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La problematica relativa all'esistenza di una sfera di attività psichica che non raggiunge il livello della coscienza, sorta in sede filosofica fin dall'antichità, ha avuto grande sviluppo, in particolare a opera di S. Freud e della ricerca psicoanalitica. Nell'ambito della psicoanalisi il termine inconscio definisce un sistema dell'apparato psichico formato da contenuti rimossi, investiti da forti cariche pulsionali e regolati da meccanismi specifici.

sommario: 1. L'inconscio prima di Freud. 2. L'inconscio nella psicoanalisi. 3. La logica e la dinamica dell'inconscio. □ Bibliografia.
 
1. L'inconscio prima di Freud

Il concetto di un'attività psichica o di pensiero che si svolga al di fuori della coscienza, in forma, dunque, inconscia, si trova espresso per la prima volta nei tempi moderni in G.W. Leibniz. Si tratta in Leibniz di un'affermazione polemica nei confronti di R. Descartes, il quale aveva posto proprio nella coscienza il carattere distintivo del pensiero e, dalla coscienza ricavava la prima affermazione di realtà, salvando la conoscenza umana dalla negazione avanzata dal dubbio metodico. In relazione alla sua teoria delle monadi (sostanze semplici di natura spirituale), Leibniz individuava, invece, attività psichiche prive di coscienza, che egli chiamò 'piccole percezioni senza appercezione', introducendo così per via metafisica l'idea di un'attività psichica inconscia. La 'via metafisica all'inconscio' è stata in seguito percorsa da vari pensatori, che hanno inteso spiegare il divenire del mondo come determinato da una forza spirituale avente i caratteri stessi che l'uomo ritrova nella propria capacità di pensare, di agire e di produrre, ma priva di autoconsapevolezza. Ne è un esempio la 'volontà' di A. Schopenhauer e, in modo più specifico, quell'attività che E. von Hartmann (1869) denomina, appunto, 'inconscio'.
Bisogna arrivare alla moderna psicologia scientifica per ritrovare la nozione di un'attività psichica inconscia elaborata sulla base della diretta osservazione dei dati di esperienza. H.L.F. Helmholtz, per es., nei suoi studi sulla percezione visiva (1896) rilevò che questa si comporta come se sui dati sensoriali si operasse un'elaborazione razionale, le cui conclusioni fornirebbero l'immagine percettiva in ogni suo aspetto. Tale elaborazione ha tutti i caratteri di un'elaborazione cosciente, pur svolgendosi al di fuori della coscienza. Si tratta, dunque, di ragionamenti o di conclusioni inconsce. L'impostazione di Helmholtz risente di una rigida classificazione delle funzioni psichiche, secondo la quale l'attività sensorio-percettiva è nettamente separata dall'attività raziocinante, che è a sua volta distinguibile solo formalmente in conscia e inconscia: di conseguenza, l'inconscio non è ancora concepito come un'attività psichica ulteriore e separata che operi contemporaneamente e indipendentemente dal pensiero cosciente.

2. L'inconscio nella psicoanalisi

Il diverso modo di affrontare il problema dell'inconscio si è imposto in seguito alle osservazioni e alle ricerche sull'ipnosi fiorite negli ultimi decenni del 19° secolo. S. Freud, insieme ad altri, attribuì particolare importanza ai 'compiti postipnotici' (o 'azioni suggestive differite'), particolarmente studiati da H. Bernheim (1886), ma poi osservati da moltissimi ricercatori: si tratta di azioni che lo sperimentatore suggerisce di compiere al soggetto in stato di ipnosi, invitandolo insieme a dimenticare le parole che gli sono state dette. Un compito che è stato dimenticato, e quindi eliminato dalla coscienza, può a distanza di tempo agire sul comportamento allo stesso modo di un proposito cosciente e, all'invito a spiegare e giustificare il proprio comportamento, il soggetto inventa al momento una pseudogiustificazione e si attiene a questa spiegazione, anche se essa è evidentemente impropria e assurda.
I soggetti degli esperimenti di ipnosi non sanno affatto di eseguire una parte che è stata loro suggerita e le due personalità rimangono in questo caso separate senza interferenze, come può peraltro accadere in alcune situazioni patologiche. L'ipnosi consente, in tal modo, di comprovare la presenza di un'attività psichica che resta esclusa dalla coscienza. Parallelamente a quello per i fenomeni ipnotici, si è accentuato, sul finire dell'Ottocento, uno specifico interesse per le manifestazioni dell'isteria.
Fu soprattutto J.-M. Charcot (1888) a stabilire lo stretto rapporto esistente fra ipnosi e isteria. Non solo i fenomeni isterici hanno caratteri del tutto simili ai fenomeni ottenuti con l'ipnosi, ma si riesce, con ordini opportuni dati in ipnosi, a far scomparire oppure a produrre alcune manifestazioni isteriche, quali: contratture muscolari, paralisi, stereotipie. Questo giustifica il concetto che l'ipnosi sia un'isteria artificiale e l'isteria uno stato ipnotico spontaneo e che esse siano perciò fondamentalmente un fenomeno unico di scissione o alternanza di personalità: una parte di attività psichica deve pertanto persistere in qualche modo fuori della coscienza. Bisognava però determinare come si potesse infrangere l'unità della coscienza e le risposte a questa domanda furono tre.
Per P. Janet (1889), la funzione che assicura normalmente l'unità della coscienza può essere resa labile, stabilmente o transitoriamente, spontaneamente o per un'azione esterna, in conseguenza di una 'debolezza' psicologica. J. Breuer (1892-95) sostenne che una sorta di 'ipnosi spontanea' poteva venir provocata da forti traumi: le situazioni vissute durante tali stati 'ipnoidi' resterebbero escluse dalla normale elaborazione a cui sono soggetti gli elementi della nostra comune esperienza e agirebbero autonomamente come corpi estranei.
Freud, infine, in vari scritti, pensò di individuare negli isterici un processo automatico di difesa da rappresentazioni dolorose, o suscettibili di provocare reazioni dolorose. Debolezza psichica, stato ipnoide e processo di difesa (più tardi detto di rimozione) sono dunque i tre fattori indicati come responsabili del distacco di determinati contenuti della coscienza. Lo stato in cui questi contenuti vengono a trovarsi per effetto di tale distacco fu detto all'inizio 'subconscio'. Per rispondere alle obiezioni rivolte al concetto di inconscio, giudicato da alcuni contraddittorio, Freud fece ricorso a un ragionamento che riecheggia la posizione kantiana nei confronti del noumeno: "Così come Kant ci ha ammonito a non trascurare il condizionamento soggettivo della nostra percezione e a non ritenere la nostra percezione identica al suo oggetto inconoscibile, così la psicoanalisi ci avverte di non scambiare la percezione della coscienza per il processo psichico inconscio che ne è l'oggetto.
Come la realtà fisica, anche quella psichica non è nella sua essenza necessariamente tale quale ci appare" (Freud 1915, trad. it., p. 54). Se il dato primo da cui partire nell'indagine rimane sempre quello della coscienza, l'inconscio viene postulato allo scopo di rendere comprensibile e coerente il funzionamento dell'attività cosciente, non diversamente da quanto accade nelle scienze fisiche, dove l'immagine sensibile del mondo viene integrata con elementi postulati, che non sempre possono essere rintracciati e portati 'alla luce' tanto da essere percepiti. Quello che Freud ha chiamato un'interpolazione (o talora extrapolazione) dei dati introspettivi disponibili è stato da lui elaborato sopra un materiale tratto da tre fonti principali: la sintomatologia nevrotica, i sogni e i comportamenti anomali (lapsus o atti mancati) compresi in quella che egli chiamò 'psicopatologia della vita quotidiana'.
Di queste tre fonti, quella costituita dal materiale onirico ha dato i frutti maggiori e più certi. L'analisi freudiana cerca di individuare, dietro il contenuto manifesto del sogno, un contenuto latente e cioè inconscio; il sogno è trattato come indizio di un pensiero nascosto che deve essere rintracciato. Nel far questo Freud si rese rapidamente conto che il pensiero latente del sogno si rivelava profondamente diverso, per il modo della sua enunciazione, dal pensiero razionale e cosciente.

3. La logica e la dinamica dell'inconscio

Il pensiero inconscio tollera la contraddizione tra positivo e negativo; ignora il tempo, unificando passato, presente e futuro; ignora anche l'unità di spazio, dal momento che per esso i luoghi si scambiano con estrema facilità; sono sufficienti analogie molto superficiali fra situazioni oppure tra oggetti perché un elemento entri in un contesto 'in rappresentanza' di un altro, come suo simbolo; i principi della logica formale (di identità, di non contraddizione, di ragione sufficiente) non contano per l'inconscio.
La modalità del pensiero che, esplorando l'inconscio, si ha l'impressione di scoprire è una modalità primitiva e arcaica, che si ritrova nei discorsi e nei comportamenti dei bambini e dei 'selvaggi' o in alcuni prodotti della fantasia e dell'arte. Questa realtà sottostante è costituita in gran parte da potenti cariche emotive che presentano la caratteristica di un'estrema mobilità, passando da un oggetto a un oggetto sostitutivo, e che non sono quindi soggette a quell'imbrigliamento delle pulsioni da Freud considerato tipico del comportamento cosciente adulto. Freud teorizza pertanto il carattere ottativo del sogno, il fatto cioè che esso esprime desideri che si appagano allucinatoriamente, basandosi sulla convinzione che l'inconscio è prevalentemente costituito da pulsioni, desideri, i quali cercano in ogni modo un sia pur illusorio appagamento.
L'inconscio appare, in tal modo, ciò che di infantile e di primitivo continua a essere attivo in ciascuno al di sotto di un diverso sistema psicologico, che si sviluppa al contatto della realtà naturale e sociale. Le situazioni che sono state citate per fornire una prova dell'esistenza di uno psichismo inconscio fanno tutte riferimento a un fattore specifico che, in modo attivo, escluderebbe o manterrebbe lontano dalla coscienza determinati elementi o processi psichici. Ciò introduce un punto di vista non più semplicemente descrittivo, ma dinamico. Freud indica con diversi termini gli elementi dinamici che proteggono l'inconscio come sistema: 'difesa' diviene quello più comprensivo usato per tutti i processi con cui l'Io si premunisce dai pericoli psichici interni che lo minacciano e di cui la rimozione, e cioè il meccanismo che rende inconscio un dato contenuto, è soltanto un caso particolare; 'censura' è quell'istanza che subordina l'ingresso nella coscienza (di un'immagine o di un pensiero pericoloso) a un suo camuffamento o a una sua attenuazione compromissoria.
La dinamica dell'inconscio non si esaurisce, però, con le forze che si oppongono al divenire cosciente: poiché soltanto attraverso la coscienza le pulsioni pervengono a modificare la realtà così da raggiungere un appagamento, agiscono nell'inconscio anche forti cariche che urgono verso la coscienza. I rapporti fra inconscio e coscienza risultano regolati dal gioco di queste due opposte forze, le quali vietano o spingono nella direzione della coscienza e dell'azione sulla realtà.
Nell'opera L'Io e l'Es (1923), valutando soprattutto i rapporti dinamici che intervengono nell'organizzazione dei contenuti psichici, Freud prende in considerazione l'attività pulsionale, già ritenuta elemento principale dell'inconscio, per un carattere particolare, quello dell'impersonalità. Adottando un'espressione usata da G. Groddeck (1923), Freud indica con Es (pronome neutro usato nella lingua tedesca come soggetto dei verbi impersonali) quest'attività pulsionale non domata, che esercita in modo inconscio la propria influenza su tutto il nostro agire. L'Es, in quanto essenzialmente costituito dall'attività pulsionale, è portatore di una certa eredità biologica trasmessa nella specie. Si osservano comportamenti che, da un lato, sembrano dovuti a processi che si svolgono nella vita individuale e, dall'altro, si ripetono in maniera identica nei vari individui secondo uno schema comune, cosicché è difficile considerarli acquisiti ogni volta autonomamente dai singoli.
L'Es, strettamente collegato all'organico, può costituire la sede dove si sommano le esperienze generazionali. In tal modo un nuovo individuo, nel corso del suo sviluppo, trarrebbe dal proprio Es, portatore di questa eredità, le tracce delle esperienze ripetute innumerevoli volte dai progenitori: questo spiegherebbe la relativa uniformità dell'inconscio che consente a ciascuno di rivivere in sé, e di comprendere quindi in qualche modo, quanto accade nella personalità profonda degli altri. Inconscio e coscienza "Concetto di un'attività psichica o di pensiero che si svolga al di fuori della coscienza": C.L. Musatti, il più autorevole fra gli psicoanalisti italiani, introduce così la nozione dell'inconscio nel contributo postumo a quest'opera (v. sopra).
Impostato correttamente in tal modo, il tema dell'inconscio rinvia alla coscienza, con un'ambivalenza fra deprivazione e demistificazione o, in senso più aderente alle origini della ricerca freudiana, riduzione di uno stato secondario della psiche a uno primario. Indagatore dell'inconscio con metodo scientifico, S. Freud ha seguito entrambe le vie aperte del dilemma e, la seconda, con l'accennata divaricazione: non poteva sfuggirgli che era in gioco una scelta radicale della psicoanalisi anche rispetto a sé stessa in quanto costruzione teorica e perciò consapevole. Per tale motivo, il nodo del rapporto inconscio-conscio produce nel carteggio con il medico berlinese W. Fliess, svoltosi tra il 1887 e il 1902, già all'inizio del lavoro creativo di Freud, uno sviluppo tematico che rimarrà centrale nella psicoanalisi: la 'metapsicologia'. Nella lettera del 3 marzo 1898, Freud chiede all'amico di poter designare con il termine sopra citato la propria psicologia, che conduce "dietro la coscienza". L'accenno all'intendimento riduttivo non potrebbe essere più esplicito; e la riduzione avrebbe acquistato un'accezione demistificante lungo una serie di memorabili casi clinici, da quello di Anna O. a quelli del piccolo Hans e di Dora, avvalorata dall'apertura della 'via regia' verso l'inconscio: l'interpretazione dei sogni.
Nella Psicopatologia della vita quotidiana (1901) Freud ribadisce che l'analisi metapsicologica converte la superstizione religiosa nel dato scientificamente oggettivo che la sottende. E questo dato è di natura pulsionale: "immortali Titani" presenti in noi, immerse in un mondo privo di tempo e di negazione, le pulsioni reggono l'impalcatura psichica che le sovrasta. Tutto cambia bruscamente con i saggi metapsicologici del 1915, uno dei quali dedicato all'inconscio (Das Unbewusste). Abbandonata la riduzione della psiche secondaria, la coscienza, alla presunta sorgente istintuale, e passata alla ricostruzione evolutiva dei singoli processi psichici, l'analisi metapsicologica da una parte amplia l'estensione dell'inconscio, ma dall'altra ne segue la trasformazione in psiche cosciente.
La coscienza viene identificata con la verbalizzazione: il passaggio alla coscienza coincide con l'avvento della parola. Ma la parola è discorso descrittivo e poi esplicativo, e si comprende come l'inconscio si dilati nel saggio citato fino a occupare larga parte dell'Io, se e in quanto sottrattosi all'espressione dei propri contenuti, mentre la coscienza conquista uno spazio e un ruolo che nulla può toglierle nella psiche. È "l'unico faro", la coscienza, "nella tenebra della psicologia del profondo": splendida immagine che Freud usa nell'opera L'Io e l'Es (1923) e riprende in successivi contesti. L'intera prassi analitica, del resto, si era fin dalle sue fasi iniziali orientata verso l'efficacia liberatoria dell'esercizio discorsivo, collegato con il rapporto vissuto della traslazione fra l'analizzato e l'analista. Leuchte, "faro", in tedesco differisce poco da Licht, "luce": ma se avesse assimilato la coscienza alla luce, Freud ne avrebbe compromesso l'intensità e l'istantaneità, rispecchiate nella concretezza del rapporto analitico dall''abreazione' emotiva del ricordo da parte del paziente.
L'altro autore della psicologia del profondo, C.G. Jung, allievo designato di Freud e successivamente suo avversario irriducibile, considera geniale l'idea dell'inconscio e ne dà merito al maestro di Vienna, ma lo distingue in inconscio personale e collettivo, quest'ultimo assimilabile alla cultura. Jung indica in un processo unificante dei due inconsci, chiamato 'individuazione' e concepito come costruzione dell'individuo o Sé, il momento centrale nella dinamica della psiche. Dopo la psicoanalisi Nella visione psicoanalitica freudiana l'inconscio ha natura personale e pulsionale. Nel suo campo si addensano contenuti e modi di essere relativi alle esperienze biografiche e infantili dell'individuo, rimosse nel corso dell'esperienza.
Secondo C.G. Jung, il padre della psicologia analitica, l'inconscio personale è considerato solo una parte dell'inconscio totale, che include la dimensione collettiva, sede degli archetipi o strutture originarie, indipendenti dalle esperienze personali e rintracciabili nei prodotti inconsci di tutta l'umanità. L'inconscio junghiano, pertanto, non è solo il mondo rimosso dall'Io o un modo di essere strutturalmente diverso dalla coscienza, ma anche il luogo delle potenzialità psichiche che non raggiungono la soglia della coscienza: esso contiene come dato a priori l'intera struttura psichica che si è sviluppata, poco a poco, nella storia dell'umanità. Nell'inconscio, inteso quale totalità, è contenuta l'unione degli opposti: in modo particolare, nell'inconscio maschile è contenuto il femminile (anima) e nell'inconscio femminile è contenuto il maschile (animus). Il profondo rovesciamento teorico apportato da Jung alle concezioni freudiane dell'inconscio è alla base delle moderne teorie della psicologia transpersonale.
R. Assagioli, il fondatore della psicosintesi e uno dei pionieri della psicologia transpersonale, sottolinea la natura pluridimensionale dell'inconscio: oltre all'inconscio collettivo e a quello personale e rimosso esiste un inconscio superiore da cui provengono le intuizioni e le aspirazioni superiori, le creazioni geniali, gli imperativi etici, gli slanci all'amore altruistici, gli stati illuminativi, le facoltà e i poteri paranormali di tipo elevato (Assagioli 1973). Nell'inconscio superiore esistono allo stato potenziale le energie superiori della mente e dello Spirito. All'apice dell'inconscio superiore Assagioli riconosce la presenza di un centro permanente o Sé transpersonale che è dietro l'Io cosciente e che esiste in una realtà diversa da quella del fluire dei fenomeni psichici e non può da questo venire influenzato, mentre il suo influsso può modificare profondamente le condizioni psicofisiche.
Un'ulteriore svolta decisiva nella concezione dell'inconscio è data dalle ricerche con LSD (Lysergic acid diethylamide), attuate negli Stati Uniti negli anni Settanta del 20° secolo a opera di studiosi della coscienza (S. Grof, C. Tart, C. Naranjio ecc.). Grof rileva che i contenuti emergenti dall'inconscio si riferiscono anche a matrici perinatali, ovvero alle esperienze della nascita biologica associate spesso a sofferenza, paura e morte: "le esperienze perinatali sono manifestazioni di un livello profondo dell'inconscio umano, che è chiaramente al di là dell'inconscio psicodinamico rivelato dalla tradizione psicoanalitica" (Grof 1975, p. 98).
Le matrici perinatali inconsce vanno così ad aggiungersi alle matrici contenenti esperienze rimosse nel corso della vita, alle matrici archetipiche e transpersonali innate, formando in tal modo diversi sistemi dell'inconscio umano tra di loro in mutua interrelazione. Nelle ricerche della psicologia transpersonale condotte successivamente, la concezione della molteplice natura sia topica sia dinamica dell'inconscio è affermata con decisione.
K. Wilber (1983), seguendo un modello evolutivo, sottolinea diversi livelli inconsci.
1) Il ground unconscious comprende tutte le strutture profonde esistenti come potenzialità, pronte a emergere nel corso della crescita umana; queste strutture sono inconsce ma non represse e appartengono a tutta l'umanità.
2) L'archaic unconscious è la primitiva e meno sviluppata struttura del ground unconscious, prevalentemente interessata da forme istintuali; questo inconscio non è prodotto dalle esperienze personali ma, come il precedente, appartiene all'eredità di base del genere umano.
3) Il submergent unconscious si riferisce a ciò che una volta era conscio e poi è stato estromesso dalla coscienza; esso è sia collettivo sia personale: l'aspetto personale del submergent unconscious è il rimosso, ciò che è stato negato dall'Io perché temuto e indesiderato.
4) L'embedded unconscious è l'aspetto dell'Io con il quale si è inconsciamente identificati e che pertanto non può essere oggettivamente percepito; questo tipo di inconscio non coincide con il rimosso, ma con il rimuovente: è là che vivono i meccanismi di difesa che l'individuo non riconosce come tali, agendo perciò inconsapevolmente.
5) L'emergent unconscious è formato da quelle strutture che a ogni stadio dello sviluppo sono ancora latenti e devono emergere nella crescita individuale: rappresenta non il passato, ma il futuro dell'uomo.
L'inconscio di Wilber appare, dunque, un sistema differenziato, gerarchico e interconnesso, ove le esperienze rimosse e dimenticate convivono con le potenzialità esistenti allo stato latente e pronte a dispiegarsi nel corso dello sviluppo cosciente della personalità. La psicologia occidentale conosce modalità di accesso a una porzione limitata del 'grande mare' dell'inconscio: altre tradizioni non scientifiche, in particolare quelle meditative asiatiche, testimoniano modalità di accesso alla totalità dell'inconscio umano. Gli stati del samadi, satori, nirvana, descritti nei testi sacri di tali tradizioni, si riferiscono a condizioni transpersonali in cui la consapevolezza penetra nelle zone oscure dell'inconscio sino all'integrazione della sua totalità nella percezione cosciente.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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