Io-Sé
La psicoanalisi è andata elaborando, a partire dalla 'Psicologia dell'Io' di H. Hartmann fino ai contemporanei sviluppi della 'Psicologia del Sé', punti di vista via via più articolati circa il complesso rapporto dell'originario Io della teoresi freudiana con quanto è andato progressivamente caratterizzandosi come Sé; quest'ultimo appare inizialmente identificato con l'immagine che l'Io costruisce di se stesso, per poi divenire espressione concreta e pragmatica dell'esperienza di aspetti più o meno parziali o scissi della propria personalità e del proprio corpo. In questa seconda prospettiva il concetto di Sé ha assunto, nella psicoanalisi odierna, una centralità tale da dar luogo a orientamenti teorici e clinici che tendono a distinguersi, se non addirittura a contrapporsi, alla clinica psicoanalitica tradizionale. È inevitabile che cenni relativi ai due concetti siano presenti in tutti i lemmi psicoanalisi dell'Enciclopedia Italiana e delle varie Appendici, a partire dalla voce di E. Weiss (XXVIII, p. 455), ovviamente centrata in maggior misura sulla definizione di Io, e da quelle di E. Servadio (App. II, ii, p. 627; III, ii, p. 516), fino ad arrivare alle voci più recenti (App. IV, iv, p. 83; V, iv, p. 321; e in questa Appendice), nelle quali la complessa filigrana della relazione Io-Sé è messa in luce, ancorché non in primo piano come si presenta, invece, nella voce che segue.
L'Io come spazio di autonomia del soggetto
Il concetto di Io diviene, nell'opera di H. Hartmann (1894-1970), uno dei fuochi della teoria psicoanalitica, al punto che la 'corrente' del movimento che riconosce in Hartmann il padre fondatore prende il nome di Ego psychology (cioè psicologia dell'Io). Questa nuova particolare attenzione sull'Io si accompagna a una diversa considerazione dei rapporti tra inconscio e coscienza - a favore di una maggiore autonomia di quest'ultima - che, traendo le proprie radici da Anna Freud, caratterizza il pensiero di Hartmann e si riflette nella sua scuola, ma anche, in generale, in una larga parte delle teorizzazioni psicoanalitiche successive, soprattutto nell'ambiente statunitense.
La differenziazione della teoria dell'Io di Hartmann rispetto alle teorie psicoanalitiche precedenti parte da un radicale ripensamento teorico della genesi dell'Io stesso. S. Freud, proponendo la 'seconda topica', aveva postulato che l'Io traesse origine dall'Es, in seguito alle trasformazioni indotte dal rapporto con il mondo esterno. L'Io poteva essere considerato come una parte trasformata di Es, un'area che andava progressivamente estendendosi nel corso dello sviluppo del mondo psichico individuale e che poteva essere ulteriormente ampliata dal lavoro psicoanalitico (secondo la celebre espressione di Freud: "dove era l'Es, deve diventare l'Io"). Nella visione di Hartmann, invece, l'Io e l'Es si sviluppano a partire da una matrice istintuale comune.
Alla funzione difensiva la teorizzazione di Hartmann unisce una funzione adattiva. L'Io diviene anzi "l'organo specifico dell'adattamento". Se, inoltre, Hartmann non abbandona la concezione psicoanalitica classica, secondo la quale l'Io si forma attraverso i conflitti, va detto che, a suo avviso, "essi non sono l'unica fonte del suo sviluppo". Infatti, secondo Hartmann, i processi di adattamento all'ambiente, così come i processi di apprendimento, non sono necessariamente caratterizzati dal conflitto. L'insieme delle funzioni dell'Io la cui attività non ha un carattere conflittuale viene definito da Hartmann "la sfera dell'Io libera da conflitti".
Nello sviluppo del proprio pensiero, Hartmann approfondisce ulteriormente le funzioni dell'Io, tra le quali vanno collocate, oltre alla difesa e all'adattamento, anche il carattere, gli interessi, l'intenzionalità di una persona. L'Io viene inoltre caratterizzato da un'autonomia primaria dall'Es (originantesi dal cosiddetto nucleo innato ereditario dell'Io stesso) e da un'autonomia secondaria (acquisita successivamente, ed esprimentesi come capacità di resistenza alla regressione). Perché possa adempiere alle proprie funzioni, all'Io viene inoltre attribuita una particolare capacità, detta di neutralizzazione dell'energia psichica. Il concetto di neutralizzazione teorizzato da Hartmann richiama quello freudiano di sublimazione, ma possiede una sfera di applicazione più ampia. La libido neutralizzata, infatti, deriva dalla possibile trasformazione tanto della sessualità quanto dell'aggressività.
Con il contributo di E. Kris (1900-1957), la riflessione sulle funzioni dell'Io tende a espandersi verso il terreno della pratica clinica. È Kris a teorizzare per primo che la capacità del paziente di stabilire un'efficace concatenazione di 'libere associazioni' sia dovuta alla "funzione sintetica o organizzatrice dell'Io". Kris teorizza anche la centralità delle funzioni dell'Io per il raggiungimento dell'insight nel trattamento psicoanalitico: di particolare importanza, a questo fine, è per Kris la capacità di controllo dell'Io sulla regressione.
D. Rapaport (1911-1960) riformula il concetto di autonomia dell'Io in chiave non più solo di indipendenza dall'Es, ma anche di indipendenza dall'ambiente esterno, pur se si tratta in entrambi i casi di un'indipendenza relativa e soggetta a interferenze, delle quali Rapaport descrive una possibile fenomenologia. L'autonomia dell'Io dall'Es e quella dall'ambiente si integrano, si fondano e si 'garantiscono' reciprocamente. La loro integrazione ha peraltro un carattere in un certo senso paradossale, dato che è il bagaglio pulsionale a fondare, per Rapaport, l'autonomia dall'ambiente, mentre l'autonomia dall'Es è assicurata essenzialmente dall'organizzazione dei contatti con il mondo esterno.
La nascita del concetto di Sé in psicoanalisi e la psicologia del Sé
La riflessione sulle proprietà dell'Io tende a spegnersi progressivamente quando, in seguito al fallimento dei tentativi di rifondare la metapsicologia su basi scientifiche, l'Ego psychology tende a trascurare i concetti teorici più astratti della metapsicologia (tra i quali, tipicamente, i concetti 'topici') a favore della riflessione sui fenomeni direttamente osservabili nella pratica clinica. In questo quadro tende ad affermarsi, a scapito del concetto di Io, l'uso del concetto di Sé, in generale definito, fin dalle sue prime caratterizzazioni, in modo meno assertivo del primo, e più legato agli aspetti esperienziali della personalità.
Per quanto la parola Sé sostantivata compaia anche in S. Freud e M. Klein, essa non raggiunge che molto tardi una dignità concettuale definita. D. Winnicott è tra i primi a parlare del Sé con intenti di innovazione teorica, e proprio per contrapporre un concetto esperienziale a un concetto metapsicologico: per Winnicott ha molto più senso parlare di qualcosa come una "continuità del continuare a esistere" piuttosto che dell'esistenza di un Io. Le vicende del Sé, nella visione winnicottiana, sono legate al successo o al fallimento del rapporto dell'individuo con le cure materne. Si ha la possibilità di esprimersi attraverso il 'vero Sé' se lo sviluppo è stato sano, e l'individuo è passato naturalmente dallo stato di assoluta dipendenza dalle cure materne, attraverso la fase intermedia dell'oggetto transizionale, allo stato di dipendenza relativa. In caso contrario, si determina la formazione, che difende il soggetto dalla catastrofe psichica, del cosiddetto 'falso Sé'. Il falso Sé ha, da un lato, il compito di adattare l'individuo all'ambiente attraverso una sorta di compiacenza verso le richieste che vengono da quest'ultimo; dall'altro, quello di proteggere il vero Sé, che costituisce la parte più autentica della personalità ma viene dissimulato dal falso Sé.
Nell'ambito dell'Ego psychology, a Hartmann si deve anche una definizione del Sé distinto dall'Io e identificato con l'immagine della personalità totale che nell'Io stesso viene a costituirsi. Approfondendo la caratterizzazione di Hartmann, E. Jacobson (1897-1978) assume il Sé come "un termine descrittivo ausiliare" indicante la persona come soggetto, in contrapposizione al mondo circostante costituito da oggetti. La Jacobson distingue inoltre il Sé dalle rappresentazioni del Sé: il primo coincide con il mondo interno del soggetto e la sua esperienza mentale; le seconde con le immagini mentali che formano progressivamente tale esperienza, interagendo con il mondo esterno.
Tuttavia, è con l'avvento della Self psychology (psicologia del Sé), cioè con gli scritti di H. Kohut (1913-1981), che il concetto di Sé assume un'importanza veramente centrale nella teorizzazione psicodinamica.
Il Sé, nella visione del primo Kohut (culminante con The analysis of the Self, del 1971), è concettualizzato come il "contenuto dell'apparato mentale". Non è quindi un'istanza psichica e se costituisce certamente un'astrazione, rispetto all'esperienza clinica, è per Kohut comunque un'astrazione di livello molto meno elevato (meno distante cioè dall'esperienza) rispetto ad altre costruzioni teoriche della metapsicologia e, in particolare, rispetto ai concetti di Io, Es e Super-io. Kohut ipotizza anche che Io, Es e Super-io possano avere ciascuno visioni diverse e contrastanti del Sé. Pur non essendo un'istanza psichica, il Sé è comunque "una struttura interna della psiche, perché è investito di energia pulsionale e possiede una continuità nel tempo, cioè è duraturo" (Kohut 1966; trad. it. 1986, pp. 115-16).
L'obiettivo fondamentale dello sviluppo consiste nel raggiungimento di un Sé coeso, e poi nel mantenimento di quello che viene chiamato da Kohut un "equilibrio narcisistico omeostatico della personalità". La coesione del Sé, tuttavia, non è legata unicamente alla possibilità di attraversare senza blocchi lo sviluppo psicosessuale, ma è condizionata anche dalla non meno importante linea di sviluppo narcisistico. Va però notato che il concetto di 'narcisismo' sviluppato da Kohut differisce profondamente da quello freudiano, perché non viene definito dall'obiettivo dell'investimento libidico ma dalla natura e dalla qualità di tale investimento (va peraltro notato che se il primo Kohut parla ancora di libido narcisistica, a partire dai tardi anni Settanta egli si allontanerà progressivamente dal modello strutturale delle pulsioni per concentrarsi essenzialmente sugli aspetti relazionali del vissuto). Il bambino ha, infatti, la necessità di compiere un investimento di carattere narcisistico su altri significativi (essenzialmente le figure di accudimento), che egli percepisce in tale modo come strettamente legati al suo stesso essere, cioè, nella terminologia kohutiana, come oggetti-Sé.
Il senso del Sé, secondo Kohut, non può svilupparsi se non nella relazione con gli altri, e solo in tale relazione è possibile compiere quelle esperienze (chiamate appunto esperienze di oggetto-Sé) che consentono l'emergenza, il mantenimento e il completamento del Sé. In quest'ottica è possibile affermare che l'esistenza del Sé può essere compresa solo nel 'sistema Sé/oggetto-Sé'; o che il Sé deve essere considerato dipendente da una "matrice di esperienze di oggetto-Sé".
La relazione con un oggetto-Sé è interpretabile come narcisistica sia perché le funzioni di tale relazione sono finalizzate al raggiungimento di un senso del Sé, di un Sé coeso, sia perché la percezione dell'oggetto-Sé che ha il bambino non corrisponde a quella che l'adulto può avere del mondo esterno. Al contrario, secondo Kohut, il bambino ha la sensazione di esercitare un controllo sull'oggetto-Sé simile al senso adulto della propriocezione. Per Kohut, le relazioni di oggetto-Sé soddisfano i bisogni del Sé di essere confermato, accettato, apprezzato ('rispecchiamento'); di idealizzare un oggetto-Sé del quale sentirsi in qualche modo partecipe ('idealizzazione'); di essere sostenuto da un altro affine ('supporto', cui corrisponde la relazione di oggetto-Sé 'gemellare'). A questi bisogni, il contributo dell'allievo di Kohut e suo collaboratore, E. Wolf, affianca i bisogni di 'antagonismo', cioè "di sperimentare l'oggetto-Sé come una forza in benigna opposizione", e i bisogni di 'efficacia', cioè di sperimentare la propria capacità di influenzare l'oggetto-Sé.
La possibilità di mantenere inalterato un rapporto positivo con gli oggetti-Sé, induce nel bambino sicurezza; la mancanza di tale rapporto necessita di essere compensata dall'esperienza di oggetti-Sé sostitutivi, onde evitare l'esperienza della cosiddetta ansia di disintegrazione che caratterizza ciò che Kohut e la sua scuola hanno chiamato disturbi narcisistici della personalità.
Il Sé, a partire dal testo The restoration of the Self (1977), perde il connotato di semplice contenuto mentale per acquisire quello di centro indipendente di iniziativa. Utilizzando per la prima volta il concetto di 'Sé nucleare', Kohut lo caratterizza come "nucleo auto-propulsore, autodiretto e di autosostegno, che fornisce uno scopo centrale alla personalità e dà un senso alla vita". In How does analysis cure? (testo pubblicato postumo nel 1984), il Sé nucleare viene chiaramente definito come dotato di potenzialità creative e produttive e di un programma di azione.
Le concezioni di Kohut del Sé nucleare si integrano in D.N. Stern (n. 1934) con i risultati della cosiddetta infant research. Stern descrive lo sviluppo del Sé attraverso l'acquisizione successiva, a partire dalla nascita, di quattro sensi del Sé. Il senso di un Sé emergente, che si forma nei primi due mesi di vita, corrisponde alla possibilità di acquisire le prime esperienze affettive e percettive, sia pure nel quadro di una consapevolezza estremamente vaga; il senso di un Sé nucleare, che si sviluppa tra il secondo e il settimo mese, consiste nella capacità di sperimentare se stessi come distinti dagli altri; il senso del Sé soggettivo si forma tra il settimo e il quindicesimo mese di vita, quando il bambino comincia a comprendere che le proprie "esperienze soggettive sono potenzialmente condivisibili": è in quel periodo, per es., che egli inizia a 'chiedere' la partecipazione della madre alle proprie esplorazioni dell'ambiente. L'ultimo a formarsi è il senso del Sé verbale. Ognuno di questi sensi del Sé, una volta costituitosi, "si mantiene pienamente funzionante e attivo per tutta la vita. Tutti e quattro continuano a svilupparsi e coesistere" (Stern 1985; trad. it. 1987, p. 53).
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it