Immaginazione
Particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata a un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso.
Nella psicologia aristotelica l’i. è la facoltà di produrre immagini sensibili (ϕαντάσματα): connessa ai sensi ma non limitata o condizionata da essi, distinta dall’intelletto e dall’opinione, l’i. è una forma di movimento (κίνησις) che si produce negli esseri dotati di sensazione ed è capace di comporre immagini sia in rapporto a oggetti presenti ai sensi, sia costruendone liberamente senza riferimento immediato agli oggetti stessi.
Nella medicina araba e nella cultura medievale e rinascimentale, alcune caratteristiche creatrici dell’i. hanno portato a collegarla con certe operazioni umane che si presentano anch’esse come creatrici: la profezia, l’astrologia, la magia, quindi la poesia.
Importanti per il Rinascimento le posizioni di M. Ficino e G. Bruno che mettono in evidenza gli aspetti di produttività e innovatività dell’i. e le sue connessioni con l’arte della memoria, mentre nel Seicento si sviluppa soprattutto il dibattito sulle forze dell’i., sulla loro capacità di modificare anche la realtà esterna e sui pericoli che tali forze comportano, aspetto, questo, che contribuisce a quella svalutazione della funzione conoscitiva dell’i. operata da Cartesio e soprattutto da N. de Malebranche, il quale definisce l’i. «la pazza di casa». La riabilitazione dell’i. si compie già nella tradizione empiristico-sensualistica settecentesca (ma in altro ambito già G. Vico si era opposto alla svalutazione razionalistica dell’i.), mentre si afferma anche nei manuali la distinzione tra i diversi aspetti dell’attività dell’i.: nella Psychologia empirica di C. Wolff si distingue l’i. in «facoltà di produrre le percezioni delle cose sensibili assenti» e in facoltà capace di «produrre, mediante la divisione e la scomposizione delle immagini, l’immagine di una cosa mai percepita dal senso». Distinzione ben presente in I. Kant che definisce l’i. come «facoltà di rappresentare un oggetto anche senza la sua presenza nell’intuizione», e pone netta differenza tra l’i. produttiva, se è «soltanto spontaneità», e l’i. riproduttiva se è «sottoposta alle leggi empiriche dell’associazione»: la prima è a priori, la seconda no.
Nella cultura settecentesca e poi soprattutto in quella idealistica e romantica l’i. assume un’importanza rilevante non solo in ambito gnoseologico ma anche in quello estetico, nel senso che in essa viene identificata la facoltà a cui va riportata la produzione e la fruizione dell’arte, anche se i legami tra l’i. e la sfera estetica sono rintracciabili in periodi in cui quella connessione privilegiata non si era ancora istituita. In genere, il riconoscimento del nesso essenziale tra arte e i. non porta all’isolamento di questa facoltà nella sua specializzazione univoca, non va cioè nel senso di un’i. ‘specificamente o autonomamente estetica’. Anche in Hegel, che distingue tra i. semplicemente riproduttiva e i. creatrice o fantasia, e che fonda in quest’ultima il concetto di genio, la rivendicazione dell’i. o della fantasia va nel senso dell’individuazione di una ‘facoltà’ o di una condizione essenziale per l’intera esperienza.
Nel pensiero filosofico del Novecento, un ruolo importante viene attribuito all’i. nel quadro della fenomenologia: E. Husserl (nelle Ideen)
ne sottolinea la funzione di riproporre (ripresentare) le esperienze
vissute in forma di «libere fantasie», tali quindi da rivelare, una
volta divenute oggetto di contemplazione, la loro vera natura. Pur
prendendo le mosse da Husserl, l’analisi dell’i. serve per J.-P. Sartre (L’imagination, 1936; L’imaginaire,
1940) a fondare la prospettiva ontologica, l’opposizione essere-nulla,
pensiero-cose. Raffrontando l’i. agli atti intenzionali, Sartre
sottolinea il fatto che il contenuto di essa non corrisponde
necessariamente a un oggetto trascendente, ma rimane esclusivamente
nell’ambito della coscienza. La dottrina dell’i. presenta sviluppi
anche nella psicanalisi (S. Freud), nella
Per la psicologia classica l’i. è quel processo del pensiero capace di trasformare progressivamente nella coscienza i dati dell’esperienza e di creare elementi nuovi. È per lo più accettata la posizione di R. Holt (1964) che considera l’immagine come un contenuto fenomenico di natura quasi-sensoriale, riconducendo così l’i. alle rappresentazioni. L’influenza degli stimoli esterni, come si desume da casi di deprivazione sensoriale (➔ deprivazione), è quasi sempre dimostrabile. La distinzione fra i. e percezione è fondabile sul maggiore o minor peso delle influenze esterne: massimo nelle percezioni, molto meno evidente nelle ‘immagini mentali’. Tra i diversi tipi di immagini, di cui sono stati forniti gli elementi descrittivi differenziali, figurano le i. di pensiero, le i. eidetiche, le i. postume, le i. oniriche, le i. del sogno a occhi aperti, le i. da concentrazione, le i. da privazione di sonno ecc.
Marcato è il rapporto fra personalità e qualità di i., come pure fra vivacità d’i. e certe condizioni organiche (malattie febbrili, alcuni tipi di danno cerebrale, droghe), che facilitano gli input entoptici. Il rapporto con la psicoterapia, già prospettato da Jung nel 1923, ha costituito campo privilegiato di numerose indagini: quasi tutti i procedimenti psicoterapeutici dipendono, in maggiore o minor misura/">misura, dalla presenza e dall’attività dell’immaginazione. Nello sviluppo dell’individuo, esperire le immagini può essere considerato come l’inizio dell’attività cosciente; l’i. aiuta i processi mnemonici ma, soprattutto, libera il bambino dalla esclusiva e primaria dipendenza dalle sensazioni, immediate e concrete. Anche la simbolizzazione dipende dalla presenza dell’i., secondo il passaggio da immagine-sensazione a immagine-metafora. L’i. non può essere ricondotta esclusivamente all’introspezione, in quanto è ubiquitaria, cioè accade a tutti i livelli della coscienza e dell’inconscio ed è associata con tutti gli altri processi mentali.
Nell’ambito della psicopatologia sono noti due tipi di perdita del controllo sull’intensità e la tematica dell’i.: nel primo il soggetto esperisce immagini molto intense e/o molto strane, con l’incapacità di evitare o scacciare queste esperienze; nel secondo il soggetto è incapace di formare immagini, pur desiderando di averle (perdita della visione mentale). Spesso i due tipi di alterazione sono misti: eccessiva intensità e prevalenza di certe immagini, inadeguata intensità e smorzamento di altre. Si va quindi dalle psicosi allucinatorie, dalle pseudoallucinazioni ossessive, dalle psicosi iperimmaginative, alle inibizioni nevrotiche dell’i., alle atrofie immaginative degli oligofrenici e dei dementi. La perdita del controllo sui contenuti dell’i. è uno dei sintomi accusati dai soggetti psicopatici; si tratta per lo più di intrusioni ricorrenti degli stessi contenuti immaginativi, nei contesti più inadeguati e nei momenti più impensati: ciò è molto frequente nel disturbo ossessivo del pensiero, in quello depressivo e nelle fantasie degli schizofrenici.
I processi formativi dell’i. hanno un rapporto di tipo transazionale con le emozioni: lo stato emotivo immediato influenza l’i. ed è da essa influenzato. Le emozioni agiscono come ‘motivi’ per l’i., sono ‘espresse’ nell’esperienza immaginativa, sono ‘risposta’ alle immagini, in un vero e proprio ‘circolo di struttura’.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it