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Klein: teoria della clinica




In gran parte i problemi infantili nascono da un Super-io troppo esigente e ciò indipendentemente dai genitori reali, dalla loro maggiore o minore permissività. Sono le immagini arcaiche, filogenetiche, le imago, a svolgere una funzione determinante. Esse rappresentano pertanto il bersaglio privilegiato dell’indagine analitica. Solo in un secondo tempo il bambino giunge a rendersi conto che le sue pulsioni non si rivolgevano solo contro i fantasmi interiori, ma investivano gli oggetti reali, a questo punto però la sua angoscia è così diminuita che è in grado di interpretare anche le sue azioni concrete. Determinante è infatti, per la Klein, l’economia dell’inconscio, i rapporti reali ne sono secondariamente investiti. Modificando la realtà intrapsichica, diminuendo la sua angoscia, il bambino sarà in grado da solo di intrattenere relazioni migliori con gli altri senza che l’analista svolga un’azione sociale sul suo ambiente. L’angoscia, come sostiene Freud in Inibizione, sintomo e angoscia (1925), non è paura di un pericolo esterno, ma è la reazione provocata dalla incapacità di far fronte a bisogni e impulsi interni. La Klein interviene solo sul versante interno disgiungendolo (contrariamente ad Anna Freud) dall’azione reciproca che intrattiene con l’esterno.

     Il terapeuta kleiniano non è un sociologo né un educatore. Non orienta le pulsioni infantili né attrezza la famiglia ad accettarle. Il suo compito, come insegna Freud, è di consegnare al bambino le sue potenzialità espressive. Programma, come vedremo, non esente da contraddizioni. A questo scopo deve lavorare sul transfert che il bambino elabora nei confronti del terapeuta. Come sappiamo, Anna Freud considerava impossibile che si realizzasse una riedizione del conflitto edipico che, nel caso di bambini, è ancora in atto nei confronti di genitori reali. Melanie Klein, di contro, considera l’analisi il luogo della rappresentazione dei primi conflitti infantili, conflitti che non coinvolgono tanto i genitori reali quanto fantasmi remoti, che sopravvivono e operano in quell’«altrove» che è l’inconscio kleiniano.

     Si tratta di una dimensione dal cui scandaglio emergono nuovi contenuti che conservano, dei corrispondenti freudiani, solo una identità lessicale, ma che assumono, in realtà, un valore e un significato diversi. Per Melanie Klein esiste un Io estremamente precoce che, già alla nascita, è capace di provare angoscia, di usare meccanismi di difesa, di stabilire rapporti oggettuali primitivi nella fantasia e nella realtà.

     Il primo conflitto sorge dall’innata polarità tra istinto di vita e istinto di morte. La realtà, a sua volta, conferma tale polarità perché determina gratificazioni e frustrazioni. L’inconscio kleiniano è una dimensione dinamica nella quale preesistono oggetti indipendenti dagli apporti percettivi del mondo esterno. Sono formazioni fantasmatiche, pre-verbali, finalizzate a orientare gli impulsi istintuali. Ad esempio, l’impulso alla nutrizione è organizzato intorno a una imago di mammella che preesiste alla scoperta del seno reale, ma che interagisce poi con esso. Il seno materno è fonte di soddisfazione e, come tale, conferma l’aspetto libidico del fantasma oggettuale, ma è anche causa di dispiacere nella misura in cui è assente o inadeguato al bisogno. In questo caso ribadisce la connotazione negativa dell’immagine inconscia. La fantasia inconscia non è soltanto sostitutiva della realtà (come nella teoria freudiana dell’appagamento allucinatorio) ma ha una funzione strutturante il mondo esterno e il mondo interno. Svolge anche un compito di difesa in quanto l’oggetto cattivo è proiettato fuori, l’oggetto buono è introiettato dentro, secondo il modello di funzionamento fisiologico dell’apparato orale. L’Io primitivo è quindi animato dalle energie istintuali suddivise in libidiche e aggressive, ha due direzioni di scarica, verso l’interno e verso l’esterno, ed è costituito dall’insieme degli oggetti fantasmatici dell’istinto, oggetti parziali, come il seno, il pene, le feci.

     In questa fase, quindi, l’Io è una istanza poco integrata che può ricorrere alla scissione di sé e del mondo quando l’angoscia si fa insopportabile. Questa modalità di organizzazione dell’Io in certa misura normale viene descritta da Melanie Klein in termini di posizione schizo-paranoide. Il termine «posizione», che sostituisce quello freudiano di «fase», sta a indicare la permanenza di questa modalità dell’apparato psichico che caratterizza i primi 3-4 mesi di vita. Quello di «posizione» è un concetto strutturale più che cronologico.

     Abbiamo detto che, secondo la Klein, l’Io è preda, sin dalla nascita, dell’istinto di morte. Per fronteggiare l’angoscia che tale istinto provoca, in parte viene proiettato verso l’esterno, in parte costituisce una riserva interna di aggressività. L’oggetto esterno (il seno), investito della pulsione di morte, diviene un oggetto cattivo e persecutorio. L’impulso sadico di morderlo, che si evidenzia con la dentizione, si trasforma così nella paura speculare di essere divorato. Nel caso che, per difendersi, il neonato metta in atto il meccanismo di introiezione, sarà invaso dall’angoscia di essere deprivato dei suoi contenuti buoni a opera di un aggressore interno. L’oggetto cattivo, in quanto investito di impulsi sadico-orali, viene frammentato in una molteplicità di parti persecutorie. Quella dose di istinto di morte che era rimasta dentro di sé viene invece convertita in aggressività e utilizzata come difesa nei confronti dei nemici esterni. Anche l’istinto di vita viene parimenti scisso: la parte proiettata sul seno buono (che rimane unitario) ne fa un oggetto ideale, quella rimasta in sé viene invece utilizzata per stabilire il rapporto amoroso. Persino la proiezione libidica, però, non è esente da angoscia in quanto il bambino teme di rimanere svuotato delle sue parti buone riversate sull’oggetto esterno. L’oggetto parziale «seno», intorno a cui si organizza la dinamica della fase schizo-paranoide, è quindi esterno e interno, buono o cattivo, incorporato e proiettato, unitario e frammentato. Il lattante mira a impadronirsi dell’oggetto buono, a renderlo parte di sé e, nello stesso tempo, cerca di tenere lontano l’oggetto cattivo e quelle parti di sé che lo compongono. La difesa onnipotente dall’oggetto persecutorio giunge sino al diniego totale, alla dichiarazione di inesistenza che derealizza il mondo. Ma, normalmente, accade una dicotomia: le parti dell’oggetto e del sé buono vengono introiettate, le parti del sé e dell’oggetto cattivo vengono proiettate. In tal modo l’Io si scinde e sperimenta una situazione schizoide. Nello stesso tempo vive l’angoscia di essere distrutto dagli oggetti cattivi, angoscia di tipo paranoide (quando l’oggetto è esterno), ipocondriaco (quando l’oggetto persecutorio è sentito come interno).

     Gli oggetti ideali e persecutori formano le radici del Super-io. Nel caso che questa organizzazione primitiva dell’apparato psichico divenga rigida e permanente (fissazione), il soggetto funziona in modo psicotico, secondo i quadri psichiatrici della schizofrenia e della paranoia, oppure si tratterrà in quella situazione mediana tra psicosi e nevrosi detta borderline.4 In questa fase di sviluppo o in questa posizione, le relazioni oggettuali si basano sulla identificazione proiettiva, una fantasia onnipotente per cui parti non desiderate di sé e degli oggetti interni possono essere scisse, proiettate e controllate nell’oggetto esterno. Si tratta di un termine chiave nella teoria della Klein perché svolge, al tempo stesso, una funzione di difesa e di strutturazione di sé e del mondo. L’identificazione proiettiva presuppone una indistinzione tra Io e oggetto che non va esente da angosce tra cui le principali sono: la paura di subire rappresaglie dall’oggetto attaccato e la paura di avere parti di sé imprigionate dentro l’oggetto aggredito (claustrofobia). Il meccanismo dell’identificazione proiettiva sta alla base del delirio psicotico di essere un’altra persona (ad esempio Cristo o Napoleone). Nel corso dello sviluppo normale, il bambino sperimenta solo sporadicamente tali angosce, tuttavia esse compaiono sempre e svolgono una funzione strutturante purché i fattori libidici prevalgano su quelli aggressivi. In questo caso (ma non necessariamente) la posizione schizo-paranoide sarà integrata nella personalità matura. Il processo di scissione, benché pieno di pericoli, permette all’Io di emergere progressivamente dalla indistinzione originaria e di ordinare la realtà esterna secondo due categorie elementari, «buono» e «cattivo», che stanno alla base della successiva capacità discriminativa. Se la scissione non sarà stata troppo drastica rimarrà una comunicazione tra inconscio e conscio e la rimozione non sarà rigida e definitiva. L’idealizzazione dell’oggetto, a sua volta, persiste nello stato di innamoramento, nel piacere estetico, nella costruzione di ideali e di valori. Sull’identificazione proiettiva, infine, si fonda la capacità di provare empatia e di riconoscere i simboli più arcaici. Il predominio delle esperienze positive e dell’oggetto ideale è essenziale affinché l’Io impari a tollerare la propria aggressività e l’angoscia che essa provoca.

     A un certo livello di organizzazione interna, le parti buone e le parti cattive di sé possono coesistere e l’Io si differenzia progressivamente dall’oggetto. Giunge così a tollerare l’assenza dell’oggetto buono che, in una fase precedente, veniva invece immediatamente riempita dagli oggetti persecutori.

     Abbiamo detto che è essenziale, ai fini di uno sviluppo armonico, che le esperienze buone superino quelle cattive. Ma esiste anche il caso in cui, nonostante l’ambiente favorevole, il bambino sia impedito nella sua evoluzione. Uno di questi fattori di perturbazione è l’invidia che viene sperimentata sin dalla prima infanzia. Freud aveva teorizzato un’invidia del pene tipica della donna, ma solo con Melanie Klein questa funzione assume una definizione e una funzione precisa. Si tende, normalmente, a confondere l’invidia con la gelosia. Nel suo libro Invidia e gratitudine (1957), la Klein propone invece una differenza radicale.

     Tra le due esperienze, l’invidia è molto più precoce e fondamentale. La gelosia si fonda sull’amore e tende al possesso dell’oggetto amato e alla rimozione del rivale. Essa presuppone un rapporto triangolare e compare quindi in un momento della vita in cui gli oggetti sono chiaramente riconosciuti nella loro autonomia. L’invidia è invece una relazione a due che investe l’oggetto per qualche suo possesso o qualità. L’invidia viene essenzialmente sperimentata nei confronti di oggetti parziali. Il suo primo insorgere avviene nei confronti di quell’oggetto vitale che è il seno. Poiché attacca la fonte della vita può essere considerata, nota Hanna Segal, la più precoce espressione dell’istinto di morte. Il desiderio che il bambino prova per il suo oggetto vitale si può ammantare di aggressività sino a perseguire la sua distruzione. Si ha allora il vissuto inconscio di bramosia. Con il procedere dello sviluppo, l’invidia investe il corpo della madre, la coppia parentale, i suoi bambini. Se l’invidia è troppo intensa non permette i processi schizo-paranoidi e, in particolare, proibisce il riconoscimento dell’oggetto ideale.

     L’individuo si sente allora solo, incapace di ricevere aiuto e conforto. D’altra parte la mancanza di un oggetto buono esterno priva l’Io della possibilità di arricchirsi libidicamente per mezzo della introiezione. La discrepanza tra Io e oggetto accresce la portata dell’invidia, instaurando un circolo vizioso. Questo sentimento è anche uno degli ostacoli maggiori al trattamento psicoanalitico perché alimenta esclusivamente il transfert negativo. Nella evoluzione normale, invece, all’invidia si contrappone la gratitudine, l’oggetto ideale diventa parte dell’Io e ne accresce la capacità d’amore. Tratti di invidia rimangono sempre e animano la rivalità non distruttiva. Quando il bambino sente che il suo Io è forte e in possesso di un sicuro oggetto ideale sarà meno costretto a ricorrere alla proiezione degli impulsi ostili. Le energie, non più riversate verso l’esterno, rafforzeranno l’Io, e il mondo, posto al riparo dagli investimenti aggressivi, apparirà meno pauroso. In tal modo la scissione cede il passo alla contemporanea integrazione dell’Io e dell’oggetto. Il bambino diventa capace di riconoscere la madre come una persona intera e via via di integrare le altre presenze umane del suo ambiente. Prima la madre era seno, occhi, bocca, mani, ora è un oggetto intero che può essere presente o assente, a volte buona a volte cattiva, amata e odiata. Il passaggio dall’oggetto parziale all’oggetto intero, che accade verso i sei mesi, segna il superamento della posizione schizo-paranoide e l’inizio di quella depressiva.

     Il bambino esce dall’universo schizo-paranoide imparando a dominare le sue angosce. Tra le varie tendenze prevale ora quella volta a incorporare l’oggetto ideale nell’Io. La madre unificata assomma in sé le caratteristiche precedentemente scisse della bontà e della cattiveria e diviene un oggetto ambivalente. Poiché l’integrazione dell’oggetto va di pari passo con l’integrazione dell’Io, l’ambivalenza dell’uno corrisponde all’ambivalenza dell’altro. Nello stesso tempo il bambino scopre che la madre non esiste solo in funzione dei suoi bisogni, ma ha una vita autonoma e relazioni diverse, tra cui essenziale quella con il padre. Mentre teme di perderla, si sente impotente a trattenerla e si riconosce totalmente dipendente da lei per la sua sopravvivenza. Dipendenza e impotenza provocano l’insorgere della posizione depressiva. Nella fase schizo-paranoide la maggior angoscia consisteva nella distruzione dell’Io da parte degli oggetti cattivi; nella posizione depressiva, invece, l’angoscia sorge dal timore che i propri impulsi aggressivi distruggano l’oggetto amato. Poiché l’oggetto ideale è incorporato nell’Io, qualsiasi attacco nei suoi confronti è sentito come autodistruttivo. Da questo momento l’aggressività infantile non provoca solo angoscia, ma anche lutto e senso di colpa.

     I fattori regressivi spingono la depressione verso i vissuti persecutori precedentemente sperimentati, gli elementi propulsivi, di contro, incitano il bambino ad assumere un atteggiamento riparatorio nei confronti dell’oggetto perduto. Come l’onnipotenza delle fantasie aggressive ha distrutto l’oggetto, così l’onnipotenza delle fantasie riparatorie potrà restaurarlo.

     In questa fase (6-12 mesi) il bambino diventa consapevole di sé e dei suoi oggetti, comincia a distinguere la realtà esterna da quella interna. Se giunge a questo stadio di integrazione avrà, con ogni probabilità, evitato il rischio della psicosi che si instaura soprattutto sulla cerniera tra la fase schizo-paranoide e quella depressiva. Il Super-io arcaico si arricchisce dell’oggetto ideale. Perde così il carattere feroce che contraddistingue il suo funzionamento nella fase orale, ma continua a presentare al bambino esigenti richieste di perfezione, facendo leva sul suo desiderio di identificazione.

     In tal modo, però, non suscita solo sensi di colpa, ma anche incoraggiamenti e gratificazioni. A sua volta, il bambino cerca di tutelare l’oggetto d’amore dalle sue stesse pulsioni. A questo scopo opera quello spostamento di oggetto che Freud spiega in termini di sublimazione. Solo che, per Melanie Klein, la sublimazione che sta alla base della produzione dei simboli e della creatività, comporta un’esperienza di perdita, di lutto e di riparazione.

     Accanto alle difese riparative esistono quelle maniacali che consistono nella negazione dell’angoscia depressiva e della colpa. In una certa misura esse sostengono i processi riparativi ma provocano anche una negazione del mondo interno e un rifiuto dell’introspezione. Il rapporto maniacale con gli oggetti è caratterizzato da tre sentimenti: dominio, trionfo e disprezzo, volti a negare la dipendenza e ad assicurarsi il controllo del mondo esterno. Man mano che il bambino sperimenta la permanenza dell’oggetto (favorita anche dalla maturazione dei processi cognitivi), l’alternanza di perdita e di recupero, le capacità riparative del suo amore, sente di procedere verso l’indipendenza confortato da un oggetto positivo interno che arricchisce il suo Io e lo rende capace di abbandonare le fantasie di onnipotenza per l’accettazione della realtà. La posizione depressiva però non è mai superata una volta per tutte. Ambivalenza, angoscia, colpa, privazione e lutto sono sempre latenti e qualsiasi perdita della vita li riattiva. Al tempo stesso sono il prezzo che dobbiamo pagare per le più alte realizzazioni umane.

     Contrariamente a Freud, Melanie Klein non ritiene che il conflitto edipico insorga nel corso della fase fallica. La sua concezione dei fantasmi inconsci, che preesistono a qualsiasi esperienza, rende inutile interrogarsi sull’inizio di situazioni che sono coestese alla vita stessa. Nel patrimonio istintuale del neonato è compresa una rappresentazione arcaica della coppia parentale.8 Si tratta di una figura in cui il contenitore è femminile e possiede dentro di sé il padre, il pene, il seno, i bambini. Successivamente si differenzia in una coppia strettamente unita in uno scambio di gratificazioni orali, anali, uretrali, genitali. Di fronte al sentimento penoso della sua esclusione, il piccolo reagisce aggredendo i rivali con tutti i contenuti del suo corpo (sputo, urina, feci, intensità dello sguardo), mordendo, graffiando, calpestando. Si tratta, naturalmente, di una fantasia di onnipotenza volta ad annientare la coppia parentale che, così neutralizzata, viene introiettata e sentita come parte del proprio mondo interiore. Questi stadi precoci dell’Edipo emergono nei giochi dei bambini più disturbati o nei sogni degli psicotici in analisi. Ma essi informano anche la favola, il mito, la superstizione. Basta pensare alla Medusa, simbolo della madre fallica o al malocchio, fantasia di uccidere tramite lo sguardo.

     Inizialmente il conflitto edipico è dominato dalla organizzazione orale della libido ma, progressivamente, si ristruttura secondo le modalità tipiche delle fasi successive. Inoltre entrambi i sessi provano, nei confronti dei genitori, desideri omo ed eterosessuali, a seconda che la libido assuma forma attiva o passiva, che si rivolga al padre o alla madre. Si può dire che ogni vertice del triangolo edipico possiede equiprobabilità di amore e di odio. Sarebbe troppo complesso ricostruire qui tutte le combinazioni che si realizzano. Il bambino può assumere ciascun genitore come proprio oggetto d’amore o identificarsi in lui.

     Vi è infine una alternanza di invidia distruttiva e di gratitudine che finisce con il prevalere dei processi riparativi. A un certo punto, il bambino scinde la coppia parentale nei suoi due componenti e si atteggia in modo diverso a seconda della sua identità sessuale che, progressivamente, si definisce. Inizia così l’Edipo descritto da Freud nel modello di amore per il genitore di sesso opposto e rivalità per il genitore dello stesso sesso. In ogni caso, accanto alla forma dominante persistono tracce del suo contrario, dell’Edipo negativo.

     Superando il conflitto edipico, il bambino impara a rinunciare alla onnipotenza fantastica, rimuove gli impulsi omosessuali a vantaggio di quelli eterosessuali, fa prevalere la gratitudine restitutiva sull’invidia distruttiva. Ma anche in questo caso nulla va perduto e l’organizzazione sessuale adulta reca in sé tracce di tutte le precedenti vicende libidiche.

     Il Super-io è fatto anche delle figure parentali introiettate, degli impulsi di amore e di odio che esse hanno destato e che possono ritornare nella forma della persecuzione. È perciò importante che il bambino impari a distinguere tra realtà esterna e realtà interna. A questo punto infatti muta il rapporto con gli oggetti: scissione e proiezione (con i loro effetti di persecuzione e idealizzazione) lasciano il posto a una discriminazione più obiettiva, il bambino riconosce l’interdipendenza e l’ambivalenza di ogni rapporto affettivo. Nello stesso tempo la produzione simbolica si stacca dalle componenti emotive che la deformavano e diviene efficace strumento di comunicazione.

     M. Klein ha formulato una teoria dei rapporti tra le angosce dell’inconscio e i processi intellettuali che prelude al modello di pensiero di Bion. Se il bambino non ha elaborato gli oggetti primitivi interni, essi interferiscono sulla coscienza inibendo ogni introspezione. Se prevale invece la proiezione, gli oggetti reali appaiono riflessi del mondo e delle imago interne e destano angosce persecutorie che precludono la curiosità e l’esplorazione. L’Io si sente schiacciato dall’oppressione del Super-io da una parte, dagli aspetti esterni dall’altra. «Le progressive eliminazioni delle inibizioni intellettive sono determinate dalla misura in cui si riesce a ottenere una riduzione del sadismo, dell’angoscia e dell’attività del Super-io, una riduzione che fa acquisire all’Io una base più ampia su cui funzionare.»

     È molto importante, in questo senso, che il bambino possa trovare risposte soddisfacenti alle proprie curiosità sessuali. Non si tratta tanto di informazione, quanto di formazione perché il sapere sulla sessualità coinvolge tutta la scena inconscia e le dinamiche affettive a essa connesse.



Bibliografia


Vegetti Finzi, S., Storia della psicoanalisi. Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori, Milano, 1986

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