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Inferno




Da quando gli uomini vissero in società, dovettero accorgersi che molti colpevoli sfuggivano al rigore delle leggi. Essi punivano i crimini pubblici: fu necessario stabilire un freno per quelli privati; solo la religione poteva essere tale freno. I persiani, i caldei, gli egiziani, i greci immaginarono così delle punizioni dopo la vita; e, fra tutti gli antichi popoli che conosciamo, gli ebrei furono gli unici che ammisero solo castighi temporali. È ridicolo credere o fingere di credere, sulla base di passi molto oscuri, che l'inferno fosse ammesso dalle antiche leggi degli ebrei, dal loro Levitico, dal loro Decalogo, quando l'autore di queste leggi non dice una sola parola che possa avere il minimo rapporto con i castighi della vita futura. Si avrebbe il diritto di dire al redattore del Pentateuco:

«Siete un uomo incoerente, senza probità e senza ragione, assolutamente indegno del nome di legislatore che vi arrogate. Come! Voi conoscete un dogma tanto repressivo e tanto necessario al popolo come quello dell'inferno, e non lo proclamate a chiare lettere? E mentre

tale dogma è ammesso da tutti i popoli che vi circondano, vi limitate a lasciarlo indovinare da alcuni commentatori che verranno quattromila anni dopo di voi e che si metteranno a spaccare in quattro qualche vostra parola per trovarvi ciò che non avete detto? O siete un ignorante che non sa che tale credenza era universale in Egitto, in Caldea, in Persia, o siete un uomo assai sprovveduto se, conoscendo quel dogma, non ne avete fatto la base della vostra religione.»

Gli autori delle leggi ebraiche potrebbero tutt'al più rispondere:

«Confessiamo d'essere estremamente ignoranti; d'aver imparato a scrivere molto tardi; confessiamo che il nostro popolo era un'orda selvaggia e barbara che errò per quasi mezzo secolo in deserti impraticabili; che usurpò infine, un piccolo paese con le rapine più odiose e le crudeltà più esecrabili che la storia ricordi. Non avevamo nessun commercio con le nazioni civili: come pretendete che noi, i più terrestri degli uomini, potessimo inventare un sistema del tutto spirituale? Noi ci serviamo della parola "anima" solo per designare la vita: non concepimmo il nostro Dio e gli angeli suoi ministri che come esseri corporei: la distinzione dell'anima e del corpo, l'idea di una vita dopo la morte non possono essere che il frutto di una lunga meditazione e di una sottilissima filosofia. Domandate agli ottentotti e ai negri, che abitano un paese cento volte più grande del nostro, se

conoscono la vita futura. Abbiamo ritenuto sufficiente persuadere il nostro popolo che Dio punisce i malfattori fino alla quarta generazione, sia con la lebbra, sia con morti improvvise, sia con la perdita di quel po' di beni che potevano possedere.»

A questa apologia si potrebbe replicare:

«Avete inventato un sistema il cui ridicolo salta agli occhi; perché il
malfattore che godeva buona salute e la cui famiglia prosperava, doveva necessariamente beffarsi di voi.»

Certo, l'apologeta della legge giudaica potrebbe rispondere:

«Vi sbagliate: perché per un criminale che

ragionava rettamente, ce n'erano cento che non ragionavano affatto. Chi, dopo aver commesso un delitto non si sentiva punito né nel proprio corpo, né in quello di suo figlio, temeva per il nipote. Inoltre, se non soffriva oggi di qualche ulcera puzzolente, cui andavamo spesso soggetti, ne avrebbe sofferto nel corso di qualche anno: in una famiglia piombano sempre delle sventure, e noi facevamo facilmente credere che esse fossero inviate da una mano divina, vendicatrice delle colpe segrete.»

Sarebbe facile replicare a tale risposta:

«La vostra giustificazione non vale niente, perché accade tutti i giorni

che delle onestissime persone perdano la salute o i beni; e se non c'è famiglia cui non sia capitata qualche sventura, se tali sventure sono castighi di Dio, tutte le vostre famiglie erano dunque famiglie di farabutti.»

Il sacerdote ebreo potrebbe replicare ancora; direbbe che vi sono sventure inerenti alla natura umana, ed altre che vengono espressamente inviate da Dio. Ma si farebbe vedere a questo raziocinatore quanto sia ridicolo pensare che la febbre e la grandine siano una volta una punizione divina e un'altra un fenomeno naturale.
Infine, presso gli ebrei, i farisei e gli esseni accolsero la credenza di un inferno a loro modo: questo dogma era già passato dai greci e dai romani, e fu adottato dai cr istiani.
Molti Padri della Chiesa non credettero all'eternità delle pene: sembrava loro assurdo bruciare per tutta l'eternità un poveraccio che avesse rubato una capra. Ha un bel dire Virgilio nel suo sesto canto dell'Eneide:

...Sedet aeternumque sedebit
Infelix Theseus.

Egli pretende invano che Teseo sia seduto per sempre su una sedia e che questa posizione sia il suo supplizio.
Altri hanno creduto che Teseo fosse un eroe e che non se ne stesse seduto all'inferno, ma dimorasse nei Campi Elisi.
Non molto tempo fa un bravo e onesto ministro ugonotto predicò e scrisse che i dannati sarebbero stati un giorno graziati, che era necessaria una proporzione tra il peccato e la pena, e che la colpa di un momento non può
meritare un castigo senza fine. I preti, suoi confratelli, deposero questo giudice indulgente. Uno di loro gli disse:

«Amico mio, non credo più di voi all'eternità dell'inferno; ma è bene che la vostra domestica, il vostro sarto e anche il vostro procuratore ci credano.»







Bibliografia


Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico

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