Il
termine ira, usato comunemente come sinonimo di furore, sdegno,
indignazione, collera, esprime un'emozione violenta, in genere
spiacevole, che si accompagna a uno stato di tensione dovuto alla
presenza di ostacoli, reali o immaginari, che non permettono la
realizzazione di attività o desideri. L'individuo può mettere in atto
comportamenti aggressivi verso sé stesso, gli altri o gli oggetti, per
placarsi e sperimentare una sensazione piacevole di allentamento della
tensione iniziale.
sommario:
1. Ira e rabbia. 2. Etologia e studio del comportamento aggressivo. 3.
L'ira come emozione primaria o fondamentale . 4. L'espressione
aggressiva nel processo evolutivo. □ Bibliografia
1. Ira e rabbia
L'ira
è comunemente intesa come sinonimo di rabbia, anche se il primo termine
si differenzia nel segnalare una particolare predisposizione all'azione
e all'attacco. Più precisamente, la rabbia può essere originata da
situazioni ambientali esterne che vengono registrate come minaccia alla
sicurezza personale e che, a loro volta, automaticamente innescano le
reazioni neurovegetative di difesa, quali mutamenti tonicoposturali e
vasopressori, base necessaria a istantanee reazioni di efficace
contrapposizione al pericolo. L'ira, invece, è un'emozione più
profonda, più a lungo contenibile e perciò anche modulabile in varie
sfumature e direzioni, ma, soprattutto, è prevalentemente provocata
dalla intollerabilità di oggetti e condizioni già interiorizzate. Per
questo motivo, sperimentare l'ira può tradursi in atteggiamenti di
attacco diretto attraverso particolari schemi comportamentali, come
avviene per la rabbia e la paura, ma può anche innescare modalità più
articolate di difesa, quali, per es., l'evitamento dell'aggressione
oppure la trasformazione simbolica della lotta in disputa verbale,
utilizzando le strategie di differenziazione della situazione specifica
e avvalendosi per il proprio vantaggio di strumenti a più alto livello
di sviluppo filogenetico.
2. Etologia e studio del comportamento aggressivo
Si
è visto come la definizione di ira sia strettamente correlata con la
possibilità di mettere in atto comportamenti aggressivi o di attacco
diretto. In tale sede può essere utile un richiamo alle concezioni
etologiche di tali comportamenti e ai significati che questi assumono
nelle specie animali nel corso della filogenesi. N. Tinbergen (1951,
1953) e altri hanno evidenziato che nelle specie animali l'espressione
di un comportamento ostile risponde al bisogno innato di conservare la
specie e l'individuo. Attraverso la funzione aggressiva (v. aggressività),
infatti, l'animale definisce e protegge il territorio di sopravvivenza,
difende la propria da altre stirpi, organizza e comunica le posizioni
gerarchiche necessarie per la vita di gruppo. Gli studi etologici hanno
dimostrato che per gli animali più evoluti l'aggressività, istinto
vitale che produce importanti catene di comportamenti innati, soltanto
raramente assume espressioni distruttive, volte all'annientamento
dell'altro, ma si trasforma in reciproco distanziamento man mano che le
specie apprendono l'uso di comportamenti rituali di segnalazione. In
questo modo l'animale non mette in atto direttamente l'aggressività, ma
utilizza la minaccia, manifestando lo stato emotivo in cui si trova per
spaventare l'altro e farlo desistere. L'evoluzione da comportamenti
inizialmente aggressivi e cruenti all'uso di moduli comunicativi
rituali, caratterizzati da uno specifico repertorio comportamentale,
che realizza l'attacco aggressivo attraverso un copione segnaletico,
senza pervenire allo scontro fisico, ha permesso da un lato la
possibilità di comunicare le emozioni suscitate dalla situazione
specifica, dall'altro la creazione di un vincolo sociale. L'animale,
infatti, comunicando le proprie intenzioni con l'esibizione del rituale
aggressivo, esprime le proprie emozioni e realizza l'attacco,
sentendosi placato e stabilendo una nuova regola sociale. Perché un
rituale sia accettato e risulti efficace, i moduli comportamentali che
lo caratterizzano devono essere ripetuti e riconosciuti entro il gruppo
e tra gruppi limitrofi, acquisendo così lo stesso significato per tutti
i membri della specie e per le specie cointeressate. In questo modo
l'ira diventa per l'animale pulsione motrice di un processo
fisiologico, che predispone le lontananze di sicurezza e il
consolidamento di diritti che riducono le necessità di lotta. Gli studi
di K. Lorenz (1966) e di molti altri dimostrano che l'evoluzione dai
gruppi animali superiori ai gruppi umani mantiene intatti e pienamente
funzionali i comportamenti istintivi della concatenazione - reazione,
segnalazione, rituale comunicativo di distanziamento - e anche quelli
primari di cortocircuito tra emozione e scatenamento aggressivo.
Tuttavia lo specifico evolutivo umano aggiunge un salto
incommensurabile di qualità organizzativa con la trasformazione dei
segni in simboli, potenti strumenti di interpretazione e comunicazione
della realtà. Per questo l'uomo è libero di aggredire brutalmente e
ciecamente, di organizzare e usare concatenazioni sia geneticamente sia
culturalmente trasmissibili di rituali sociali di reciproca
collocazione e distanziamento, di elaborare infine piani di difesa e
attacco di complessa strategia; l'applicazione di questi piani comporta
una verifica dei risultati, nonché la possibilità di modificare
continuamente le strategie. Emotivamente quindi parliamo di rabbia
incontrollabile, di ira repressa o contenuta, di ira fredda: non è la
qualità emozionale che cambia, ma il livello di integrazione
dell'emozione nella nostra complessa organizzazione psichica.
3. L'ira come emozione primaria o fondamentale
La
maggior parte degli antropologi considera l'ira un'emozione primaria
fondamentale, caratterizzata da una mimica facciale universale,
spontanea, riscontrata in tutte le culture umane e, quindi,
potenzialmente innata e motrice di comportamenti filogeneticamente
trasmessi e selettivamente perfezionati. Altri ricercatori, invece,
prevalentemente psicologi, focalizzano l'attenzione esclusivamente sui
processi di apprendimento, negando la presenza di qualsiasi elemento
innato. Una mediazione è rappresentata da P. Ekman (1977), il quale
ipotizza, per quanto riguarda l'ira e le altre emozioni primarie (quali
felicità, tristezza, paura, disgusto e, seppur controversa, sorpresa),
l'attivazione di un programma di espressione facciale universale
codificato geneticamente, che però può essere modificato
dall'intervento dei processi cognitivi.
L'emozione, in particolare l'ira, è uno stato di disposizione o di
attivazione di specifici sistemi comportamentali, caratterizzata da
risposte biologiche solo parzialmente percepibili dal soggetto stesso o
da un osservatore esterno (battito cardiaco, variazione della pressione
ecc.), da risposte tonicoposturali, che permettono la tensione o il
rilassamento del corpo, da risposte motorie strumentali (mordere,
colpire, scappare), da risposte motorie espressive (mimica facciale,
gesti, vocalizzazioni) e da una componente esperienziale soggettiva,
che consiste nel vissuto cosciente che il soggetto prova quando è irato
(Reisenzein 1983). Tale definizione permette di considerare l'emozione
come agente adattativo che l'individuo possiede per affrontare
l'ambiente esterno, in seguito alla sollecitazione di specifici stimoli
o modificazioni ambientali. L'uomo, attraverso l'emozione, è in grado
di valutare l'intensità dello stimolo in relazione ai propri bisogni,
di predisporsi ad affrontare tali situazioni e di comunicare
all'ambiente il proprio stato interiore, le proprie intenzioni e
reazioni. Nella specie umana l'emozione assume inoltre una specifica
funzione comunicativa per segnalare lo stato dell'organismo, per poter
prevedere e pianificare le azioni in modo adeguato. Mentre per gli
animali inferiori tendono a prevalere le posture di interazione, nei
Primati e negli organismi più evoluti aumenta l'importanza espressiva
del volto. Nel corso dello sviluppo di ciascun individuo, l'espressione
emotiva si adegua ai comportamenti adulti, seguendo le regole culturali
e sociali vigenti, e viene sottoposta al controllo dei meccanismi
cognitivi che permettono di scegliere se informare o no l'altro sulle
proprie emozioni. La possibilità che l'uomo possiede di elaborare
un'esperienza emotiva consente di passare da un piano prevalentemente
neurovegetativo e motorio, caratterizzato da schemi ormonali, vascolari
e comportamentali fissi, all'opportunità di affrontare le situazioni
esterne anche su un piano razionale, in grado di collocare nello spazio
e nel tempo l'emergenza contingente. I bambini molto piccoli, quando
provano rabbia, reagiscono violentemente, in modo esplosivo e
immediato; dalla seconda infanzia fino alla preadolescenza esprimono in
forma ritualizzata le emozioni appetitive e aggressive suscitate dalle
relazioni interpersonali: con la ritualizzazione essi manifestano i
propri turbamenti e comunicano il proprio stato e le proprie
intenzioni. Con il progredire dell'età, i comportamenti ritualizzati
diminuiscono e si integrano con i sistemi comunicativi tipicamente
umani, rappresentativi e coscienti. L'espressione dell'aggressività
evolve così nell'essere umano da un'iniziale esplosività all'uso degli
automatismi comportamentali tipici dei bambini, alla formalizzazione
simbolica e intellettuale, quali la disputa verbale, la battuta ironica
e l'insulto. L'emozione in questo senso può essere considerata come
l'origine della socialità e come il punto di incontro tra l'organico,
lo psichico e il sociale.
4. L'espressione aggressiva nel processo evolutivo
Come
si è visto in precedenza, l'ira è collegata a uno stato di tensione che
l'individuo avverte a livello fisico. L'intensità di tale emozione,
come peraltro delle altre emozioni umane primarie, si modifica nel
corso dell'esistenza e varia sia qualitativamente sia quantitativamente
da un soggetto all'altro. In psicoanalisi l'espressione diretta di
emozioni quali rabbia, ira, sdegno, viene connessa direttamente con la
frustrazione di quei bisogni fondamentali che il bambino sperimenta fin
dai primi giorni di vita. Mentre negli stadi iniziali di sviluppo il
bambino tende a conseguire un appagamento immediato delle proprie
esigenze allo scopo di ottenere piacere, in un secondo tempo acquisisce
la capacità di posticipare il raggiungimento della soddisfazione,
limitando quelle reazioni emotive intense e dirette in funzione di un
adattamento migliore alla realtà. L'aggressività esplosiva e totale del
bambino molto piccolo è necessaria, perché, non disponendo di mezzi
comunicativi più raffinati e mirati, ed essendo quasi del tutto
impotente a soddisfare i propri bisogni, egli deve assolutamente
catalizzare l'attenzione e la cura degli adulti; inoltre, se amato,
viene protetto dalla seduzione che la sua stessa fragilità esercita su
chi lo ama e dal fatto che la sua aggressione è proporzionalmente
innocua. In seguito, affinandosi la capacità di distinguere gli stimoli
esterni da quelli appartenenti al proprio mondo interno, il bambino
diventa capace di mediare il bisogno con la realtà esterna e di
posticipare le reazioni immediate, prevedendo la soluzione,
momentaneamente negata. Tale processo si verifica grazie al rapporto
che il bambino stabilisce con le figure significative di riferimento.
Sono queste che gli permettono di acquisire fiducia in un rapporto
provvido che garantisce la positività del posticipo della risposta di
soddisfazione, ma che contemporaneamente educa alla canalizzazione
costruttiva delle componenti aggressive. Il ruolo congiunto delle due
figure parentali assume, secondo F. Fornari (1979),
un'importanza fondamentale per aiutare il piccolo da un lato a
comprendere ciò che sta provando, dall'altro a tentare modalità
diverse, consistenti in comportamenti convalidati e tollerati dalla
comunità nella quale vive. Ciascun genitore infatti costituisce uno dei
due poli alternativi di riscontro e di richiesta, collocati insieme al
bambino all'interno di un unico circuito relazionale e funzionale. Il
maschile e il femminile divengono identificabili da parte della persona
in divenire, e quindi sono assumibili anche come propria
identificazione, nel processo di assimilazione e differenziazione che è
la base primaria della formazione di identità e socialità. Queste
ultime rappresentano i parametri sui quali trasformare in un mondo
interno ordinato la molteplicità delle esperienze:
responsabilità-trasgressione, socialità-intimità,
autorevolezza-accoglienza ne costituiscono alcune sfaccettature,
concretamente percepibili ed esercitabili. Comprendere le qualità
dinamiche delle immagini mentali e contemporaneamente la loro matrice
affettivamente ed esperienzialmente radicata nel circuito relazionale
familiare, che viene messo in moto dalla imperiosa esigenza vitale di
ciascun Sé al suo ingresso nella realtà, consente di mettere a fuoco
come l'ira possa innescarsi anche in rapporto a immagini nonché a
relazioni esistenziali ormai intrinseche all'individuo, allorché la
loro carica frustrante venga evocata, rivivificata da incidenze
esteriori, che apparentemente possono sembrare insignificanti.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it