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Melanie Klein




KLEIN MELANIE, n. a Vienna nel 1882, m. a Londra nel 1960. Psicoanalista, entra in contatto con il pensiero di Freud a partire dal 1914 quando inizia a Budapest un’analisi personale con Sandor Ferenczi. Alla K., che si occupa principalmente di analisi infantile, si deve un’elaborazione del pensiero freudiano che fa luce sugli stadi preedipici e giunge a un’interpretazione della vita psichica sostanzialmente diversa da quella di Freud. Membro della Società Psicoanalitica di Budapest e successivamente di quella berlinese, in seguito alle polemiche con A. Freud sugli aspetti clinici e teorici dell’analisi infantile, si trasferisce su invito di E. Jones a Londra, dove rimane fino alla morte. Ideatrice di un nuovo metodo clinico per la cura dei bambini fondato sulla tecnica del gioco e in sostituzione di quello dell’associazione della psicoanalisi classica, K. ha il merito di aver ipotizzato che tutte le rappresentazioni inconsce presenti nella teoria freudiana hanno vita nella primissima infanzia del bambino. La K. teorizza uno sviluppo del bambino durante il primo anno di vita distinto in due fasi: la fase "schizo-paranoide" caratterizzata dal meccanismo di scissione nei confronti di un oggetto che è visto dal bambino a volte come "oggetto buono" generando affetto, e a volte come "oggetto cattivo" generando distruttività, e la fase depressiva, in cui il bambino prende coscienza dell’unità dell’oggetto e, dopo un periodo di depressione, abbandona il meccanismo della scissione raggiungendo modalità di relazione più mature. Queste fasi non saranno mai completamente superate: è interessante vederle come un processo dinamico che si evolve durante il corso dell’intera vita del bambino prima e dell’adulto poi. Grande importanza ha anche il concetto di "invidia" rivolta verso l’oggetto buono sentito dal bambino come oggetto dal quale dipende la sua sopravvivenza fisica e psicologica. Secondo la K. tutti i meccanismi di difesa che caratterizzano il mondo psicologico dell’adulto quali l’introiezione, la proiezione, l’incorporazione e l’identificazione operano anche nel mondo del bambino. La K. ha messo inoltre in evidenza la somiglianza tra processi psicopatologici infantili e adulti. Un contributo tra più fecondi del lavoro della K. è rappresentato dall’introduzione del concetto di identificazione proiettiva. Formulato per la prima volta nel 1946 per designare "una forma particolare di identificazione che stabilisce il prototipo di una relazione oggettuale aggressiva", è stato in seguito oggetto di ridefinizione da parte di molti autori, in particolare da parte di Bion che lo ha descritto nell’ambito dei suoi studi sulle psicosi.


Bibliografia


Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992

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