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William James




JAMES WILLIAM, n. a New York l’11 gennaio 1842, m. a Chocorua (New Hampshire) il 29 agosto 1910. Di famiglia benestante, compie i suoi studi in America e in Europa dove sarà anche allievo di Wundt. Personalità eclettica, si interessa all’arte, alla filosofia e, dopo varie interruzioni degli studi, si laurea in Medicina. Dopo aver insegnato Fisiologia presso la Harvard University, riceve l’incarico di condurre un corso di psicologia intitolato "I rapporti tra fisiologia e psicologia", attraverso il quale introdurrà la psicologia sperimentale in America. Nel 1890 pubblica The Principles of Psychology, opera che darà un contributo importante allo sviluppo della psicologia. J. è considerato il più grande psicologo statunitense. Esponente del funzionalismo americano, studia la persona nelle sue molteplici forme di adattamento all’ambiente, contrapponendosi con i suoi risultati allo strutturalismo wundtiano. Il suo pensiero e i suoi scritti hanno avuto grande successo, oltre che per la loro validità, anche per la spontaneità e l’eleganza con cui sono esposti. Insieme a Peirce è considerato il fondatore del pragmatismo. Le sue teorie, però, prepareranno il terreno anche ad altri sviluppi del pensiero psicologico contemporaneo quali il comportamentismo, la psicologia umanistica e la psicologia della personalità. Se per Peirce il significato di una cosa trova la sua giustificazione nel suo rapporto con l’agire umano e non esiste una differenza sia pur minima di significato che non presenti anche una possibile differenza pratica, per J. il pragmatismo è in primo luogo una nuova definizione di "verità". La verità è parte dell’idea, ma è resa vera dai fatti. Il pragmatismo, infatti, deve essere pensato sulla base di un "empirismo radicale". L’empirismo radicale, a differenza di quello tradizionale, ritiene che le conclusioni riguardanti questioni di fatto, per quanto certe, abbiano un carattere storico, siano cioè "ipotesi soggette a essere modificate nel corso dell’esperienza futura". La dottrina sull’empirismo radicale vede la luce nel 1904, quando J. pubblica un saggio dal titolo "Esiste la coscienza?". In questo lavoro J. mette in discussione un "a priori" del pensiero filosofico, il dualismo soggetto-oggetto. Il rapporto soggetto pensante-oggetto pensato è, nella sua opinione, derivato. Al contrario, l’esperienza, intesa come sostanza o materiale primigenio di cui è composto tutto quello che c’è nel mondo, non presenta un simile dualismo interno, così che una stessa porzione di esperienza può essere in un caso un conoscitore e in un altro qualcosa di conosciuto. La "pura esperienza" è per J. "l’immediato flusso vitale che fornisce il materiale per la nostra ulteriore riflessione". E sul concetto di flusso vitale ruota gran parte del pensiero di J. L’attività mentale è colta da questo autore nel suo incessante fluire. La psicologia del flusso di coscienza avrà larga eco anche in ambiti diversi da quelli psicologici. L’Ulisse, l’opera più significativa di uno tra i più grandi letterati del nostro secolo, James Joyce, pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1922, costituirà la traduzione più eccelsa in campo artistico di questo affascinante modello di interpretazione della vita psichica individuale. "Il primo fatto per noi psicologi — sostiene J. - è che un pensiero scorre. Uso la parola ’pensiero’ per indicare indistintamente ogni forma di coscienza." La coscienza viene da J. non più indagata nei suoi elementi strutturali, ma vista come insieme di processi mentali mirati all’adattamento dell’organismo all’ambiente e quindi alla sua sopravvivenza. Essa viene considerata come un processo continuo e in costante evoluzione. Il suo metodo nell’analisi di stati di coscienza si basa sull’introspezione capace, secondo lui, di cogliere ogni singolo atto del processo vitale; sul metodo sperimentale, anche se con dei limiti e sul metodo comparativo, il tutto visto in un’ottica pragmatica. Negli stati di coscienza per j. non vi è mai soluzione di continuità. Le interruzioni provocate ad esempio dal sonno non sono mai interruzioni complete perché al risveglio ognuno ritrova la propria personalità e si riappropria degli stati di coscienza precedenti. Un’altra caratteristica dell’attività cosciente è costituita dalla sua selettività. A causa di tale selettività la coscienza è anche l’organo che svolge la funzione di conoscere il mondo esterno. Essendo legata al funzionamento del sistema nervoso, per studiare la coscienza è necessario analizzare il rapporto esistente tra lo stimolo e la reazione allo stimolo, rapporto che si situa nell’area cognitiva. In questo senso J. può essere considerato un precursore del comportamentismo. Egli formula anche un’interessante e criticata teoria sulle emozioni, la quale suppone che esse compaiano successivamente alla relativa risposta fisica. Di particolare rilievo è la produzione teorica relativa agli studi compiuti da J. sulla religione, produzione che affianca costantemente quella di carattere scientifico. Anche in questo caso le sue conclusioni sono radicali. Così come l’ipotesi scientifica più vera è quella che "funziona" nel modo migliore consentendo di raggiungere determinati scopi e dimostrando la propria "verità" nel suo "funzionare", nello stesso modo le forme dell’esperienza religiosa e le ipotesi che gli individui formulano attraverso la loro fede "sono le prove sperimentali mediante cui quelle ipotesi vengono verificate e il solo mezzo attraverso cui si può produrre la loro verità o falsità". In questo senso l’uomo acquisisce il diritto di credere, nella misura in cui si trovi di fronte a un’opzione importante, reale, non decidibile in base ai soli elementi teoretici.


Bibliografia


Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992

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