principali: la teoria dell'empatia, la teoria della Gestalt, le teorie cognitive. La teoria dell'empatia fu elaborata da T. Lipps alla fine dell'Ottocento. Tale teoria è basata sull'ipotesi che tra l'osservatore e lo stimolo si instauri una relazione dinamica, per cui l'osservatore valuta lo stimolo secondo risonanze affettive ed emotive. Per es., il segmento verticale sarebbe considerato più lungo di quello orizzontale perché l'osservatore ricaverebbe dal primo uno stato piacevole di espansione, mentre il segmento orizzontale produrrebbe una sensazione di piattezza e di monotonia. La teoria della Gestalt, che conobbe un particolare sviluppo nella prima metà del Novecento proprio a partire dalle ricerche sulle illusioni di movimento, ha interpretato le illusioni stesse secondo le 'leggi dell'organizzazione percettiva'. Ogni elemento sensoriale è organizzato in una struttura di ordine superiore (la Gestalt o forma) secondo leggi innate che regolano i processi percettivi. Elementi che si strutturano in determinate forme, grazie a tali leggi, risultano nel loro insieme più 'pregnanti', più marcati percettivamente di altri. Oltre al fattore della pregnanza, la teoria della Gestalt ha chiamato in causa i concetti di campo e di forze coesive al suo interno. Questi concetti possono essere esemplificati osservando la distorsione dei lati del quadrato nell'illusione di Orbison. I raggi che partono dal centro formano nel campo visivo, grazie alle forze di coesione, una struttura unitaria, pregnante, una Gestalt. Anche i quattro lati del quadrato si organizzano in una struttura unitaria, il quadrato appunto. Allorché le due strutture sono sovrapposte, si origina una tensione tra le forze coesive relative, con conseguente necessità di riorganizzare le due strutture in una nuova che le comprenda entrambe. In questo processo di riequilibrio dinamico una figura (in questo caso il quadrato) sarebbe distorta dall'altra. Infine, le teorie cognitive, che sono state sviluppate a partire dagli anni Sessanta del 20° secolo, hanno ricondotto le illusioni a errori di interpretazione dello stimolo. In linea generale, infatti, la percezione è concepita come un processo di elaborazione dell'informazione: pochi elementi informazionali rilevanti vengono estratti dallo stimolo, elaborati e integrati per realizzare ciò che viene percepito, il 'percetto'. Il percetto non è una fotografia o una fotocopia dello stimolo, bensì consiste in una sua interpretazione, come un quadro che, per quanto voglia essere una fedele e realistica riproduzione, è di fatto un'interpretazione del modello. In questa prospettiva teorica, le illusioni sarebbero interpretazioni distorte, inadeguate, degli elementi di stimolazione. La teoria più diffusa è stata proposta da R.L. Gregory (1972) ed è denominata anche teoria della costanza di grandezza o teoria della profondità. Essa si fonda, infatti, sul principio per cui uno stimolo visto in profondità (lontano dall'osservatore), pur proiettando sulla retina una dimensione ridotta della propria immagine, viene percepito come simile (costante) per grandezza allo stesso stimolo che è posto più vicino e che proietta una dimensione maggiore. Le illusioni ottico-geometriche sono disegnate su un piano bidimensionale, ma secondo la suddetta teoria tali stimoli bidimensionali sarebbero interpretati dalla mente come tridimensionali in prospettiva. Si immagini un libro aperto a metà: la parte centrale che lega le pagine corrisponde al segmento verticale della figura di Müller-Lyer e i lati orizzontali, superiori e inferiori, delle pagine sono dati dalle frecce rivolte in fuori. Si immagini poi un libro aperto, di cui si vedono le copertine e non le pagine: ora il segmento verticale è rappresentato dal dorso del libro e i lati orizzontali delle copertine dalle frecce rivolte verso l'interno. In entrambi i casi il segmento centrale ha la stessa lunghezza, ma nel primo caso esso sembra più piccolo, come se si fosse allontanato dall'osservatore, mentre nel secondo caso sembra più grande, come se si fosse avvicinato. Dal momento però che le immagini retiniche dei due segmenti centrali sono identiche, la mente interpreta l'illusione relativa alla loro diversa distanza secondo la teoria della profondità. Infatti, quando due stimoli che appaiono uno più distante dell'altro (come i segmenti centrali del libro) hanno sulla retina la stessa dimensione, ciò significa che lo stimolo più distante (o che appare tale) deve avere una dimensione maggiore di quello che è (o appare) più vicino: l'illusione si verifica dunque a causa di errori nella valutazione della distanza percepita.

d) Fattori culturali. Secondo varie teorie, tra cui quelle d'impostazione neurofisiologica e la teoria della Gestalt, le illusioni dipendono da meccanismi e da processi innati: qualsiasi individuo, magari in momenti particolari dello sviluppo, ha l'esperienza delle illusioni. Secondo altri studiosi, invece, le illusioni dipenderebbero da fattori culturali. Per es., l'illusione della verticale si verificherebbe nelle popolazioni occidentali abituate da secoli a elaborare informazioni visivo-spaziali nelle quali è predominante il verticale sull'orizzontale (basti pensare, a titolo esemplificativo, alle costruzioni che si innalzano da terra verso l'alto). In altre popolazioni, che vivono in spazi aperti, non 'squadrati' dall'architettura delle case e degli edifici pubblici, questa e altre illusioni non sarebbero invece presenti. Tale ipotesi fu studiata nelle popolazioni nomadi uzbeche da A.R. Lurija negli anni Trenta (Lurija 1974) e successivamente da H.M. Segall, D.T. Campbell e M.J. Herskovits (1966) e J.B. Deregowski (1974) nelle popolazioni africane.

3. ILLUSIONI DI BRILLANZA E CONTORNI ILLUSORI

Un'altra classe di illusioni visive comprende una vasta gamma di fenomeni. Nella prima griglia di Hermann punti più scuri (meno brillanti) compaiono agli incroci delle strisce verticali con quelle orizzontali, nella seconda griglia vi sono invece punti più brillanti. Queste zone più o meno brillanti in realtà non sono presenti nello stimolo, ma dipendono da processi neurofisiologici e percettivi i quali inducono tale illusione di brillanza. Nel triangolo di Kanizsa, un triangolo bianco si sovrappone sia a un triangolo delineato da tre lati neri sia a tre cerchi neri. In questo caso vi è un completamento, che viene detto soggettivo o illusorio, del triangolo bianco, del quale non sono tracciati i contorni (si ponga un foglio sopra la figura e si lasci scoperto un cerchio nero; questo cerchio incompleto non è un indizio della presenza percettiva di un triangolo; solamente quando sono presenti i tre cerchi, emerge percettivamente un triangolo).

Le figure con contorni illusori sono state oggetto di varie interpretazioni: quelle basate sulla teoria della Gestalt richiamano i principi di strutturazione e completamento della 'buona forma' (per cui gli elementi presenti si strutturano e completano nella forma visivamente pregnante del triangolo), mentre secondo altri ricercatori la spiegazione di questi fenomeni percettivi va ricercata nella distribuzione di luminanza e nei valori di contrasto degli elementi.

4. ILLUSIONI DI MOVIMENTO

La teoria della Gestalt fu enunciata, nel 1912, dallo psicologo Wertheimer, già ricordato, sulla base di ricerche condotte sull'illusione di movimento o 'movimento apparente'. La situazione in cui si verificava l'illusione era la seguente. Una linea luminosa (A) compariva su uno schermo in una determinata posizione, per es. all'estrema sinistra; poi A scompariva ed era presentata un'altra linea (B) all'estrema destra. Se l'intervallo tra la presentazione di A e B era relativamente lungo (oltre 200 ms), l'osservatore percepiva due linee distinte, A e B, che comparivano e scomparivano. Se l'intervallo era ridotto a meno di 30 ms, l'osservatore aveva la percezione di due linee presenti simultaneamente. A un intervallo intermedio, circa 60 ms, l'osservatore percepiva una linea che si muoveva da sinistra a destra. Ad altri intervalli intermedi, si aveva l'illusione di un movimento 'puro' e non di un oggetto che si muoveva: un fenomeno denominato da Wertheimer 'movimento ϕ'. Ricerche successive distinsero poi tra vari tipi di illusione di movimento: movimento ϕ (movimento puro, senza che sia percepito un oggetto che si muove), movimento β (un oggetto si muove da una posizione all'altra; è la condizione più studiata, quella simile a un'insegna luminosa dove sembra che la luce scorra da un punto all'altro), movimento α (un oggetto sembra cambiare di grandezza come se si allontanasse e si avvicinasse lungo una direzione), movimento γ (un oggetto sembra espandersi e contrarsi in tutte le direzioni) ecc.

Anche per le illusioni di movimento sono state avanzate varie spiegazioni, in buona parte fondate su processi neurofisiologici che si verificherebbero al livello della retina. L'interesse della teoria della Gestalt per il movimento apparente, al di là delle spiegazioni possibili, era dato comunque dalla conferma che ciò che è percepito non corrisponde direttamente alla realtà fisica: anche se l'osservatore è informato che si tratta di lampadine distinte che si accendono o si spengono, la realtà percettiva rimane quella di una luce che si muove nello spazio. Altri fenomeni percettivi, che vanno al di là della realtà fisica evidente, sono l''immagine consecutiva di movimento' e il 'movimento autocinetico' (un punto luminoso immobile in un ambiente buio sembra muoversi nello spazio se lo si osserva a lungo). Infine un'altra illusione di movimento che produce a sua volta un'interpretazione illusoria dei rapporti causali tra oggetti è stata studiata da A.E. Michotte (1946) nelle sue ricerche sulla 'percezione della causalità'. Su uno schermo vi sono due cerchi, A e B: A si sposta in direzione di B e appena entra in contatto con B si ferma; a quel punto B comincia a muoversi lungo la stessa traiettoria seguita precedentemente da A. L'osservatore interpreta i movimenti distinti di A e B come un unico evento: A si sposta verso B, 'urta' B e lo fa muovere. La causalità percepita (il movimento di A è causa del movimento di B) è illusoria, non corrisponde alla realtà fisica.

5. ILLUSIONI TATTILI E UDITIVE

Le illusioni sono state studiate soprattutto riguardo alla modalità visiva, esse tuttavia si verificano anche per le altre modalità sensoriali (in particolare, il tatto e l'udito). Una illusione tattile molto conosciuta è l''illusione di Aristotele', così denominata perché fu il filosofo a descriverla accuratamente: se si incrociano l'indice e il medio di una mano e si fa toccare una pallina a un soggetto, a occhi bendati, questi percepisce due palline. Un'altra illusione tattile è il 'fenomeno cinetoaptico' descritto da V. Benussi nel 1916. Si tratta di un movimento apparente tattile: se si eccitano in successione punti diversi della cute, il soggetto percepisce un unico oggetto che si muove sulla sua pelle. Le illusioni uditive sono state studiate soprattutto in relazione agli effetti musicali: sequenze di toni di particolare frequenza e a certi intervalli temporali fanno percepire suoni e melodie che non sono stati presentati fisicamente (The psychology of music 1982).

6. ARTE E ILLUSIONE

Il ricorso alle illusioni è presente nella storia delle arti visive e della musica fin dall'antichità (Maffei-Fiorentini 1995). Nel classico libro di E.H. Gombrich, Arte e illusione (1959), la storia della pittura viene ripercorsa facendo perno sui fenomeni illusori che l'artista crea nelle sue opere allo scopo di attivare nell'osservatore la percezione di condizioni visive, di oggetti, nonché di movimenti i quali non sono reali. La pittura è di fatto un'illusione nel senso lato del termine, come già aveva notato Leonardo da Vinci e come riafferma Gombrich: "Ciò che un pittore indaga non è la natura del mondo fisico, ma la natura delle nostre reazioni di fronte ad esso. Il pittore non si occupa delle cause ma dei meccanismi di certi effetti, il suo è un problema psicologico: quello di evocare una immagine convincente, ad onta del fatto che non una delle sue pennellate corrisponde a quella che noi chiamiamo 'realtà'" (Gombrich 1959, trad. it., p. 61). Alla fine degli anni Cinquanta del 20° secolo si è sviluppata una corrente, nota come 'arte cinetica e visuale' e poi Op art (da Optical art), basata proprio sui fenomeni delle illusioni visive (Wade 1978). Le opere di B. Riley e V. Vasarely costituiscono gli esempi più noti di questo indirizzo e sono divenute un modello, soprattutto nel campo della grafica e della pubblicità.






Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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