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1. Via metafisica e via psicologica al concetto di inconscio

Il concetto di un'attività psichica, o di pensiero, che si svolga al di fuori della coscienza, in forma dunque inconscia, si trova nei tempi moderni espresso per la prima volta in Leibniz.
Si tratta in lui di un'affermazione polemica verso Cartesio, che aveva posto nella coscienza il carattere distintivo del pensiero, e che dalla coscienza ricavava la prima affermazione di realtà, capace di trar fuori dalla negazione del dubbio metodico.
Per Cartesio tutto quello che non è coscienza (res cogitans) è materia, res extensa. In certo modo tale contrapposizione è ripresa da quei moderni per i quali lo ‛psichismo inconscio' appare un concetto contraddittorio (come chi dicesse ‟vita morta" oppure ‟movimento fermo", sosteneva l'Ardigò al principio del secolo) e che, per spiegare come i ricordi perdurino anche quando non sono attualmente presenti alla mente, hanno sostenuto che, in quanto non presenti alla coscienza, cessano di essere qualche cosa di psichico (v. Wundt, 1902, p. 248), per esistere soltanto sotto forma di engrammi, o registrazioni, impressi in quella struttura materiale che è il nostro cervello: cartesianamente res extensa dunque.
Contro il dualismo sostanzialistico di Cartesio, Leibniz asseriva l'impossibilità di un'azione della materia sul pensiero, e viceversa: il movimento non produce pensiero e il pensiero non genera movimento. Né gli artifici dello stesso Cartesio, che avrebbe voluto distinguere il movimento dalla sua direzione, sulla quale il pensiero avrebbe potuto influire, né l'intervento miracoloso di Dio, momento per momento, per assicurare la concordanza di pensiero e materia, postulato da Malebranche e dagli occasionalisti, e neppure il parallelismo di Spinoza, ottenuto col degradare materia e pensiero ad attributi di un'unica sostanza, avevano risolto il problema.
Anche per Leibniz tutto è miracolo; ma un miracolo verificatosi una volta per sempre all'atto della creazione, la quale genera la realtà. Questa è costituita da sostanze composte (i corpi materiali, estesi e divisibili all'infinito) e da sostanze semplici (inestese, indivisibili, di natura spirituale: le monadi). I corpi sono dunque ammassi di monadi: e qui ovviamente Leibniz si giovò delle proprie scoperte matematiche nel campo del calcolo infinitesimale, per ammettere che un composto di inestesi, quali le monadi, dia luogo - se sono in quantità infinita - a un quid esteso, e cioè a un corpo materiale.
Ogni elemento della realtà (tanto i corpi quanto le monadi), pur producendo il proprio avvenire per virtù propria e per via naturale (i corpi materiali secondo le leggi della meccanica e le cause efficienti, e le monadi invece secondo le leggi delle cause finali, e sotto la spinta delle proprie appetizioni), è sempre armonizzato con ogni altro (principio dell'armonia prestabilita) e addirittura riflette ogni altro elemento, riproducendolo in qualche modo in sé.
Un frammento di materia, per minuto che sia, contiene un universo del tutto eguale, spazialmente e meccanicamente, all'universo in assoluto. E ogni monade riflette pure lo stesso universo: percependolo nella sua totalità. Eppure ogni monade è distinta da ogni altra, dato che non possono esistere due identici (principio degli indiscernibili). Tale diversità è possibile per Leibniz in quanto le immagini, le percezioni, possono essere variamente chiare. Nella monade creata solo un'infima porzione della realtà può essere chiaramente percepita: tutto il resto è percepito oscuramente. E anzi, nella enorme maggioranza delle infinite monadi esistenti, tutte le percezioni sono oscure: ‟piccole percezioni senza appercezione", e cioè senza coscienza. Pochissime monadi, in rari periodi della loro esistenza, acquistano un sia pur limitato grado di coscienza: e allora si dicono spiriti, o anime.
Così viene introdotta da Leibniz l'idea di un'attività psichica priva di coscienza, e cioè inconscia. È questa la via metafisica del concetto di inconscio in Leibniz.
Ma vi è anche, nel suo pensiero, una via psicologica, fondata sui fenomeni che possiamo osservare in noi stessi.
Egli nota che siamo talora soggetti a stati di stordimento o di svenimento; inoltre ogni notte ci addormentiamo. Dal fatto che le anime e le monadi non subiscono azioni dall'esterno deriva che ogni impressione, o percezione, ha carattere endogeno: si produce cioè per effetto delle percezioni antecedenti. Il risveglio, o la ripresa della coscienza dopo uno stordimento, può prodursi soltanto per effetto dei contenuti di pensiero esistenti durante il sonno o lo stordimento, e quindi questi contenuti ci sono, anche se non ne sappiamo niente, anche se sono inconsci. Qualora il sonno corrispondesse al nulla, mai infatti sarebbe possibile il risveglio.
La via metafisica dell'inconscio è stata in seguito percorsa da vari pensatori che hanno inteso spiegare il divenire del mondo come determinato da una forza spirituale, avente i caratteri stessi che l'uomo empiricamente ritrova nella propria capacità di pensare, di agire e di produrre, ma priva tuttavia di autoconsapevolezza, e concepita con una certa indeterminazione. Ne è un esempio la ‟volontà" di Schopenhauer, e in modo più specifico quell'attività che E. von Hartmann denomina proprio l'‟inconscio".
Bisogna invece arrivare a tempi più recenti, e cioè alla moderna psicologia scientifica, per ritrovare la nozione di un'attività psichica inconscia, elaborata sulla base della diretta osservazione dei dati dell'esperienza.
Talora ciò si è verificato soltanto in conseguenza di una eccessivamente rigida classificazione delle funzioni psichiche. Ne è un esempio tipico la posizione di Helmholtz nei suoi studi sulla percezione visiva. La distinzione rigida, che funziona in tal caso, è quella fra l'attività sensorio-percettiva, come effetto dell'azione degli stimoli fisici sugli organi sensoriali, quale era stata studiata dalla psicofisica a metà dell'Ottocento (J. Müller, G. Th. Fechner, E. Weber) e l'attività raziocinante, cartesianamente identificata con la stessa coscienza.
Helmholtz rileva che la percezione visiva si comporta come se sui dati sensoriali si operasse un'elaborazione razionale, le cui conclusioni fornissero l'immagine percettiva in ogni suo aspetto. Questa elaborazione ha tutti i caratteri di un ragionamento cosciente, pur svolgendosi al di fuori della coscienza. Si tratta quindi di ragionamenti o di conclusioni inconscie (unbewusste Schlüsse).
Helmholtz partiva da presupposti empiristici; riteneva perciò che questa attività razionale inconscia utilizzasse i dati dell'esperienza pregressa, e interpretasse le impressioni sensoriali attuali conformemente a tali dati del passato. Ma anche le scuole che tendono a minimizzare la partecipazione dell'esperienza nei processi percettivi attuali (come per es. la Gestaltpsychologie) mettono in luce una ‛razionalità' della percezione, che ovviamente non va confusa con un'attività cosciente. Soltanto quando si trascuri questo carattere generale dell'attività psichica, e si supponga astrattamente l'esistenza di un materiale sensoriale per se stesso amorfo, si è poi costretti a postulare che sopravvenga, quale deus ex machina, un'attività logica, simulante i processi della ragione: attività che si dovrà qualificare, perché agisce a nostra insaputa, come inconscia.
Si tratta dunque semplicemente di un carattere formale permanente dell'attività psichica, e non di una differente attività la quale operi contemporaneamente e indipendentemente dal pensiero cosciente.
L'inconscio quale è concepito dalla psicologia contemporanea ha invece proprio quest'ultimo carattere, di attività psichica ulteriore e separata.

2. L'epoca dell'ipnosi

Il diverso modo di affrontare il problema dell'inconscio si è imposto in seguito alle osservazioni e alle ricerche sull'ipnosi, fiorite negli ultimi decenni del secolo scorso.
Sulla natura di questi fenomeni, sulle condizioni che consentono di produrli, e sulla relazione esistente fra ipnosi e suggestione, le opinioni erano assai disparate e le idee poco chiare. Da un lato, ad esempio, Bernheim e la scuola di Nancy ritenevano che il fenomeno di base fosse la suggestione, intesa come capacità, da parte di uno sperimentatore, di provocare in un soggetto i più diversi stati di coscienza, compresi gli impulsi ad agire in un dato modo; l'ipnosi sarebbe semplicemente uno stato esteriormente simile al sonno, provocato per suggestione. D'altro lato Freud (v., 1921) riteneva invece che il fenomeno fondamentale fosse proprio l'ipnosi, e la conseguente trasformazione dello stato di coscienza. Tale trasformazione, implicando una labilizzazione del normale rapporto con la realtà, potrebbe talora favorire l'assunzione degli atteggiamenti che sono tipici dell'individuo dormiente, ma si verificherebbe anche senza questi atteggiamente esteriori simulanti il sonno, in quegli stati che vengono indicati come stati di suggestione vigile.
È fino a un certo punto indifferente ricondurre l'ipnosi alla suggestione, come fa Bernheim, o la suggestione all'ipnosi, come fa Freud. È invece importante rilevare che entrambe le interpretazioni intendono considerare il fenomeno come unico, e dovuto al rapporto di natura psicologica che si istituisce fra lo sperimentatore (suggestionatore o ipnotizzatore che sia) e il soggetto.
Alcuni fatti osservabili nel corso di questi stati ipnosuggestivi si impongono all'attenzione, e sembrano richiedere l'ipotesi di un'attività psichica inconscia.
Tanto Freud quanto Jung ritennero che questo fosse specificamente evidente nelle situazioni dei cosiddetti compiti postipnotici (o azioni suggestive differite), particolarmente studiate da Bernheim, ma poi osservate da moltissimi ricercatori.
Si tratta di questo. A un soggetto in ipnosi lo sperimentatore può suggerire di compiere le più diverse azioni. In condizioni ottimali, e se le azioni suggerite non presentano caratteri particolari (per es. non sono azioni criminose, o anche semplicemente sconvenienti, nel qual caso la situazione si complica assai), il soggetto eseguisce fedelmente l'ordine che gli è stato dato. Cessato lo stato di ipnosi, se viene interrogato sul suo comportamento, egli dà per lo più risposte alquanto confuse: sembra comunque che non sappia mettere le azioni eseguite in relazione con le parole dello sperimentatore, come se vi fosse in lui una tendenza a dimenticare tali parole. Lo sperimentatore può anche suggerire al soggetto di compiere una data azione a una certa scadenza, parecchio tempo dopo la fine dello stato di ipnosi, invitandolo insieme esplicitamente a dimenticare le parole che ora gli sono state dette.
Il risultato rilevante è proprio questo: un compito dimenticato, e quindi eliminato dalla coscienza, può a distanza di tempo agire sul comportamento, allo stesso modo di un proposito cosciente; e ciò anche se richiede una serie complicata di operazioni mentali e materiali. Il compito rimane dimenticato, tanto nel corso dell'esecuzione dell'azione, quanto successivamente. All'invito di spiegare e giustificare il proprio comportamento, il soggetto inventa al momento una pseudogiustificazione e si attiene a questa spiegazione, anche se essa è evidentemente impropria o assurda.
Viste dal di fuori, queste situazioni hanno l'aspetto di una commedia, come se il soggetto eseguisse per gioco ciò che gli è stato chiesto, e poi trovasse una scusa qualsiasi per far apparire l'azione un proprio comportamento spontaneo.
Questo aspetto di commedia recitata ha un significato rilevante. Infatti una scena recitata (da un attore, per es.) dà sempre luogo a due piani di realtà: quello dell'attore in quanto persona, e quello del personaggio che l'attore impersona. Ci sono dunque due personalità per così dire sovrapposte.
La differenza fra la vera commedia e la situazione attuata nelle esperienze con i compiti postipnotici, sta nel fatto che l'attore è consapevole di star recitando, per cui anche la parte recitata rientra in qualche modo nella sua stessa realtà personale. Invece è possibile controllare con certezza che i soggetti degli esperimenti di ipnosi non sanno affatto di eseguire una parte che è stata loro suggerita. Le due personalità rimangono in questo caso separate senza interferenze. Anche spontaneamente, in situazioni patologiche, possono aversi casi di personalità alternate. Un individuo in dati periodi della vita presenta una personalità e si comporta in un dato modo, in altre fasi non sa nulla del Sé precedente ed è un'altra persona. Freud cita in proposito un caso particolarmente noto all'inizio di questo secolo, illustrato da Azam. È del tutto comprensibile che la comune narrativa si sia impadronita avidamente di fatti del genere, i quali, mettendo in crisi apertamente il principio dell'identità individuale, minacciano il fondamento stesso della responsabilità della persona.
L'ipnosi consente di comprovare la presenza di un'attività psichica che resta esclusa dalla coscienza anche in situazioni di altra specie. Nelle esperienze sulle allucinazioni negative ottenute negli stati ipnosuggestivi, l'attività che viene artificialmente esclusa dalla coscienza è la stessa percezione.
Intorno al 1920, ad esempio, V. Benussi studiò (v., 1925, pp. 116 e ss.) situazioni sperimentali di questo tipo. A un soggetto in ipnosi, ma a occhi aperti, vengono presentati punti e segmenti luminosi di un dato colore, in movimento stroboscopico.
Ricordiamo che per movimento stroboscopico si intende l'apparente movimento di un elemento visivo che oscilla da una a un'altra posizione, quale si ottiene alternando, con un ritmo opportuno, l'azione di stimoli immobili, collocati oggettivamente nelle posizioni all'incirca terminali di quella che diventerà la traiettoria apparente; si tratta quindi dello stesso fenomeno che è alla base del cinematografo.
Se contemporaneamente a un movimento apparente di questa specie, che si svolga in una data direzione, ad esempio verticalmente dall'alto al basso e viceversa (ottenuto con due punti collocati verticalmente uno sopra l'altro che si ‛accendono' alternativamente), si aggiunge un altro movimento apparente sincrono in una direzione ortogonale alla prima, e cioè orizzontale (mediante due segmenti che si alternano), la traiettoria del primo movimento viene ‛deviata'. La deviazione può essere conforme a una combinazione cinematica dei movimenti (come se il movimento del punto venisse trascinato da quello del segmento), oppure, all'opposto, conforme a una relativizzazione dell'un movimento rispetto all'altro.
Se gli stimoli luminosi che danno luogo al primo movimento (i punti) sono di un dato colore (per es. rossi) e quelli che danno luogo al secondo movimento (i segmenti) di un colore diverso (per es. verdi), e se al soggetto in ipnosi è stata data la suggestione: ‟Lei vedrà sullo schermo davanti a lei ‛soltanto' elementi luminosi rossi; non ci sono nel suo campo visivo ‛cose' luminose di colore diverso dal rosso", annullando in tal modo la percezione dei segmenti verdi, può accadere che il soggetto veda il movimento del punto rosso con traiettoria verticale non deviata (così come accade quando effettivamente i segmenti verdi non ci sono); ma qualche volta può accadere anche che il soggetto veda invece la traiettoria deviata (in senso ‛combinato' oppure in senso ‛relativo'), pur non percependo i segmenti, né il loro movimento, in forza dell'allucinazione negativa.
È particolarmente interessante per il problema di cui ci stiamo occupando, la situazione in cui si produce la deviazione della traiettoria del punto rosso, senza la visione dei segmenti verdi. Giacché in questo caso un elemento percettivo sottratto alla coscienza, e quindi fenomenicamente inesistente, continua ad agire sopra altri oggetti percettivi.
Si possono dunque realizzare, e sottoporre a un controllo obiettivo, anche ‛percezioni inconscie'.

3. Ipnosi e isteria

Parallelamente a quello per i fenomeni ipnotici, si è accentuato sul finire dell'Ottocento uno specifico interesse per le manifestazioni dell'isteria. Anche gli isterici con il loro comportamento danno l'impressione della simulazione e della commedia. In tempi passati, ma pure del tutto recentemente (da Th. Szasz, per es.), è stato sostenuto che l'isterico sia un simulatore.
Freud, chiamato da un tribunale austriaco nel 1920 a dare il proprio parere sopra i cosiddetti nevrotici di guerra del periodo bellico appena terminato, i quali presentavano una sintomatologia simile a quella isterica, si disse d'accordo con i colleghi che avevano parlato di simulazione; aggiunse però che si trattava di una simulazione non voluta: non voluta dalla personalità cosciente, ma corrispondente invece a un'altra distinta personalità inconscia (v. Freud, manoscritto del 1920).
Era stato soprattutto Charcot a stabilire lo stretto rapporto esistente fra ipnosi e isteria. Non solo i sintomi isterici avevano caratteri del tutto simili ai fenomeni ottenuti con l'ipnosi, sia durante la stessa ipnosi che sotto forma di compiti postipnotici; ma si riusciva, con ordini opportuni dati in ipnosi, a far scomparire (almeno transitoriamente) alcune manifestazioni isteriche (quali contratture muscolari, paralisi, stereotipie, ecc.), oppure a produrre alcuni di questi sintomi in individui che prima ne erano del tutto esenti (v. Freud, 1925).
Questo giustificava il concetto che l'ipnosi fosse un'isteria artificiale, e l'isteria uno stato ipnotico spontaneo, e che esse fossero perciò fondamentalmente un fenomeno unico, di scissione, o alternanza di personalità. Ma poiché in questa personalità plurima una sola persona al momento si presentava alla coscienza, una parte di attività psichica (di pensiero, di ricordo, di conoscenze, di desideri, di impulsi, di volontà) deve persistere in qualche modo fuori della coscienza.
Bisognava però determinare come potesse essere infranta l'unità della coscienza che a tutti sembra tanto ovvia, dato che è connessa con il senso che ognuno ha della propria identità, e dell'essere sempre tutto se stesso.
Le dottrine che cercarono di dare una risposta a tale domanda furono a quei tempi tre.
P. Janet (v., 1889) sostenne che i diversi processi della vita psichica sono fra loro collegati da una particolare funzione, la quale assicura normalmente l'unità della coscienza. In determinati individui questa funzione è - spontaneamente e stabilmente, oppure transitoriamente e per un'azione esterna particolare (quella ipnosuggestiva) - labilizzata. Quale effetto di questa debolezza psicologica, si produrrebbero i fenomeni di distacco e autonomizzazione di alcune funzioni psichiche parziali, oppure la costituzione di due o più nuclei psichici che si contendono l'occupazione della coscienza, oppure ancora la totale disgregazione della personalità.
Joseph Breuer (v. Breuer e Freud, 1895), che fondò la sua concezione di questi fenomeni soprattutto sull'osservazione di un singolo caso (quello di Anna O.), riteneva che l'ipnosi fosse uno stato psichico particolare con gradi diversi di profondità, indotto da un'altra persona, ma che poteva anche prodursi spontaneamente durante episodi fortemente traumatici. Le situazioni vissute durante tali stati ‛ipnoidi' resterebbero escluse dalla normale elaborazione a cui sono soggetti gli elementi della nostra comune esperienza, e agirebbero autonomamente come corpi estranei. Solo rimettendo l'individuo in uno stato d'ipnosi e facendogli rivivere coscientemente quelle situazioni passate, si potrebbe ottenere una riannessione alla coscienza di quegli elementi e una ‛abreazione' degli impulsi emotivi che erano rimasti ‛incapsulati'.
Sigmund Freud, che collaborò inizialmente con Breuer continuandone l'opera, fu indotto a individuare un altro processo per spiegare negli isterici, e poi in generale nei nevrotici, il distacco di determinati contenuti dalla coscienza: un processo automatico di difesa da rappresentazioni dolorose, o suscettibili di provocare reazioni dolorose (ibid.).
Debolezza psichica, stati ipnoidi, processo di difesa (o, come fu detto più tardi, di rimozione) sono dunque i tre fattori indicati da Janet, da Breuer e da Freud come responsabili del distacco di determinati contenuti dalla coscienza.

4. L'inconscio come noumeno o come integrazione della coscienza

Lo stato in cui questi contenuti venivano a trovarsi per effetto di un tale distacco fu detto all'inizio ‛subconscio'.
Janet mantenne questa denominazione. Freud e Breuer, pur scrivendo anch'essi ‛subconscio' negli Studi sull'isteria del 1895, fin dal 1892, negli Abbozzi per la ‛comunicazione preliminare' del 1893 (v. Freud, Brief an..., 1941; tr. it., pp. 142-145) parlarono anche di ‟ricordo inconscio", o di ‟secondo stato di coscienza".
È piuttosto importante quest'ultima espressione - che riproduce quelle usate da Charcot di ‟condizione seconda", e da Janet di ‟coscienza seconda" - giacché indica come Freud fin dall'inizio abbia concepito l'inconscio, non soltanto per la sua connotazione negativa di assenza di coscienza, ma in senso positivo come un sistema estraneo alla coscienza propriamente detta, un secondo sistema appunto, avente però una sua struttura equivalente, anche se non eguale, a quella che alla personalità cosciente si suole attribuire.
La difficoltà di usare il termine ‛inconscio', che si avverte negli psicologi e negli psichiatri del periodo anteriore alla elaborazione della dottrina psicanalitica, e che perdura in alcuni, è dovuta al persistere delle obiezioni ‟dei filosofi" (come diceva Freud) verso il concetto di inconscio, giudicato contraddittorio.
Freud (v., 1915; tr. it., p. 51) osserva che questa asserita contraddizione dipende soltanto dal fatto che in partenza si è arbitrariamente definito lo psichico come ciò che è dato alla nostra personale introspezione. In tal modo però dovremmo negare realtà anche alla vita psichica degli altri soggetti, e si imporrebbe quella posizione solipsistica che la generalità degli uomini rifiuta come una bizzarria.
A questo punto Freud fa un ragionamento che - per ciò che riguarda il senso interno e i sensi esterni, e la nozione di realtà fenomenica contrapposta alla cosa in sé - riecheggia la posizione kantiana.
Fin dal 1899, nel cap. VII della Interpretazione dei sogni, egli aveva detto (v. Freud, 1899; tr. it., p. 557): ‟L'inconscio è lo psichico reale nel vero senso della parola, altrettanto sconosciuto, per sua intima natura, di [quanto lo è] la realtà del mondo esterno, e a noi presentato dai dati della coscienza in modo altrettanto incompleto, quanto [lo è] il mondo esterno dalle indicazioni dei nostri organi di senso".
Quindici anni più tardi nel saggio su L'inconscio, appartenente agli scritti di Metapsicologia, egli cita Kant in modo esplicito (v. Freud, 1915; tr. it., p. 54): ‟Così come Kant ci ha ammonito a non trascurare il condizionamento soggettivo della nostra percezione, e a non ritenere la nostra percezione identica al suo oggetto inconoscibile, così la psicanalisi ci avverte di non scambiare la percezione della coscienza per il processo psichico inconscio che ne è l'oggetto. Come la realtà fisica, anche quella psichica non è nella sua essenza necessariamente tale quale ci appare".
Sembrerebbe da questi passi che Freud intenda considerare i dati della coscienza semplici epifenomeni di una sottostante realtà inconscia. Ma non sempre egli si mantiene su posizioni di questo genere. Nello stesso scritto ora citato l'inconscio viene anche detto il prodotto di una extrapolazione rispetto ai dati della coscienza, extrapolazione necessaria per poter dare di quegli stessi dati coscienti un'interpretazione razionale unitaria (ibid., p. 50): ‟Tutti questi atti coscienti restavano scollegati e incomprensibili, fin tanto che ci attenevamo alla tesi che ogni atto psichico prodottosi in noi debba essere sperimentato dalla coscienza, mentre essi si organizzano in una connessione evidente, se interpoliamo gli atti inconsci che abbiamo scoperti".
Ma come si ‛scoprono' questi atti inconsci?
Qui sembra di trovarsi di fronte a un circolo vizioso. La scoperta non sempre consiste in un ‛trar fuori', alla luce, quello che prima era coperto. Ciò accade soltanto raramente, e per lo più in un secondo tempo. Gli atti inconsci sono invece soltanto immaginati, in funzione di un'esigenza di razionalità e coerenza. Il dato primo non può quindi essere che quello della coscienza, e l'inconscio viene postulato allo scopo di rendere comprensibile e coerente il funzionamento dell'attività cosciente. Perciò l'inconscio è una costruzione che la riflessione critica opera sulla base dei dati dell'esperienza, per una più completa comprensione di questi stessi dati.
La situazione non è allora diversa da quella che si verifica nelle scienze fisiche. Anche là il dato di partenza è soltanto quello dei processi sensorio-percettivi, e cioè l'immagine sensibile del mondo così come esso ci appare. Ma prima ancora che inizi una vera e propria indagine scientifica, tale immagine viene integrata: il mondo si allarga e si completa, con elementi costruiti, postulati, nei termini stessi della realtà sensibile data immediatamente.
Così come accade per i contenuti primitivamente inconsci che in seguito si fanno coscienti, anche questi elementi o aspetti della realtà materiale, inizialmente soltanto postulati, possono qualche volta essere rintracciati e portati alla nostra osservazione tanto da essere percepiti. Ma noi pensiamo il mondo fisico costituito anche da elementi e proprietà destinati a non divenire mai - per definizione, possiamo dire - oggetto diretto di osservazione: come l'elettricità ad esempio, e ogni altra forma di energia, come i fatti che si svolgono su scala subatomica, o i fenomeni di fusione nucleare che avvengono al centro della massa solare, ecc. Nessuno considera scorretto parlare di cose materiali immaginate nei termini di quelli che sono i dati della nostra sensibilità (non esiste un altro tipo di immaginazione) e tuttavia considerate, per definizione, come non accessibili ai nostri sensi.
Questo parallelismo fra costruzione di una realtà psichica inconscia e costruzione della realtà del mondo fisico è significativo. Anch'io (v. Musatti, 1926) ho posto a confronto la concezione di uno psichismo non accessibile, per definizione, all'introspezione e la descrizione di realtà materiali parimenti definite non accessibili ai nostri sensi.
Il procedimento di ricostruzione dell'inconscio, operato soprattutto da Freud, ha dato tuttavia luogo a un risultato particolare.
Quella che Freud ha chiamato una interpolazione (o talora extrapolazione) dei dati introspettivi disponibili è stata da lui operata sopra un materiale tratto da tre fonti principali: la sintomatologia nevrotica, i sogni e i comportamenti anomali compresi in quella che egli chiamò la psicopatologia della vita quotidiana. Di queste tre fonti, quella costituita dal materiale onirico ha dato i frutti maggiori e più certi. Per questo Freud - che pure cominciò a parlare di ‟inconscio" fin dal 1892 per l'interpretazione dell'isteria, come sopra abbiamo veduto - ha detto che l'analisi dei sogni è la ‟via regia" per l'esplorazione dell'inconscio.
L'analisi cerca di individuare, dietro il contenuto manifesto del sogno, un contenuto latente e cioè inconscio. Lo fa raccogliendo le associazioni che il soggetto porta col racconto del sogno, o a proposito del sogno, o durante la rievocazione del sogno; quindi sogno e associazioni sono trattati come indizi di un pensiero nascosto che deve essere rintracciato. Esso viene inizialmente immaginato come del tutto corrispondente al pensiero di tipo razionale e cosciente che siamo soliti osservare in noi stessi, e che attribuiamo ai nostri simili.
Se non che, operando in questo modo, Freud si rese rapidamente conto che il pensiero latente del sogno - pur ricostruito partendo dal presupposto che esso dovesse essere un pensiero pienamente sensato e corretto, quale ci illudiamo sia il pensiero della veglia - si rivelava invece, per dati caratteri, profondamente diverso.
Il risultato, da un punto di vista metodologico ed epistemologico, è ovviamente imbarazzante. Trova tuttavia anch'esso un riscontro in quanto accade nelle interpolazioni operate sui dati fenomenici riguardanti la realtà fisica esterna. Infatti il mondo ricostruito dalla fisica non risulta in definitiva omogeneo con l'immagine sensibile della realtà. È privo ad esempio delle cosiddette qualità secondarie, e presenta intrinseche contraddizioni (come quella fra modelli corpuscolari e modelli ondulatori).

5. Logica dell'inconscio

La situazione è dunque questa: di fronte a manifestazioni bizzarre, irrazionali e prive di giustificazioni, quali appaiono ad esempio i sogni, l'analista si pone il compito di individuare un sottostante pensiero corretto, che giustifichi il sogno e gli dia un senso. Ciò che riesce a costruire, coi dati di cui dispone, è invece un pensiero che solo in modo approssimativo si avvicina a quanto ci si aspettava. Bisogna dunque cercare di individuare questo diverso tipo di pensiero.
Non ha caratteri positivi nuovi rispetto al pensiero comune. Poiché si tratta di una ricostruzione effettuata dall'analista che interpreta, caratteri aggiuntivi nuovi non potrebbero essere che arbitrariamente inventati. Presenta invece tutta una serie di ‛assenze', o manchevolezze, rispetto al pensiero cosciente.
Ecco le principali: il pensiero inconscio ignora il no. Positivo e negativo sono intercambiabili. Un'azione rappresentata nel sogno può tanto esprimere che quella azione si compie, si è compiuta o si compirà, quanto che essa non si compie, non si è compiuta, o non si compirà.
Il pensiero inconscio ignora il tempo. Passato, presente e futuro sono la stessa cosa. Non desta meraviglia nel sogno l'accostamento di avvenimenti appartenenti a tempi fra loro assai lontani.
L'inconscio ignora anche l'unità di spazio. Si può essere in sogno contemporaneamente in posti differenti; e i luoghi, i paesaggi, gli ambienti si scambiano con estrema facilità.
Sono sufficienti analogie molto superficiali fra situazioni oppure fra oggetti, perché un elemento entri in un contesto ‛in rappresentanza' di un altro, come suo simbolo.
I principi che la vecchia logica formale elencava quali principi della ragione (il principio di identità, di non contraddizione, di ragion sufficiente ecc.) non contano per l'inconscio.
Un'altra caratteristica importante riguarda il rapporto con la realtà. Fin dal 1895, nel Progetto di una psicologia, Freud (v., 1950; tr. it., p. 230) aveva osservato che nell'in- conscio manca un ‟segno di realtà": un segno cioè che distingua ciò che è reale da ciò che è meramente immaginato.
Se la situazione è questa, sembrerebbe impossibile mantenere ancora la tesi che al pensiero inconscio, ricostruito ad esempio come sottostante a un sogno, si pervenga per l'esigenza di riportare le assurdità e le contraddizioni del sogno nell'ambito di un pensiero sensato.
Eppure l'interpretazione analitica è proprio guidata da un'esigenza razionale. Piuttosto, l'interpretazione può rintracciare nel sogno, o in qualsiasi altro prodotto dell'in- conscio, solo quel tanto di razionalità che è compatibile con lo stesso psichismo inconscio, e non un di più: che rimane per così dire appannaggio, o quanto meno aspirazione, del pensiero cosciente.
La modalità di pensiero che, esplorando l'inconscio, si ha l'impressione di scoprire era per altre vie già nota. È una modalità primitiva e arcaica, che si ritrova nei discorsi e nei comportamenti dei bambini e dei selvaggi. E basta che si cerchi di applicare gli stessi procedimenti interpretativi usati per i sogni ai prodotti della fantasia e dell'arte, perché anche tali prodotti lascino trasparire una modalità di pensiero analoga.
Non si tratta di pensiero inteso in senso intellettualistico. Questa realtà sottostante è costituita in gran parte da potenti cariche emotive, che presentano la caratteristica di un'estrema mobilità, passando da un oggetto a un oggetto sostitutivo, e che non sono quindi soggette a quell'imbrigliamento delle pulsioni da Freud considerato tipico del comportamento cosciente adulto. L'adulto infatti abbandona il ‟principio del piacere" (v. Freud, 1911), che spinge a ricercare un'immediata condizione di appagamento, e sostituisce a esso il ‟principio di realtà", per il quale l'appagamento viene ricercato tenendo conto delle situazioni obiettive, e cioè delle limitazioni e dei condizionamenti imposti dalla realtà, al fine che lo stesso appagamento, anche se posposto nel tempo, risulti in definitiva più stabile.
La mancanza di un esame di realtà nell'inconscio lascia invece le pulsioni allo stato brado.
La tesi, sempre sostenuta da Freud, del carattere ottativo del sogno, del fatto cioè che esso non esprime pensieri, giudizi, costatazioni, rievocazioni, recriminazioni, rammarichi, ecc., ma sempre e soltanto (anche quando utilizza questi giudizi e queste rievocazioni) un desiderio che si appaga allucinatoriamente, è sì empiricamente fondata sopra una vasta casistica di interpretazioni di sogni, ma trova la sua giustificazione teorica nel fatto che l'inconscio è prevalentemente costituito da pulsioni, da desideri, i quali cercano in ogni modo un, sia pur illusorio, appagamento.
Questo non significa che le cose vadano sempre lisce nell'inconscio. Tutt'altro. Agiscono conflitti permanenti, proprio perché i contrasti non si compongono e perché la contraddizione è per lo stesso inconscio una condizione stabile.
Così si ritrovano accanto a pulsioni di origine remota, che sono rimaste attive lungo il corso della vita, sentimenti di colpa inconsci (v. Freud, 1907; tr. it., p. 346), anch'essi risalenti a vicende antiche.
Freud (v., 1915; tr. it., p. 71, n. 3) riconosce a Breuer il merito di aver individuato, nel suo contributo agli Studi sull'isteria, i due differenti modi di funzionare dell'apparato psichico: quello del processo psichico primario, in cui l'energia è libera e circola quindi con grande facilità per i vari contenuti mentali, senza i vincoli successivamente imposti da un'aderenza alla realtà, e quello del processo psichico secondario, influenzato invece dalla necessità di rimanere vincolati alla realtà e di sottomettersi ai principi di razionalità. Mentre il pensiero cosciente dell'uomo adulto soggetto all'opera di culturalizzazione funziona secondo il processo secondario, nel bambino e nel primitivo (o in coloro che ritrovano in sé un'impostazione corrispondente a quella del bambino e del primitivo), e comunque nell'inconscio di ciascuno, funzionano i processi primari.
L'inconscio appare in tal modo ciò che di infantile e di primitivo continua a essere attivo in ciascuno al di sotto di un diverso sistema psicologico, che si sviluppa al contatto della realtà naturale e sociale.

6. Dinamica dell'inconscio

Le situazioni che sono state citate più su per fornire una prova della legittimità di concepire uno psichismo inconscio (i compiti postipnotici di Bernheim, le allucinazioni negative di Benussi, l'interpretazione freudiana delle psiconevrosi da difesa) fanno tutte riferimento a un fattore specifico che in modo attivo escluderebbe o manterrebbe lontano dalla coscienza determinati elementi o processi psichici. Ciò introduce un punto di vista particolare non più semplicemente descrittivo, ma dinamico.
Freud (v., 1915; tr. it., p. 55) si è sempre reso conto dell'ambiguità che derivava dal servirsi dei due criteri, descrittivo e dinamico, per definire l'inconscio; ritenne tuttavia che non vi fosse modo per procedere altrimenti.
Inconscio e cosciente sono due opposte ‛qualità' che un processo psichico può presentare. Ma alcuni processi e contenuti sono inconsci per loro natura (o lo sono divenuti per effetto di dati eventi particolari) e comunque non possono farsi coscienti, perché una data forza, o un ostacolo, lo impedisce loro; altri processi e contenuti invece, anch'essi al momento inconsci, sono in grado di divenire coscienti senza difficoltà. Vi sono infine elementi che, pur essendo inizialmente inconsci in modo stabile, si fanno ‟capaci di diventar coscienti" (bewusstheitsfähig), secondo un'espressione introdotta da Breuer (v. Breuer e Freud, 1895; tr. it., p. 369 e nota).
Ciò si può esprimere, secondo Freud, immaginando due sistemi: gli elementi inconsci, ma tuttavia suscettibili di divenire coscienti senza difficoltà, rientrerebbero nel sistema preconscio (Prec.); mentre la denominazione di inconscio (Inc.) verrebbe riservata agli elementi o del tutto impossibilitati a farsi coscienti, oppure suscettibili al caso di divenirlo, ma soltanto in seguito a una certa modificazione dell'assetto generale delle forze agenti nell'apparato psichico.
Le considerazioni sopra esposte circa la natura dell'inconscio in contrapposizione alla coscienza, circa il processo psichico primario e le cariche emotive non legate, riguardano essenzialmente l'inconscio propriamente detto e non il preconscio: che presenta le stesse caratteristiche strutturali della coscienza.
Queste distinzioni e classificazioni non vanno tuttavia intese in senso rigido, giacché i contenuti psichici, nel passaggio dall'uno all'altro sistema, portano con sé in parte i caratteri del sistema da cui provengono. Il sogno manifesto appartiene al sistema della coscienza (Co.), dal momento che lo ricordiamo e lo raccontiamo, ma conserva - allo stesso modo del delirio psicotico (v. lo scritto Metapsychologische Ergänzung zur Traumlehre, in Freud, 1924) - i caratteri del processo primario e del sistema inconscio.
Circa gli elementi dinamici che caratterizzano e proteggono l'inconscio come sistema, Freud li indica con diversi termini.
Nei primi scritti dopo il 1892 prevale l'espressione ‛difesa' (Abwehr). Tuttavia, fin dalla Comunicazione preliminare (v. Breuer e Freud, 1895; tr. it., p. 181) appare anche il termine ‛rimozione' (Verdrängung) per indicare il meccanismo tipico che rende e mantiene inconscio un contenuto psichico, e anche ‛censura' (Zensur; ibid., p. 407) che si riferisce - un po' antropomorficamente - a una sorta di sorveglianza nei confronti dei contenuti che si affacciano per penetrare nella coscienza; e ‛resistenza' (Widerstand), usato dapprima in senso non tecnico da Breuer (ibid., p. 191) per il comportamento riluttante verso la cura da parte del paziente, e poi da Freud (ibid., p. 406) per indicare specificamente la forza che deve essere superata e vinta per consentire a dati elementi inconsci responsabili dei disturbi nevrotici di affiorare alla coscienza. Freud suppone che essa sia la stessa identica forza che in origine ha reso inconsci quei contenuti, divenuti di conseguenza patogeni, e che cioè essa si identifichi con la stessa rimozione.
Questi termini, inizialmente intercambiabili, hanno finito con lo specificarsi.
‛Difesa' è divenuto un termine più comprensivo, usato per tutti processi (i vari ‛meccanismi di difesa') con cui l'Io si premunisce dai pericoli psichici interni che lo minacciano, e di cui la ‛rimozione', e cioè il meccanismo che rende inconscio un dato contenuto, è soltanto un caso particolare (v. Freud, 1922).
‛Censura' è divenuta quella istanza che subordina l'ingresso alla coscienza (di un'immagine, o di un pensiero pericoloso) a un suo camuffamento, o a una sua attenuazione compromissoria. In modo specifico nella Interpretazione dei sogni (v. Freud, 1899) il concetto di censura è estesamente utilizzato. In una nota (ibid.; tr. it., p. 139) aggiunta a quest'opera nel 1919 Freud fornisce l'esempio di un sogno (risalente all'epoca della guerra) per il quale il termine censura risulta giustificato in modo pregnante, giacché la difesa da elementi verbali imbarazzanti viene effettuata proprio mediante una sorta di cancellazione delle espressioni più critiche, ottenuta con la sovrapposizione di rumori e borbottii: operazione che è identica a quella della censura epistolare esercitata dalle autorità militari del tempo bellico, e che viene effettuata coprendo le parole incriminate con inchiostro nero. In un suo film, Buñuel ha riprodotto lo stesso procedimento di censura fonetica presente nel sogno citato da Freud.
Infine il termine ‛resistenza' è stato specificamente usato per il comportamento del paziente in cura, il quale con una parte di sé preferisce la soluzione costituita dalla malattia alla guarigione, la quale richiede un'accettazione della realtà: e che perciò sviluppa quello che può esser detto l'‛attaccamento alla malattia', in vista di un ‛utile primario' (cioè l'appagamento, sia pur travestito e parziale, di date pulsioni), oppure anche di un ‛utile secondario' (i piccoli e miserabili compensi che possono essere da lui piatiti per il suo stato di persona sofferente) (v. Freud, 1926, È III).
La dinamica dell'inconscio non si esaurisce con le forze che si oppongono al divenire cosciente. Se così fosse, nulla di inconscio potrebbe mai farsi cosciente.
Poiché soltanto attraverso la coscienza le pulsioni pervengono a modificare la realtà così da raggiungere un appagamento, agiscono nell'inconscio anche forti cariche che urgono verso la coscienza; e i rapporti fra l'inconscio e la coscienza risultano regolati dal gioco di queste opposte forze, le quali vietano o spingono nella direzione della coscienza e dell'azione sulla realtà.
Queste forze non riguardano soltanto singoli elementi. Per la mobilità delle cariche, che si spostano da un oggetto all'altro, e per le influenze esercitate dai vari elementi fra loro (così che la rimozione esercitata su un contenuto si può estendere ad altri con quello collegati) si verifica una situazione generale di equilibrio instabile.

7. Topologia dell'inconscio

Freud (v., 1915; tr. it., p. 65) chiama ‟metapsicologica" la descrizione di un processo psichico che tenga conto di tre punti di vista: quello topico, quello dinamico e quello economico.
Il punto di vista topico riguarda uno schema di rappresentazione spaziale riproducente i rapporti fra i vari sistemi entro i quali si svolge l'attività psichica.
Distinti i sistemi della coscienza, del preconscio e dell'inconscio, e stabilito che il preconscio va immaginato come intermedio fra la coscienza e l'inconscio, la censura deve venir collocata al confine fra l'inconscio e il preconscio.
Questo è valido, anche se si può immaginare che una, sia pur più lieve, barriera divida anche il preconscio dalla coscienza (ibid., p. 75), dal momento che non tutto ciò che non è rimosso si presenta da solo alla coscienza. Ma una rappresentazione inconscia, per divenire cosciente, deve superare la censura, così da divenire ‟suscettibile di farsi cosciente" (bewusstheitsfähig).
Questo schema spaziale presenta una certa utilità per una rappresentazione intuitiva dei vari rapporti fra gli elementi psichici. Lascia tuttavia aperti molti problemi, dato che gli elementi della vita psichica non sono palline viaggianti da uno scompartimento all'altro. Ad esempio, quando una immagine, o una situazione, prima coperta da rimozione, viene individuata e riconosciuta dal soggetto, così che possiamo parlarne come di un elemento della coscienza, non sappiamo ancora se con questo il suo posto, la sua carica, la sua realtà, scompaiono nell'inconscio, o se invece quell'elemento, pur essendo divenuto cosciente, continui anche ad appartenere in qualche modo, in proprio o con una sua rappresentanza, allo stesso inconscio (ibid., p. 58).
Freud lascia in sospeso questo e altri simili problemi. E si comprende perché. La rappresentazione topica costituisce un modello di sistemazione che consente di descrivere determinati rapporti, ma non può essere assunta come fotografica riproduzione di una realtà.
Così pure, se la rappresentazione topica è, fino a un certo punto, facilmente utilizzabile quando è riferita agli elementi della vita intellettiva (immagini, ricordi, pensieri, ecc.), la sua utilità appare minore per la realtà pulsionale.
Freud afferma che una pulsione non può mai essere cosciente; cosciente può essere soltanto l'idea che la rappresenta. Ma anche nell'inconscio la pulsione non può figurare per se stessa, ma soltanto per la sua rappresentanza ideativa.
Difficoltà analoghe si hanno per i sentimenti, che a rigore non dovrebbero mai essere detti inconsci. Ciononostante, per brevità e per comodità, Freud parla anche di sentimenti e di pulsioni inconscie, quando tale qualifica dovrebbe riferirsi soltanto alle rappresentanze ideative che vi corrispondono (ibid., p. 60). In tal modo vengono formulate le paradossali espressioni di ‟angoscia inconscia", o anche di ‟coscienza di colpa inconscia" (unbewusste Schuldbewusstsein; ibid.).
I punti di vista topico e dinamico della metapsicologia dovrebbero essere completati col punto di vista economico, inteso come valutazione quantitativa dei fattori dinamici agenti sui contenuti dell'attività psichica. Freud ha sempre avuto l'impressione di aver trascurato questa specie di trattazione e se ne duole scrivendo, sul finire della sua vita (v. Freud, Die endliche..., 1937), che si sarebbe dovuto sviluppare il punto di vista economico, allo stesso modo come riteneva di aver esaurientemente sviluppato quello topico e quello dinamico.
I motivi di questa presunta manchevolezza sono agevolmente individuabili.
Concetti quantitativi possono certo essere introdotti per le pulsioni, le cariche, le controcariche agenti in noi; hanno tuttavia caratteri diversi dai corrispondenti concetti quantitativi della fisica, e non sono ad esempio riconducibili a qualche cosa che assomigli a un sistema CGS.
Di due forze psichiche in contrasto possiamo dire che sono in equilibrio o che una prevale sull'altra, ma non dare un valore numerico all'entità di quella prevalenza.
Inoltre l'estrema mobilità di queste forze fa sì che quello che in un dato momento è uno stato di equilibrio venga successivamente alterato per una lieve momentanea attenuazione di una delle componenti. È particolarmente visibile una situazione del genere, quando si considerino i diversi procedimenti immaginati e proposti per un'esplorazione dell'inconscio.

8. Tecniche esplorative

Ciò che si indica come inconscio è dunque l'esito di una costruzione effettuata dal pensiero al fine di completare l'immagine che ci facciamo del funzionamento dell'attività psichica. E tale costruzione corrisponde, come si è visto, a quella che nell'ambito delle scienze fisiche si effettua per completare i dati forniti dall'attività sensoriale in un'immagine coerente della realtà materiale.
Talora è possibile convertire elementi di questa realtà ricostruita (interiore o esterna) in qualche cosa di direttamente osservabile. Si ha in tal caso una conferma diretta della validità della costruzione. Altre volte invece questo non è possibile; ma si può ottenere egualmente una conferma indiretta della validità, in quanto viene arricchito il materiale di dati osservabili che rientrano nella sistemazione razionale a base della costruzione. (Il termine ‟costruzione" in luogo di ‟interpretazione" fu introdotto da Freud in uno dei suoi ultimi scritti teorici; v. Freud, Konstruktionen..., 1937).
Tanto il fisico quanto lo psicologo hanno tuttavia l'impressione di stare proprio esplorando la realtà, come se tale realtà avesse una sua esistenza obiettiva indipendente dalla ricerca scientifica, e come se il loro compito consistesse soltanto nello scovare quella realtà nascosta.
Anche le tecniche esplorative dell'inconscio presentano un simile carattere.
La prima di tali tecniche in ordine di tempo, quella ideata da Breuer (o suggerita a Breuer dalla sua paziente Anna O.; v. Breuer e Freud, 1895; tr. it., pp. 189 ss.), partiva dal principio che le esperienze traumatiche, divenute inconscie perché vissute in uno stato ipnoide, potessero essere recuperate alla coscienza, quando il soggetto fosse collocato in un analogo stato ipnoide, cosicché, rivivendo in tale stato la situazione traumatica, potesse far defluire la carica energetica rimasta incapsulata al momento del trauma.
Freud, invece, partendo dall'ipotesi che le esperienze traumatiche divenissero inconscie per un processo attivo di difesa dalla loro spiacevolezza (rimozione), pensò inizialmente di utilizzare l'ipnosi come strumento per vincere la rimozione, invitando energicamente il paziente, con imperiosità suggestiva, a ricordare. Egli abbandonò però presto questa tecnica, che dava scarsi frutti, per elaborarne una diversa, che è poi rimasta la sua tecnica fondamentale.
Se al momento di pronunciare il nome di una persona che conosco perfettamente, tale nome mi sfugge e ho, rispetto a esso, come si dice, un'improvvisa ma tenace amnesia, il modo migliore per superare la situazione è - come ognuno sa ed esperimenta su se stesso - quello di abbandonare l'infruttuosa ricerca. Per lo più, dopo poco tempo, mentre la mia attenzione è rivolta altrove, il nome mi si presenta da sé. Freud studiò tali situazioni nella Psicopatologia della vita quotidiana e diede la seguente spiegazione, che era tuttavia già stata anticipata in Meccanismo psichico della dimenticanza del 1898. Se il nome a me noto si rifiuta, per così dire, di essere ricordato, ciò significa che agisce in me una forza (rimozione) la quale tende a escluderlo dalla coscienza. Lo sforzo per rintracciare il nome così da poterlo pronunciare dovrebbe agire in senso contrario. Accade però che, contemporaneamente, questo consapevole proposito di ricordare ha anche l'effetto di rafforzare la rimozione. Se abbandono i miei sforzi di memoria e mi occupo d'altro, anche la rimozione si attenua, mentre rimane attiva, come effetto residuale consecutivo, una spinta a livello inconscio, la quale conduce il nome a presentarsi, sorprendendo in certo modo la sorveglianza delle forze rimoventi.
La tecnica espressa dalla ‛regola fondamentale' della psicanalisi consiste precisamente nell'abbandonare ogni ricerca intenzionale di un particolare materiale inconscio, per sostituire tale ricerca con un abbandono al libero, non guidato, scorrere del pensiero. In tal modo le forze della rimozione si attenuano, mentre agiscono invece le forze automatiche che conducono alla rievocazione: forze messe in moto (inconsciamente) dalla situazione complessiva del soggetto (suo rapporto coll'analista, sua decisione di sotto- porsi all'analisi, sua aspirazione a guarire, ecc.) e dallo specifico argomento di cui il soggetto si sta occupando.
Si tratta in sostanza di una tecnica della distrazione, contrapposta alla concentrazione attiva sul compito di ricordare. Questa tecnica agisce non soltanto nei confronti di specifici ricordi dimenticati, ma per ogni contenuto soggetto a rimozione, e in modo specifico per gli elementi della vita affettiva e le rappresentazioni che a quella si connettono.
Indipendentemente da Freud, e parallelamente invece alle ricerche di M. Wertheimer e J. Klein (v., 1904) nel campo di quella che fu chiamata la psicologia della testimonianza (cosa che diede origine a una polemica di priorità), Jung (1904-1906) elaborò una tecnica fondata sulle associazioni verbali.
Anche Jung mirava a sorprendere le forze chiamate da Freud rimoventi col chiedere al soggetto di reagire, con la prima parola che gli fosse venuta in mente, a una parola- stimolo convenientemente scelta con criteri provocatori. Lo studio delle risposte ottenute e dei tempi impiegati per rispondere, usando lunghe serie di parole-stimolo, consentiva di stabilire se le parole impiegate avessero per così dire colpito una zona sensibile dell'inconscio del soggetto, e cioè uno di quelli che poi Jung chiamò complessi. In tal modo era pure possibile trarre qualche informazione circa il contenuto di quei complessi.
Il metodo delle associazioni verbali di Jung mira a sorprendere le difese, e cioè la rimozione, mediante la rapidità richiesta per le risposte.
Un'altra tecnica viene messa in opera con i test proiettivi. In questi l'attenzione è deviata dai contenuti inconsci oggetto di indagine, in quanto viene concentrata sul compito: che consiste nell'interpretare date figure, o effettuare costruzioni, o combinazioni di elementi figurali, o disegnare qualche cosa di apparentemente neutro, ecc. La modalità di esecuzione del compito risulta allora guidata da criteri che esprimono proprio quegli elementi inconsci dai quali l'attenzione era stata distolta.
Si collega invece all'antico procedimento di Breuer la tecnica indicata come narcoanalisi, e cioè l'interrogatorio del soggetto collocato in uno stato di seminarcosi, ottenuto con barbiturici. I tentativi di questa specie mirano ad attenuare le forze della rimozione facendo così emergere contenuti inconsci. Si ottengono con la narcoanalisi altri risultati; non sembra invece che si raggiunga quello di attenuare le difese del materiale rimosso.
La psicanalisi rifiuta i procedimenti alternativi ora indicati, il cui interesse rimane soltanto teorico. Per i fini terapeutici che essa ha di fronte a sé, un'esplorazione dell'inconscio condotta in modo così frammentario e svincolato da una modificazione generale della personalità non ha senso.
Ciò non riguarda ovviamente l'impiego dei test proiettivi per scopi diversi da quello di un reperimento di materiale inconscio, e cioè per semplici indicazioni diagnostiche sulla base della struttura formale delle risposte, e non dei contenuti.
Per quanto riguarda l'esplorazione dell'inconscio, i vari procedimenti alternativi non utilizzano (o riducono al minimo) un fattore che nella tecnica analitica di Freud è invece essenziale: il rapporto emotivo con l'analista.
Si deve soprattutto a tale rapporto, e cioè al cosiddetto transfert, l'efficacia della regola fondamentale dell'analisi. Fin dall'inizio Freud si avvide che esso influiva sulla personalità del paziente, nel senso di farlo regredire, con i suoi pensieri e i suoi ricordi, verso la prima infanzia, sospingendolo insieme verso i temi della sessualità, che sono quelli maggiormente coperti da rimozione.
Ma lo sviluppo del transfert, o traslazione, aveva anche un'altra conseguenza: determinava un fenomeno che rappresenta a sua volta una vera e propria nuova tecnica per l'esplorazione dell'inconscio. E la sua importanza è tale da trasformarsi nel corso del trattamento addirittura in tecnica principale.
Il paziente, in forza del transfert, è infatti automaticamente portato a riprodurre, o mimare, nei rapporti con l'analista, o meglio nelle fantasie che fa su tali rapporti, le relazioni personali di antica origine, che nell'inconscio sono conservate, verso i membri del proprio ambiente familiare. Questo, che Freud ha chiamato l'agire analitico, e che il paziente tenderebbe a tradurre in atto (e cioè in comportamento effettivo), deve invece, nella pratica analitica, essere continuamente trasformato in memoria del passato, cioè in un'annessione alla coscienza di contenuti prima inconsci (v. Freud, 1914).

9. Difficoltà concettuali

Benché Freud abbia nel corso degli anni ripetutamente affrontato i problemi dell'inconscio, alcune difficoltà, soprattutto per il doppio punto di vista, qualitativo e sistematico, si sono ripetutamente presentate.
Un principio ribadito da Freud riguardava il modo come un contenuto inconscio può penetrare nella coscienza. Egli pensava (v. Freud, 1915; tr. it., p. 85) che ciò avvenisse per un collegamento fra la rappresentanza inconscia e l'espressione verbale corrispondente, tratta dai resti (prevalentemente auditivi) del linguaggio. Attraverso questi collegamenti con i resti verbali, si opererebbe anche la trasformazione del processo primario nel processo secondario. In altri termini sarebbe specificamente il linguaggio lo strumento che imbriglia il pensiero, costringendolo a seguire percorsi logicamente corretti, mentre il processo primario riguarderebbe un pensiero preverbale.
Freud dirà che nulla può divenire cosciente se non lo è già stato. Così nella coscienza penetrano esclusivamente resti mnestici. Ai contenuti inconsci che non possono divenire coscienti direttamente, non rimane che allearsi ai resti mnestici per avere un accesso indiretto alla coscienza.
Qui sembra proprio riaffiorare il concetto dell'inconscio come noumeno, e non più come integrazione dei dati della coscienza. Queste difficoltà fanno dire a Freud (ibid., p. 76) che forse bisognerebbe, nel descrivere i processi psichici, abbandonare l'importanza data all'elemento ‟consapevolezza", e cioè alla caratterizzazione di un processo come cosciente oppure inconscio.
Un segno di queste difficoltà incontrate da Freud si può rintracciare nella strana vicenda dell'opera Metapsicologia. A quest'opera, progettata forse fin dal 1911, egli pose mano nel 1915 scrivendo i dodici saggi che avrebbero dovuto comporla. Ne furono pubblicati, come articoli separati, cinque fra il 1915 e il 1917; e questi furono successivamente riuniti col titolo Metapsicologia (v. Freud, 1924). L'opera intera invece, e quindi gli altri sette saggi, non vide mai la luce. Di questi ultimi Freud distrusse i manoscritti senza dare spiegazione ad alcuno.
Si può supporre che dopo la guerra del 1914-1918 non ne fosse più soddisfatto. Affrontò allora nuovamente la trattazione teorica del funzionamento dell'apparato psichico, con opere che sono rimaste fondamentali per la definizione del suo pensiero.

10. Impersonalità dell'attività pulsionale inconscia

In L'Io e l'Es (v. Freud, 1922) sono ripresi concetti, riguardanti l'inconscio, che erano già stati precedentemente enunciati, ma poi - come era stato ipotizzato sette anni prima - l'‟elemento della consapevolezza" viene messo in secondo piano. Ed è intrapresa invece una considerazione globale della struttura dell'apparato psichico: la quale tiene sì anche conto dello stato cosciente, preconscio, o inconscio, dei vari contenuti, ma considera soprattutto i rapporti dinamici che intervengono nell'organizzazione di quei contenuti.
Freud aveva approfondito poco prima in Al di là del principio del piacere (v. Freud, 1920) l'analisi dei fattori pulsionali; e aveva quindi individuato in Psicologia delle masse e analisi dell'Io (v. Freud, 1921) una istanza (all'inizio chiamata ‟Ideale dell'Io" e più tardi ‟Super Io") operante dentro di noi come elemento normativo, imperiosamente agente su quella parte della persona in cui più propriamente ci riconosciamo, e che denominiamo Io.
L'attività pulsionale, già considerata elemento principale dell'inconscio, con la caratteristica di non divenire mai direttamente cosciente, anche se si fa valere sull'Io mediante le rappresentazioni e gli stati emotivi che ne derivano, è ora presa in considerazione per un carattere particolare, quello dell'impersonalità.
Gli impulsi o le reazioni che ne promanano sono riconosciuti ovviamente come in un certo senso nostri. Nello stesso tempo però appaiono come dovuti a un altro che agisce in noi: un altro che non è fuori di noi, che non possiamo individuare in alcuno, ma col quale neppure propriamente ci identifichiamo del tutto.
Adottando un'espressione usata da G. Groddeck (v., 1923), Freud indica con Es (che è nella lingua tedesca il pronome neutro usato come soggetto dei verbi impersonali) questa attività pulsionale, non domata, agente in forma inconscia, che esercita la propria influenza su tutta la nostra attività.
L'Io, che è la parte organizzata della personalità, operante per lo più sul piano cosciente, ma tuttavia talora anche in modo automatico e perciò inconscio, cerca di dominare, incanalare e controllare le spinte che provengono dall'Es. Quest'opera di controllo, di arginamento e di contrasto non risulta sempre efficace. Ma l'Io è indotto a esercitarla anche e soprattutto perché deve tener conto degli imperativi che provengono dal Super Io.
I rapporti fra le varie istanze che vengono a costituire la persona non sono tuttavia così chiari e semplici come si potrebbe supporre, e le istanze stesse non sono del tutto separate fra loro. Anche la loro collocazione rispetto alle provincie dell'apparato psichico (coscienza, preconscio e inconscio) è assai ambigua e non definita. Per avere una rappresentazione di questi rapporti la via migliore consiste nel seguire la personalità umana nel corso del suo sviluppo.
L'Es è la parte più antica: l'essere umano è infatti inizialmente costituito da un insieme di pulsioni che tendono al proprio appagamento, agendo sull'apparato muscolare ed essendo in contatto con la realtà esterna attraverso gli organi di senso. Gli ostacoli opposti dalla realtà all'appagamento delle pulsioni generano, per così dire, alla superficie dell'Es, rivolta verso l'esterno, una regione più organizzata, che rappresenta il nucleo primo dell'Io. Nell'Io stesso la superficie esterna costituisce il sistema Percezione-Coscienza: che rappresenta quindi una porzione minima dell'apparato psichico complessivo.
L'Io è in gran parte inconscio, o per meglio dire preconscio. Lo è per il patrimonio mnestico suscettibile di esser richiamato alla coscienza, e anche per i processi mentali automatizzati ma sottoponibili all'attenzione. Una parte dei contenuti dell'Io è tuttavia impedita dalla rimozione a farsi cosciente ed è perciò propriamente inconscia.
Nell'Io si forma quello che abbiamo detto Ideale dell'Io, o Super Io, come modello a cui l'Io tende ad adeguarsi. Si istituisce sulla base dell'azione esercitata da determinate figure personali, mediante processi di identificazione. Hanno per questo un rilievo particolare le figure parentali, e soprattutto il padre, come depositario di ogni verità, giudice di ogni azione, guida in ogni vicenda della vita.
Questo mitico padre interiorizzato non è una pura immagine, ma un'istanza attiva, la quale agisce parzialmente sul piano cosciente (come voce della coscienza, ad esempio); tuttavia, per la sua derivazione emotiva dal ‛romanzo familiare' (il cosiddetto complesso edipico), che è sprofondato nell'inconscio e che è strettamente collegato con le pulsioni originarie dell'Es, è anche in gran parte inconscio.
Anche le reciproche azioni fra le varie istanze vanno intese senza attribuire alle loro funzioni un carattere rigido.
Grosso modo all'Io compete un'azione mediatrice: nell'uomo adulto normale deve dare soddisfazione alle richieste provenienti dai fattori pulsionali dell'Es: non più tuttavia seguendo come in origine il principio del piacere (e cioè della realizzazione immediata, eventualmente allucinatoria), ma tenendo conto delle condizioni della realtà, con la quale l'Io è a contatto mediante il sistema Percezione-Coscienza. A questo lo spinge il comando del Super Io, il quale ha inoltre molte altre esigenze, come portatore di un codice normativo (morale, religioso, sociale) e come suscitatore nell'Io di un senso di colpa, che si traduce in angoscia.
I rapporti fra il Super Io e l'Io sono parzialmente coscienti, ma assai spesso anche inconsci, come ad esempio accade per i conflitti nevrotici. Né il Super Io è sempre l'avversario dell'Es. Anche in funzione della parentela che lo collega geneticamente all'Es, il Super Io può talora ergersi come avvocato dell'Es contro le restrizioni imposte dalla realtà esterna.
Freud ha tentato in L'Io e l'Es di riprodurre in un disegno dell'apparato psichico i vari rapporti delle istanze (l'Io, il Super Io e l'Es) fra loro, indicando anche la zona della percezione-coscienza e del preconscio. Manca invece in quel disegno l'indicazione dell'inconscio; e ciò perché (pur essendo anche l'Io e il Super Io in gran parte inconsci) l'inconscio, inteso in senso sistematico, coincide essenzialmente con l'Es.
In un analogo disegno schematico pubblicato nella Nuova serie di lezioni di introduzione alla psicoanalisi (v. Freud, 1933) egli fu più preciso e rimediò alla precedente omissione. Tuttavia in molti dei suoi scritti continuò a impiegare l'espressione ‟inconscio" al posto di ‟Es", in ciò spesso seguito anche da altri autori che si rifanno alle sue dottrine.

11. Problemi di comunicazione e genetici

Nella Nuova serie di lezioni di introduzione alla psicoanalisi, alla fine di un'estesa trattazione della lezione XXX, Freud afferma: ‟Posso dire che la psicanalisi, inserendo, fra ciò che è fisico e ciò che finora è stato indicato come ‛psichico', l'inconscio, ci ha preparati ad accettare processi come la telepatia".
Freud era molto critico verso tutto ciò che viene compreso sotto l'ambiguo termine ‛occultismo'. Ha anzi fornito talora interpretazioni psicanalitiche per spiegare in modo naturalistico, ed escludendo quindi ogni ipotesi di poteri e di fenomeni extranormali, presunti episodi di premonizione (v. Freud, 1921). Ma proprio volendo raggiungere una spiegazione plausibile per situazioni di questo genere, e in modo specifico per casi in cui sedicenti indovini riescono a fornire indicazioni e notizie esatte che dovrebbero essere note soltanto agli interessati, si trovò nella necessità di ammettere che questi dati erano inconsciamente forniti agli ‛indovini' dagli stessi interessati, mediante una trasmissione extrasensoriale.
Va del resto riconosciuto che tutti gli psicanalisti, in quanto si occupano sistematicamente nel corso della loro attività di processi che si svolgono a livello inconscio, nei pazienti come anche in se stessi, si imbattono frequentemente nell'impressione che per determinati contenuti si stabilisca una comunicazione diretta fra gli inconsci della coppia analitica, e cioè fra paziente e analista e viceversa. Anche se poi è difficile sottoporre a controlli obiettivi questi fatti, per cui in mancanza di simili controlli è prudente e corretto astenersi da prese di posizione troppo decise.
Freud enunciò l'ipotesi che nel mondo animale, e in quello umano delle origini, forme di comunicazione di questo tipo fra apparati psichici primordiali (di cui il nostro inconscio costituirebbe un residuo) siano stati molto più frequenti e importanti per i rapporti fra i singoli individui (v. Freud, 1933).
Questo si collega a un altro problema, riguardante la genesi dei contenuti dell'inconscio.
L'Es, in quanto essenzialmente costituito dall'attività istintuale, è portatore di una certa eredità biologica trasmessa nella specie. Ma si osservano comportamenti che da un lato sembrano dovuti a processi svolgentisi nella vita individuale, e dall'altro si ripetono identicamente nei vari individui, secondo uno schema comune, cosicché è difficile considerarli acquisiti ogni volta autonomamente dai singoli.
La stessa formazione di quell'istanza particolare che è il Super Io può essere riferita essenzialmente a processi di identificazione con l'autorità parentale e alla situazione edipica: cioè all'insieme dei sentimenti e delle impostazioni affettive che si generano nell'infanzia, e che perdurano più o meno inalterate nell'inconscio, nei confronti dei componenti la famiglia e in modo specifico dei genitori. Si tratterebbe perciò di un processo ripetuto in ciascuno. Il fatto però che - anche se con numerose varianti - esista una fondamentale uniformità nella struttura del Super Io spinge Freud ad ammettere che agisca pure un'eredità e una trasmissione psicologica.
Le esperienze ripetute di una situazione fondamentale unica (quella della struttura familiare, e cioè del complesso edipico) attraverso molte successive generazioni avrebbero avuto modo di sommarsi, dando luogo a una sorta di esperienza della specie.
Certo non è facile accordare questo schema di un'esperienza ripetuta all'interno della specie con il concetto di una formazione dell'articolata struttura dell'apparato psichico nel singolo individuo, e cioè mettere insieme la filogenesi e l'ontogenesi.
Nell'individuo singolo, tanto l'Io (che viene differenziandosi dall'Es) quanto il Super Io (che è all'inizio una formazione nell'Io, pur se coll'apporto delle situazioni conflittuali edipiche aventi sede nell'Es) sono formazioni tardive, cosicché non è pensabile una trasmissione ereditaria da Super Io a Super Io.
Soltanto l'Es, strettamente collegato coll'organico, o aperto - come dice Freud - all'organico, così da sfumare in esso, può costituire la sede dove si sommano le esperienze generazionali. In tal modo un nuovo individuo, nel corso del suo sviluppo, trarrebbe dal proprio Es, portatore di questa eredità, le tracce delle esperienze ripetute innumerevoli volte nei progenitori; e le utilizzerebbe - con l'apporto delle proprie esperienze individuali - per la formazione della struttura adulta della personalità, con le distinte istanze, e in modo specifico col proprio Super Io.
Questo spiegherebbe la relativa uniformità di quella struttura, e in genere l'uniformità dell'inconscio, che consente a ciascuno di rivivere in sé, e di comprendere quindi in qualche modo, quanto accade nella personalità profonda degli altri.

12. L'inconscio collettivo

L'uniformità dell'inconscio non ha caratteri diversi da molti altri patrimoni comuni, sia somatici che psichici o spirituali, esistenti fra gli uomini. Nel riconoscere questa comunione non è ovviamente necessario immaginare la partecipazione dei singoli individui a una realtà superindividuale da intendersi ontologicamente.
Le scienze antropologiche non si occupano di quello che è peculiare per ogni singolo individuo, ma di quanto è comune alla generalità delle persone. Ciò consente di immaginare un modello a cui tutti in qualche modo partecipiamo. Ma soltanto per una concezione filosofica come quella di Platone tale modello avrebbe una sua realtà indipendente, e anzi superiore a quella dei singoli.
Questo vale anche per l'inconscio.
Freud, che era uno spirito positivo, si guardò bene dal sostanzializzare l'elemento comune presente negli inconsci individuali.
Non così Jung che, dopo un periodo di collaborazione con Freud negli anni dal 1907 al 1912, si staccò da lui costituendo una propria scuola. Le ragioni del dissenso furono molteplici, ma il diverso modo di concepire l'inconscio è in un certo senso emblematico.
Jung, studiando i contenuti dell'inconscio, le grandi immagini, cariche di elementi conflittuali, pervase da potenti forze pulsionali, che affiorano in modo concorde nella produzione poetica, fantastica, onirica, allucinatoria, delirante - gli archetipi, come egli li chiama -, da un lato sostanzializza questo inconscio collettivo, dall'altro concepisce il rapporto fra questo inconscio collettivo e i singoli individui come un rapporto di partecipazione.
La realtà vera non sono le fantasie e i fantasmi dei singoli uomini, da cui possa essere ricavata un'astratta immagine in cui tutti si possano riconoscere, ma proprio questo superindividuale inconscio a cui ognuno partecipa.
‟L'inconscio, come insieme di tutti gli archetipi, è il deposito di tutte le esperienze umane fino dai più oscuri primordi: non un deposito morto né un desolato campo di ruderi, ma un sistema vivo e pronto a reagire, che per vie invisibili, e appunto perciò attivissime, regola la vita individuale" (v. Jung, 1931; tr. it., p. 175).
Ciò che per i critici di Jung costituirebbe il suo misticismo si ritrova appunto nel rapporto di partecipazione dei singoli con questa realtà superindividuale, concepita come preesistente e indipendente dalle vicende personali dei singoli, e avente, come Jung stesso dice, un carattere ‟numinoso".
Jung, che è uno spirito poetico e fantastico, ha sviluppato in modo suggestivo questo mito della fabbrica dei miti, quale è la sua ricerca sugli archetipi.
Per Jung quindi il problema che aveva preoccupato Freud, di stabilire come il contenuto dell'inconscio individuale si trasmetta di generazione in generazione, non esiste: perché l'elemento primo non è l'inconscio individuale, considerando il quale divenga possibile costruire un'immagine astratta di una modalità di pensiero comune a ogni uomo (il processo primario di Freud), ma l'inconscio collettivo che per così dire si incarna nei singoli, o si proietta nei loro inconsci individuali.

13. Conclusioni

Questa esposizione è stata condotta seguendo un punto di vista prevalentemente epistemologico, inteso come analisi e valutazione critica dei procedimenti scientifici, mediante i quali nel corso di questo secolo la psicologia ha annesso alla propria sfera di indagine quel nuovo vasto campo estremamente fertile che è l'inconscio psichico.
Si può esprimere con varie immagini questa dilatazione dell'oggetto della psicologia: dicendo ad esempio che i processi coscienti, che costituivano una volta l'unico oggetto della psicologia, sono come la punta emergente di un iceberg, di cui la massa sommersa nel mare rappresenterebbe l'inconscio; oppure che il salto di qualità operato dalla psicologia con l'annessione dell'inconscio è simile a quello compiuto dalla geografia quando, partendo dalla pura descrizione della superficie terrestre, ha potuto affrontare il problema della struttura interna del globo.
A ogni modo è certo che passando dalla psicologia di superficie alla psicologia del profondo, come diceva H. Bleuler in quella che è stata la prima consacrazione dell'opera freudiana da parte della scienza ufficiale (v. Bleuler, 1910), si è avuta la conquista di una dimensione ulteriore: proprio come se dalla geometria piana si fosse passati a quella dello spazio tridimensionale.
È chiaro che quest'ultima non annulla la precedente: la geometria piana è certo in grado di svilupparsi ancora in modo autonomo, anche se la terza dimensione, una volta acquisita, non può più essere ignorata, giacché lo stesso piano viene avvertito come sezione di una realtà più vasta.
Così è proprio anche per la psicologia. Non soltanto molti psicologi continuano a condurre le loro indagini come se l'inconscio non ci fosse affatto, ma per la forza delle impostazioni tradizionali e delle consuetudini consolidate si ritengono veramente indipendenti dalle ricerche effettuate nel profondo.
Quando invece si intraprenda questa discesa agli inferi, occorre essere disposti a modificare i procedimenti di indagine: e in luogo di esatte determinazioni, eventualmente quantitative, accontentarsi di ragionamenti ipotetici e di schemi interpretativi ancor più provvisori che non quelli costruiti in altre scienze.
Ci si trova inoltre di fronte a determinati pericoli.
La psicologia dell'inconscio, come molti altri modi di studiare la realtà, ha carattere indiziario. E sia la raccolta degli indizi quanto la loro utilizzazione è fragile. Inoltre il principale strumento di analisi è la stessa persona del ricercatore. Anche se attualmente si riconosce che l'obiettività della scienza, considerata una decisiva conquista galileiana, è in gran parte illusoria, in quanto sempre l'uomo non solo è soggetto, ma anche strumento dell'osservazione, la situazione è indubbiamente più delicata per ciò che riguarda la psicologia dell'inconscio.
I pericoli quindi di staccarsi dai fatti, scivolando in costruzioni metafisiche, dove la realtà venga soverchiata da un eccesso di astratta elaborazione intellettuale, oppure perdendosi in fantasticherie mistiche che appagano soltanto oscure aspirazioni personali, sono, come in una certa misura è stato accennato, pericoli sempre incombenti.
Queste considerazioni spiegano come sulla base del concetto di inconscio, quale si è venuto precisando nell'opera di Freud e degli altri pionieri, abbiano potuto fiorire varie scuole, indirizzi, o prospettive individuali, che in modo diverso hanno affrontato il problema dei contenuti che all'inconscio debbono essere attribuiti.
Ma tale questione, che si disperde poi in una ramificazione di molti rivoli distinti, è diversa dal problema qui affrontato: che è quello della fondazione, nella psicologia contemporanea, del concetto di inconscio.
(V. anche psicanalisi).




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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