Inferno dei poeti
Dante. — Dante pone l'entrata dell inferno sotto Gerusalemme; e la sua
forma somiglia molto a quella di un cono rovesciato. Tutti i cerchi ne
sono concentrici, e per conseguenza vanno sempre dimmuendosi, e
discendono in forma di spira. Lo spazio che si trova dalla porta
dell'inferno fino al fiume Acheronte, si diride in due parti. Nella
prima stanno le anime di coloro che vissero senza riputazione. Questi
peccatori pigri, vili e pusillanimi hanno menato una vita d'indolenza,
senza fama e senza virtù. Il loro corpo vien punto e insanguinato da
mosche e da calabroni. Questi dannati corrono presso una bandiera che
gira continuamente intorno al cerchio. Nella seconda parte si vedono
tutti i colpevoli, i quali si affrettano per tragittare il fiume
Acheronte nella barca di Caronte. Ivi precisamente incomincia la
divisione dell'inferno in nove cerchi concentrici. Il 1°
è formato dal Limbo. Egli contiene i fanciulli morti senza battesimo, e
tutti gli antichi che hanno vissuto secondo le leggi naturali, e che
non avevano conosciuto Gesù Cristo. Questi ultimi sono divisi in tre
classi. Quelli che non si sono fatti conoscere con nessuna gloriosa
azione, e il cui nome più non esiste sulla terra, sono in mezzo alle
tenebre; i grandi uomini, invece, che hanno acquistato una brillante
riputazione, sia con la vita attiva, sia con la contemplativa, trovansi
posti separatamente in un superbo castello in mezzo a piacevoli e
ridenti praterie. Queste ombre mandano gemiti e sospiri; non sentono
nessun dolore corporale, e non soffrono che pene di spirito; il loro
tormento più crudele è quello dì sperare,' ma invano, l'eterna
felicità. Il 2° cerchio contiene i lascivi; essi sono incessantemente
agitati, e qua e là trasportati sui vortici dei venti. Il 3° è pieno di
golosi, stesi sul fango, ed esposti continuamente a un diluvio
spaventevole di pioggia, di neve e di grandine. Il 4° contiene i
prodighi e gli avari, i quali sono eternamente condannati a rotolare
gli uni contro gli altri, degli enormi pesi. Il 5°
è destinato a collerici e gli accidiosi. Essi sono immersi nel tango, l
collerici si lacerano con le loro proprie mani i pigri gemono
tristamente nel fondo del pantano. Il 6° è ripieno di tombe rosse e ardenti, nelle quali sono tormentati gli eresiarchi e i loro settari Il 7°
e diviso in altri tre. Il primo contiene coloro che hanno usato
violenza contro il loro prossimo, e che lo hanno con la forza spogliato
dei suoi beni: sono essi immersi in un fiume di sangue; nel secondo
stanno coloro i quali si son da se stessi uccisi, o per afflizione, o
dopo aver sciupati i loro beni. I primi sono cangiati in tronchi
d'alberi nodosi e coperti di spine, le Arpie hanno il nido fra i loro
rami si alimentano dalle loro foglie, e cagionano loro dei vivissimi
dolori. Gli ultimi sono inseguiti e lacerati da neri e affamati cani.
Il terzo contiene i colpevoli che hanno usato violenza contro Dio,
contro la natura e contro l'arte. Sono tutti in mezzo a una pianura
arenosa, ed esposti a una pioggia di fuoco. I primi sono stesi supini
sopra la sabbia ardente; i secondi corrono continuamente, e i terzi
rimangono sempre seduti nello stesso luogo e nella stessa attitudine.
L'8°,
chiamato Malebolge, contiene tutti i fraudolenti; siccome vi sono dieci
specie di frodi differenti, così quest ottavo cerchio è diviso in dieci
bolge. La prima contiene i seduttori, suddivisi in due classi: essi
corrono perpetuamente, e sono inseguiti e crudelmente battuti da demoni
armati di sferze. Nella seconda stanno gli adulatori, immersi nel più
disgustoso e puzzolente sterco. La terza contiene i simoniaci, cioè
quelli che trafficarono delle cose sacre; fitti con la testa in giù in
certi fori e specie di pozzi, nè altro vi appare di fuori che le gambe,
dalle cui piante s'innalzano fiamme ardenti che le abbruciano. Nella
quarta stanno gli indovini, gli astrologi, gli stregoni: la loro pena
consiste nell'aver il viso e la gola volti al contrario verso le
spalle, e nel camminare in questa guisa all'indietro. Nella quinta
stanno coloro che vendono e comprano la giustizia, detti barattieri:
essi sono tuffati in un lago di bollente pece, e sotto la custodia di
demoni armati di corna, di artigli, di forche, ecc. La sesta contiene
gli ipocriti: il loro supplizio è quello di essere vestiti di
pesantissime cappe con cappucci di piombo, dorati al di fuori, e di
andare lentamente intorno alla bolgia senza mai riposarsi. Nella
settima stanno i ladri. Questa bolgia è ripiena di velenosi
innumerevoli serpenti che tormentano i dannati. Alcuni vi subiscono le
più stravaganti trasformazioni. Nell'ottava sono puniti i tristi e
ingannevoli consiglieri: camminano continuamente, e ciascuno d'essi è
coperto e ravvolto in vortice di fiamme. Nella nona si trovano coloro
che hanno seminati scandali, scismi, eresie e dissenzioni: gli autori
di nuove religioni hanno il corpo diviso dal mento fino alla cintura: i
difensori delle eresie, e coloro che aiutano a spanderle, hanno il
volto diviso in due parti; coloro i cui tristi consigli, la cui lingua
è stata cagione di guerra fra il principe e i suoi sudditi, hanno la
lingua tagliata interamente; coloro che seminarono odio e discordia tra
le famiglie e i parenti, hanno le mani mutilate; coloro finalmente, i
quali eccitano i figli a ribellarsi contro i loro padri, portano
davanti a essi, con la mano, la testa separata dal busto. Nella decima
sono puniti i falsari, divisi in quattro classi, ciascuna delle quali è
torméntata da un diverso castigo. Gli alchimisti mandano orribili
strida, esalano un odore detestabile, sono gli uni sopra gh altri
accatastati, e si trascinano nella lordura; i loro corpi coperti
d'orribile lebbra. Quelli che si sono mascherati, per fingere d'essere
un'altra persona si ineguono furibondi gli uni e gli altri, e
crudelmente si mordono a vicenda. I falsificatori delle moneta sono
tormentati da una ardentissima sete. Un'eccessiva febbre tormenta
coloro che contraffacendo la verità, parlavano diversamente da quello
che pensavano. Finalmente , 9°
e ultimo cerchio, della forma di un pozzo voragine è posto precisamente
nel centro e nel fondo di tutto l'inferno; ivi sono puniti traditori, i
quali sono divisi in quattro classi: quindi il poeta ha distinto questo
cerchio in quattro gin formati da una palude gelata. Nel primo trovansi
i traditori verso i loro fratelli: essi sono immersi nel ghiaccio fino
alla testa. Questa cerchia chamasi Caina. Nel secondo stanno i
traditori verso la patria, egualmente immersi nel ghiaccio: le loro
lagrime non possono scorrere poiché il freddo le condensa, e le gela
sulle loro pupille. Questo giro chiamasi Antenore. Un princope di
questo nome tradì la sua patria e nascose Ulisse nella propria casa.
Nel terzo trovansi traditori verso i loro simili e verso i benefattori,
sono anch'essi immersi nel ghiaccio. Questo giro chiassi Tolomeo,
perchè egli fece in un banchetto trucidare Simone suo suocero e i due
suoi figli. Nel quarto finalmente penano i traditori verso i loro
benefattori, ma di una condizione più distinta. Costoro sono
interamente coperti di ghiaccio. Questo giro porta il nome di Giuda,
dall'infame Giuda Iscariote. Lucifero occupa il centro di quest'ultimo
cerchio e di tutto l'inferno. Da questi particolari si scorge che
l'abisso infernale è diviso in dieci parti, le quali poi vengono
anch'esse divise in altre venti più piccole.
Sackeville. — Questo poeta, il quale viveva ai tempi della regina
Elisabetta, a imitazione di Dante, ha composto una discesa all'inferno.
Egli comincia dal dipingere la Tristezza, il cui soggiorno, dic'egli,
occupava tutto il recinto del Tenaro (promontorio all'estermità della
Laconia, odierna Morea). Il suo corpo, simile a un tronco inaridito
dall'ardore del sole, era interamente seccato; il suo volto era pallido
e invecchiato; essa non trovava ristoro che nei gemiti; e come uno
specchio inondato di gocce d'acqua, così sulle sue gote, a guisa di
ruscelli, scorrevano le lagrime. I suoi occhi, gravidi di pianto,
avrebbero destato la compassione dei cuori più duri. Ella giungeva
sovente le deboli sue mani, mandando dolorose strida che si perdevano
nell'aria. I lamenti ch'ella faceva, conducendo l'autore all'inferno,
erano accompagnati da così frequenti sospiri, che mai non si è offerto
allo sguardo dei mortali più misero e compassionevole oggetto.
All'ingresso del terribile soggiorno di Plutone stava seduto il cupo
Rimorso, maledicendo sè stesso, nè cessando di mandare orrendi
singhiozzi. Egli era divorato da rodenti cure, e invano consumavasi in
pene e in cordoglio. I suoi occhi irrequieti giravansi in ogni parte,
come se dovunque le furie lo inseguissero. Era il suo spirito
perpetuamente desolato dalia penosa rimembranza degli odiosi delitti
che egli aveva commessi. Lanciava i suoi sguardi al cielo, e sul suo
volto era scolpito il terrore. Egli bramava sempre il fine dei suoi
tormenti, ma vane riuscivano le sue speranze Dopo i Rimorso, stava la
Paura, macilente, pallida e tre mante, la quale con passo vacillante,
con parole tron che e incerte, sguardo smarrito, corre a caso e senza
saper dove. I suoi capelli irti facevanle alzare l'acconciatura del
capo. Spaventata alla vista del l'ombra sua medesima, scorgevasi che
ella temeva mille immaginari pericoli. La crudele Vendetta grignava i
denti per la collera, meditando i meziz per satollare la propria rabbia
e di far perire il suo nemico prima di prendere verun riposo. Anche la
Miseria vi era distinta per il collo scarnato, per il suo corpo, sul
quale non erano che pochi cenci cadenti, e per le sue braccia fino
allesso consumate. Ella teneva un bastone alla mano, e portava la
bisaccia sopra le spalle, che era la so a sua coperta nei rigori
dell'inverno. Ella nutrivasi, di frutti selvaggi amari e infraciditi.
L'acqua di fangosi ruscelli le serviva di bevanda, il concavo della sua
mano di tazza, e la nuda e fredda terra di letto. La Inquietudine, che
distintamente riconoscevasi per la sua agitazione, eccitava un altro
gridare di pietà. Ella aveva le dita raggruppate e grinzose. Appena noi
apriamo gli occhi al primi raggi dell aurora, ella è ritta in piedi, o
piuttosto le sue aride pupille non si chiudono giammai. Per quanto la
notte faccia sparire il giorno, e spanda intorno le sue bende,
l'Inquietudine ciò non di meno non ha posa, e al lume di una lampada
segue a crucciarsi. Stava ella mirando, con aria turbata, il Sonno,
immobile steso sul suolo, che profondamente respirava egualmente in
ensibile alle disgrazie e di coloro che la fortuna deprime, e di quelli
che essa innalza. E' desso che porge riposo al corpo, sollievo
all'agricoltore, pace e tranquillità all'anima. Egli è il compagno
della Notte, e forma la miglior parte della nostra vita su questa
terra. Talvolta per mezzo dei sogni ci rammenta il passato, annuncia
gli eventi prossimi, e più sovente ancora quelli che non accadranno
giammai. Alla porta della Morte stava il messaggero di lei, vegliardo
decrepito, curvo sotto il peso degli anni, senza denti, e quasi cieco;
egli camminava sopra tre piedi, e talvolta stava su quattro. Ad ogni
suo passo sentivasi lo scricchiolio delle inaridite sue ossa. La testa
calva, il corpo spolpato, coll'arido suo pugno bussava alla porta della
Morte, ansando, tossendo, respirando appena. Al fianco del vegliardo
era la pallida Malattìa, oppressa in un letto, senza polsi, senza voce,
senza gesto, mandando un alito infetto, oggetto d'orrore a coloro che
la miravano. Uno spettacolo non meno deplorabile offrivasi presso di
lei, ed era la Fame, che, lanciando terribili sguardi, chiedeva del
nutrimento, come vicina a spirare. Sì grande è la sua forza, che i muri
stessi non potrebbero a lei resistere. Le sue unghie adunche strappano
e squarciano tutto ciò che le si presenta; ella si divora da sè
medesima, rodendo l'orribile suo scheletro, del quale si possono
contare le ossa, i nervi e le vene. Finalmente compare la Morte stessa,
divinità terribile, che armata di falce, miete indistintamente tutto
ciò che sulla terra ha vita, senza che le preghiere, le lagrime, la
bellezza, il merito, la grandezza, la potenza, i regni, gl'imperi,
tutte le forze unite dei mortali e degli Dei possano sottrarre persona
veruna dall'irresistibile suo potere. Ogni cosa è costretta a subire le
inesorabili sue leggi.
Milton.
— Secondo questo poeta, l'inferno è un globo enorme, circondato da una
triplice volta di fuochi divoratori; esso è situato nel seno
dell'antico caos e della notte informe. Vi si vedono cinque fiumi: lo
Stige, l'Acheronte, il Oocito, il Flegetonte e il Lete. Alla porta
dell'inferno stanno due figure che fanno spavento; l'una rappresenta
una vaga donna fino alla metà del corpo, il quale dalla metà in giù,
termina in una coda enorme di serpente, ripiegato in lunghi, squamosi
giri, e armata, all'estremità, di un pungiglione mortale. Intorno alle
reni le sta una muta di cani feroci, che incessantemente spalancando la
loro larga gola come altrettanti cerberi, empiono perpetuamente Paria
dei più insopportabili latrati. Questo mostro è il Peccato, figlio
senza madre, uscito dal cervello di Satana; e ad esso sono affidate le
chiavi dell'inferno. L'altra figura, nera come la notte, feroce come le
Furie, terribile come l'inferno, agita un dardo formidabile; e ciò che
sembra essere la testa porta un'apparenza d'una corona reale. Questo
mostro è la Morte, figlia di Satana e del Peccato. Dopo che il primo
uomo divenne colpevole, la Morte e il Peccato costruirono una strada
solida e larga sull'abisso. Il baratro infiammato è traversato da un
ponte, la cui meravigliosa lunghezza si estende dal confine
dell'inferno, al punto più lontano di questo fragile mondo. Con l'aiuto
di questa facile comunicazione gli spiriti perversi passano e ripassano
sulla terra per corrompere o punire gli uomini. Ma se il soggiorno dei
reprobi è un soggiorno orrendo, i suoi ospiti non lo sono meno. Quando
un suono orrendo e lugubre, la tromba infernale, chiama gli abitatori
delle ombre eterne, il Tartaro si scuote nei suoi gorghi neri e
profondi; l'aria tenebrosa spande lunghi gemiti. Ad un tratto le
potenze dell'abisso accorrono con passi precipitati: spettri strani,
orribili, spaventevoli; il terrore e la morte abitano nei loro occhi;
alcuni, di figura umana, hanno zampe di bestie feroci; i loro capelli
intrecciati di serpenti; la loro coda immensa e forcuta si ricurva-in
pieghi tortuosi. Vedonsi immonde Arpie, Centauri, Sfingi, Gorgoni,
Scille che latrano e divorano, Idre, Pitoni, Chimere che vomitano
torrenti di fiamme e di fumo; Polifemi, Gerioni, mille mostri più
bizzarri di quanto mai ne fantasticò l'immaginazione, mescolati e
confusi insieme. Essi si collocano gli uni a sinistra, gli altri a
destra del loro tenebroso monarca. Seduto in mezzo a loro, egli tiene
con una mano uno scettro rozzo e pesante; la superba fronte armata di
coma supera in altezza lo scoglio più elevato: Calpe, l'immenso Atlante
medesimo non sarebbero in confronto a lui che semplici colline. (Milton
dà a Satana per lo meno 40.000 piedi d'altezza). Un'orribile maestà
impressa sul suo volto feroce accresce il terrore e raddoppia il suo
orgoglio. Il suo sguardo, simile a funesta cometa, scintilla del fuoco
dei veleni, da cui i suoi occhi sono alimentati. Una barba lunga,
folta, irta, gli avviluppa il mento- e scende sul petto peloso; la
bocca che cola sangue impuro si spalanca come un vasto abisso; da
questa bocca appestata e¬salano, un fiato avvelenato e turbini di
fiamme e di fumo. Così l'Etna, dai fianchi infuocati, vomita con un
fragore orribile neri torrenti di solfo e di bitume. Al suono della sua
voce terribile, trema l'abisso, Cerbero tace impaurito, l'Idra è muta,
il Cocito si arresta immobile.
Bibliografia
Ronchetti G., Dizionario illustrato dei simboli, Hoepli, MIlano, 1928