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Melanie Klein: la funzione del gioco infantile




Quando Melanie Kleina fa il suo ingresso sulla scena psicoanalitica, all’inizio degli anni Venti, Freud ha elaborato la sua definitiva proposta teorica: dualità delle pulsioni di vita e di morte (Al di là del principio di piacere, 1920) e seconda topica (L’Io e l’Es, 1922). Solo Melanie Klein lo seguirà in questa direzione. Ma essa, a differenza di Freud, non concepisce gli istinti di vita e di morte soltanto come principi organizzativi dell’organismo biologico, ma in riferimento all’odio e all’amore, che sono fenomeni mentali.

     Oltre a Freud, suoi maestri saranno Ferenczi, dal quale mediò soprattutto il concetto di introiezione, e Abraham, che aveva analizzato le fasi pregenitali dello sviluppo e in particolare la fase orale. Già Ferenczi, negli anni di Budapest, l’aveva incoraggiata a dedicarsi all’analisi infantile sì che Melanie Klein giunse a Londra nel 1925 con una tecnica già perfezionata. Sappiamo che la sua posizione fu duramente avversata da Anna Freud in una pluriennale controversia che divise, nonostante i tentativi di mediazione di Jones, tutte le società di psicoanalisi. Eppure Jones, il paladino della ortodossia, non ha dubbi a questo proposito: Melanie Klein si situa legittimamente nella linea di discendenza da Freud. Ma, ancora di più: «Spetta a lei il merito di aver portato la psicoanalisi nel luogo che fondamentalmente le compete, il cuore del bambino». Tuttavia si è ora concordi nel ritenere che Melanie Klein abbia operato un rivoluzionario cambiamento di paradigma scientifico.1 Mentre Freud aveva descritto l’economia dell’inconscio come dinamica pulsionale, Melanie Klein organizza la vita psichica intorno al rapporto con l’oggetto, privilegiando l’asse relazionale rispetto a quello intrapsichico. Inoltre, mentre l’edificio freudiano poggiava sul concetto di rimozione, quello kleiniano si fonda sui concetti di scissione e di identificazione introiettiva e proiettiva.

     Ma prima che si chiariscano i termini teorici del dissenso è il modo stesso con il quale la Klein procede nella sua indagine che fa problema. Come abbiamo già osservato, esistono precedenti all’uso di giocattoli nella terapia infantile, ma solo la Klein teorizza che questo non è un surrogato ma esattamente l’analogo delle libere associazioni degli adulti. Il gioco esprime un significato simbolico che può e deve essere interpretato. I processi mentali che accadono nel corso di una seduta analitica con adulti sono i medesimi di quelli che si verificano nel caso di bambini, mutano soltanto le modalità espressive. Scrive in proposito: «Nel gioco i bambini riproducono simbolicamente fantasie, desideri, esperienze. Nel farlo si servono dello stesso linguaggio, della stessa forma di espressione arcaica e filogeneticamente acquisita che ci è ben nota nei sogni».

     Nel corso dell’esperienza onirica le espressioni verbali vengono sostituite da rappresentazioni corrispondenti, i pensieri vengono messi in scena. Lo stesso accade sul setting dell’analisi infantile. Il gioco va inglobato nel comportamento complessivo assunto dal bambino nell’ora di analisi. In particolare si deve tener conto, dice M. Klein, del materiale prodotto che deriva dal maneggio di giocattoli, dalla rappresentazione di ruoli (dove di solito il bambino «fa» l’adulto e l’analista il bambino), dal giocare con l’acqua, dal ritagliare la carta, dal disegno spontaneo. È importante poi il modo con il quale il bambino fa tutto questo, il motivo del passare da una cosa all’altra, i mezzi scelti. Quando questo insieme significativo viene analizzato, così come si fa con i sogni, si rivelano i pensieri sottostanti (contenuto latente) e la loro carica affettiva.

     In questo tipo di analisi è molto importante l’ambiente terapeutico, che deve essere distinto dall’abitazione del bambino, lontano dai genitori, arredato in modo semplice e funzionale e dotato di un lavabo per i giochi con l’acqua. Vengono messi a disposizione del bambino molti piccoli giocattoli, pupazzi che rappresentano età e ruoli diversi, macchine e trenini non meccanici, oggetti di uso quotidiano. Ogni bambino chiuderà in un cassetto personale i suoi giocattoli in modo da riprendere, nella seduta successiva, il corso delle associazioni precedentemente elaborate. Anche qui, come per Freud, nulla è casuale ma tutto è surdeterminato da motivazioni inconsce. L’interpretazione dell’analista prende in esame nello stesso tempo i contenuti dell’inconscio infantile e le sue difese, centrandoli sul rapporto di transfert che può essere positivo o negativo. M. Klein non ritiene però opportuno un periodo preparatorio perché pensa che l’angoscia e il senso di colpa che attanagliano il bambino nevrotico corrispondano (così come per l’adulto) a una implicita richiesta di aiuto.

     L’interpretazione, che giunge il più precocemente possibile, fa sperimentare al bambino una modalità di abreazione dei contenuti dell’inconscio in quanto una rappresentazione penosa, una volta tradotta in parole, diminuisce le resistenze e permette una accettazione della pulsione corrispondente. Il bambino sente che è possibile, ad esempio, fantasticare di distruggere la mamma senza che questo accada veramente, senza che i sensi di colpa lo travolgano. La realtà psichica acquista una sua autonomia. Si rendono pensabili desideri prima rimossi e le energie preposte alla censura vengono rimesse in circolo, rafforzando il debole Io infantile. Non è necessario che il piccolo paziente accolga e rielabori consapevolmente le interpretazioni che gli vengono proposte. Esse possono giungere direttamente al suo inconscio. Sarà l’accresciuta produttività o la diminuzione dell’angoscia a dimostrare che il messaggio è stato recepito e che l’economia psichica ne è rimasta modificata.



Bibliografia


Vegetti Finzi, S., Storia della psicoanalisi. Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori, Milano, 1986

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