Io
Il termine io non è soltanto un pronome: esso indica il modo di essere di un individuo in quanto distinto da tutti gli altri. Nella filosofia e nella psicologia, l'Io indica alcune aree e funzioni della mente. Secondo la psicoanalisi, l'Io svolge la difficile e delicata funzione di mediare tra gli istinti, le esigenze della realtà esterna e le regole della nostra coscienza morale
La dimensione grammaticale e quella filosofica
Nella declinazione del pronome di prima persona singolare, io si adopera come soggetto di un verbo, mentre per il complemento oggetto e per i complementi costruiti con una preposizione si usa me (per esempio: "vuole me", "gioca con me"); per il complemento di termine e, talvolta, per il complemento oggetto utilizziamo 'mi' (per esempio: "mi dice", "mi sceglie").
Il filosofo francese Cartesio (17° secolo) intende l'Io come coscienza, luogo e agente del pensiero. L'Io che pensa è la prova dell'esistenza: la celebre frase cogito ergo sum significa "penso, perciò esisto". Per il tedesco Immanuel Kant (18° secolo) l'Io penso è l'autocoscienza, ossia la consapevolezza dei propri processi mentali che rimane identica, mentre il pensiero costruisce molteplici rappresentazioni della realtà in mutamento.
La dimensione psicologica: dal neonato all'adulto
Nella teoria psicoanalitica elaborata da Sigmund Freud l'Io è una parte, conscia e inconscia, dell'apparato psichico, organizzata per svolgere importanti funzioni. Il suo graduale sviluppo dalla psiche ancora indifferenziata del neonato dipende da fattori costituzionali e dalle esperienze nel rapporto con gli altri. Per Sigmund Freud, l'Io all'inizio della vita è un "Io corporeo": il neonato vive immerso nelle sensazioni corporee e soltanto attraverso un lento e graduale processo diviene capace di percepire il proprio corpo e sé stesso, distinguendo queste percezioni da quelle che ha del mondo esterno. È un momento importante quello in cui un bambino dice per la prima volta "io": egli esprime la consapevolezza di esistere come persona indipendente dalla madre e in rapporto con un tu o un voi.
Con la crescita l'Io diventa sempre più capace di compiere l'esame di realtà, cioè di valutare il mondo esterno e comprendere i suoi significati condivisi da tutti. Questa funzione può essere perduta o alterata in alcune malattie psichiche; per esempio, nel delirio paranoide il malato può interpretare come minacciose le azioni e le parole di altri che in realtà sono assolutamente innocue.
Compreso il significato della realtà, l'Io regola il nostro adattamento al mondo esterno e ai suoi cambiamenti. Queste funzioni sono strettamente dipendenti dallo sviluppo dei processi di pensiero, cioè dalla capacità dell'Io di percepire quanto accade e di dare significato alle percezioni, classificarle, individuare somiglianze e differenze, arrivare a conclusioni, formulare giudizi, fare previsioni: insomma, pensare, ricordare e apprendere.
Io e Super-Io
Nel 1923 Freud scrive che "l'Io rappresenta ciò che si può chiamare la ragione e il senso comune, in contrasto con l'Es che contiene le passioni". Ma l'Io non ha a che fare solo con l'Es (l'inconscio): deve fronteggiare anche le istanze del Super-Io ‒ che rappresenta i nostri ideali e la coscienza morale ‒ e i limiti che la realtà esterna ci pone. L'Io svolge quindi una funzione delicata e difficile, perché deve mediare tra gli istinti dell'Es, le esigenze del Super-Io e le richieste della realtà, tentando di accontentare tutti e di evitare situazioni di angoscia (difesa, meccanismi di). L'Io svolge la sua attività di gran diplomatico non solo perché spinge fuori dalla coscienza impulsi aggressivi o sessuali che provocherebbero la disapprovazione del Super-Io o del mondo esterno, ma anche perché regola e controlla gli istinti e rimanda, quando è il caso, la loro soddisfazione. Grazie a queste funzioni l'Io ci rende capaci di stabilire relazioni con gli altri e di mantenere legami affettivi che durano nel tempo, nonostante gli impulsi ostili e i conflitti.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it