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Libido




Il termine latino libido, "desiderio", è usato in psicoanalisi con accezioni diverse: in Freud, indica una forma di energia vitale che rappresenta l'aspetto psichico della pulsione sessuale, suscettibile di venire investita, ossia diretta, verso sé stessi o un oggetto esterno; in Jung, assume significato più ampio, presentandosi come energia psichica in generale, come impulso non inibito da istanze morali o d'altro genere, che comprende sia la sessualità sia altri bisogni, appetiti, affetti.

I. INVESTIMENTI DELLA LIBIDO

Il concetto di libido come forza vitale, spinta desiderante, benché molto antico, acquista solamente nel modello freudiano una compiuta elaborazione. Esso indica un'energia psicofisica, quantificabile ma non misurabile, composta di impulsi amorosi e ostili, che ciascuno ha in dotazione dalla nascita e che poi amministra in modi diversi. Sulla modalità di investire il proprio patrimonio energetico concorrono sia elementi congeniti (temperamento), sia determinazioni ambientali e vicende biografiche. La libido non ha sesso ma, in quanto attiva, viene da Freud considerata maschile: "La realizzazione della meta biologica è infatti affidata all'aggressività dell'uomo e resa entro certi limiti indipendente dal consenso della donna" (Freud 1933, trad. it., p. 237).

Teoricamente, la nozione di libido serve a mantenere un substrato unitario nonostante le continue dicotomie e frammentazioni mediante le quali Freud delinea lo sviluppo e il funzionamento dell'apparato psichico. In essa convergono concezioni biologiche e psicologiche, si intrecciano dimensioni filogenetiche e ontogenetiche. L'elaborazione procede attraverso diverse e talora inconciliabili ipotesi, ma ciò che Freud considera irrinunciabile è il carattere sessuale della libido. La sua intransigenza gli valse la rottura con J. Breuer, con il quale aveva scritto Studi sull'isteria (1892-95), e due gravi scismi all'interno del movimento psicoanalitico, con A. Adler e C.G. Jung (Vegetti Finzi 1986). Questi ultimi sostenevano l'esistenza di un'unica energia generale, dalla quale si distacca poi un'energia sessuale. Anche Freud giungerà ad ammettere una desessualizzazione della libido ma solo, e mai completamente, come risultato di complessi processi psichici. Innanzitutto, nessuna società umana può consentire agli individui di esprimere spontaneamente, in modo libero e incondizionato, i propri impulsi libidici, né è sufficiente un apparato di contenzione esterna. Occorre che, all'interno di ciascuno, una parte della libido sia utilizzata in funzione antipulsionale, per contenere ed elaborare quelle energie sessuali e aggressive che, se lasciate a sé stesse, potrebbero distruggere la convivenza comune. Ne consegue un inevitabile conflitto psichico, uno stato di infelicità nevrotica che Freud considera inseparabile dalla condizione umana. Ma, oltre alla sicurezza collettiva, il processo di civilizzazione richiede una sempre più complessa elaborazione culturale. Parte della libido sessuale deve essere pertanto distolta dalla sua meta specifica, l'accoppiamento, per rivolgersi al conseguimento di scopi socialmente utili e culturalmente valorizzati. A tal fine la libido muta di oggetto e di scopo e diviene capace di tollerare, rispetto all'urgenza del desiderio, la dilazione della soddisfazione.

Nella creazione artistica, nelle attività intellettuali, nei progetti che trascendono l'individuo, la libido si allontana dalle fonti corporee, si neutralizza, pur conservando le sue radici pulsionali. Tale processo, cui Freud dà il nome di sublimazione, richiede che parte delle energie sia sottratta agli oggetti sessuali, riversata su di sé (narcisismo secondario) e poi riproiettata su oggetti ideali. A. Freud (1936) lo considera una difesa dall'ansia, mentre per la psicologia dell'Io, rappresentata da H. Hartmann, E. Kris e R.M. Loewenstein (Vegetti Finzi 1986), l'evoluzione psichica giunge a desessualizzare parte della libido e a usarla in un'area psichica completamente libera da conflitti. Nell'ambito della psicologia individuale, Freud distingue tra pulsioni dell'Io, volte alla sopravvivenza dell'individuo, e pulsioni sessuali, rivolte all'oggetto e finalizzate alla continuazione della specie. Le prime si manifestano sotto forma di interesse e solo le seconde si esplicitano sotto forma di libido. Successivamente, però, Freud giunge a riconoscere che esistono pulsioni sessuali riflessive, che si rivolgono all'Io stesso o meglio al proprio corpo. In Introduzione al narcisismo scrive: "Il termine narcisismo [...] designa il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui è solitamente trattato il corpo di un oggetto sessuale" (Freud 1914, trad. it., p. 443). In quest'opera egli utilizza il concetto di libido per differenziare il diverso modo di operare il distacco dalla realtà nel nevrotico e nello psicotico. Nel nevrotico la libido distolta dagli oggetti reali è rivolta a oggetti fantastici, ma rimane oggettuale (a un tale processo si adatta bene l'espressione di Jung, 'introversione della libido'), invece nello psicotico, in special modo nello schizofrenico, la libido si ritira sull'Io stesso, ripristinando la condizione della prima infanzia e sviluppando l'onnipotenza del pensiero.

Le principali condizioni che provocano il ritiro della libido dagli oggetti sono il sonno, la malattia, la vecchiaia. Nell'ipocondria l'eccessivo investimento di libido su un singolo organo provoca un intenso eccitamento percepito come dolore (bisogna ricordare che secondo un postulato dell'energetica freudiana l'accumulo di energia suscita sensazioni dolorose, mentre il rilassamento induce benessere; Freud 1895). Adottando una visione biologica, Freud estende poi il concetto di libido a tutti gli organismi e, in particolare, al funzionamento della singola cellula vivente. Giunge così a teorizzare un'altra più fondamentale dicotomia, quella tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, tra Eros e Thanatos, come origine dell'esistenza di ogni organismo (Freud 1920). Nel momento stesso in cui sorge, ogni organismo sarebbe spinto a ripristinare lo stato inorganico precedente. Ma a tale silenziosa regressione si oppongono le pulsioni di conservazione. Mentre Eros tende a unire, a creare sempre nuove unità, Thanatos divide, e tutta la vita si svolge come connessione di queste due forze cosmiche.

2. LIBIDO E PULSIONE

Per comprendere la funzione della libido nell'apparato psichico, dobbiamo collegarla con quella della pulsione. La pulsione è una spinta (Trieb) che fa tendere l'organismo a una meta. Secondo Freud, una pulsione ha la sua fonte in un eccitamento somatico, la sua meta nel sopprimere tale tensione, il suo oggetto nel mezzo che permette il raggiungimento del fine. La carica energetica che alimenta l'intero processo è la libido. La pulsione tende spontaneamente al piacere e solo l'impossibilità di raggiungere l'appagamento qui e ora ('principio di piacere') la sottomette alle mediazioni del 'principio di realtà'.

Poiché l'Es è il serbatoio delle pulsioni, si deve ritenere che tutta la libido vi sia originariamente contenuta e che soltanto progressivamente investa le nuove funzioni dell'apparato psichico (Freud 1923). Intorno agli spostamenti della libido nelle varie zone del corpo Freud organizza, nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), lo sviluppo infantile. Le diverse fasi, che costituiscono nel loro succedersi il processo di umanizzazione del cucciolo dell'uomo, si caratterizzano in base al primato di una zona erogena e di un modo particolare di relazionarsi all'oggetto. Inizialmente, nella fase orale, la libido si concentra intorno alla bocca del neonato e la pulsione sessuale si soddisfa appoggiandosi alla funzione vitale dell'alimentazione. Progressivamente però se ne separa e il piacere viene perseguito per sé stesso, quando, per es., il bambino si succhia il dito. È questa la prima esperienza di soddisfazione e conserva pertanto per tutta la vita un valore emblematico. La ritroviamo infatti nel piacere di mangiare, di baciare, di fumare, mentre alcune metafore, come "ti mangerei di baci", rinviano appunto al persistere di fantasie orali anche da adulti. In questa fase, l'oggetto tramite il quale il neonato raggiunge la soddisfazione è il seno materno o il suo sostituto (biberon). Si tratta di un oggetto parziale che il bambino vive come staccato dal corpo della madre. Il modo con il quale la libido investe l'oggetto è prevalentemente incorporativo: il piccolo cerca di mettere dentro di sé non soltanto il latte ma anche la fonte che lo produce. Inizia così il fondamentale processo di introiezione, secondo il quale si cerca di controllare e possedere, 'ingoiandolo', tutto ciò che è buono. K. Abraham (1924) ha individuato, dopo la modalità incorporativa dell'oggetto, anche una modalità aggressiva di tipo sadico. Essa sorge al momento della dentizione, quando il lattante, mordendo il seno materno, tenta di distruggerlo. Poiché teme che le sue pulsioni aggressive provochino la ritorsione della madre, sperimenta nello stesso tempo la prima paura, quella di essere mangiato: paura che le fiabe rappresentano con straordinaria efficacia. Questa fase dello sviluppo infantile è stata analizzata con particolare profondità da M. Klein (1935) che, parlando di posizioni anziché di fasi, ne sottolinea il carattere strutturale a scapito di quello evolutivo. In ogni caso, nel corso dell'allattamento, viene sperimentata la modalità fondamentale con la quale ci rivolgiamo agli oggetti: introiettare ciò che è buono, farne una parte di sé (identificazione), espellere ciò che è cattivo, attribuirlo al mondo esterno (proiezione). Ciò vale anche per gli stati d'animo, ossia per le tensioni e le emozioni inelaborate che vengono poste fuori di sé sotto forma di sintomi.

Per W. Bion (1962), i sintomi sono libido grezza, priva di rappresentazione mentale corrispondente. Il neonato la esprime in modo inarticolato, piangendo e divincolandosi. Sarà poi la madre ad assumere dentro di sé questi pezzi di energia informe, a metabolizzarli durante uno stato intermedio tra la veglia e il sonno e a restituirli al figlio sotto forma di esperienze vivibili e comunicabili. Il modello di Bion è particolarmente importante perché mostra quanto sia fondamentale, nello sviluppo umano, la dimensione relazionale, la condivisione delle energie libidiche. La maturazione organica stessa provoca i successivi spostamenti della libido infantile, che avvengono in corrispondenza di momenti di fondamentale relazione con l'altro. Dalla zona orale, dove convergono lo sforzo vitale del lattante e l'attenzione della nutrice, la libido si concentra successivamente (benché non completamente) sulla zona anale, sollecitata dall'attenzione degli adulti impegnati nell'educazione sfinterica del bambino. Con premi e minacce si richiedono a quest'ultimo due comportamenti contraddittori: trattenere ed espellere le feci. In tal modo, il piccolo si trova confrontato per la prima volta con un oggetto ambivalente, buono quando deve tenerlo dentro di sé, cattivo quando deve spingerlo fuori e nasconderlo alla vista stessa. Ed è proprio nel momento dell'espulsione che, tramite la sollecitazione delle mucose anali, la libido si trasforma in piacere. Un piacere che viene negato insieme al suo intollerabile oggetto. Poiché l'educazione al controllo sfinterico avviene verso i 2 anni, quando lo sviluppo muscolare svolge una funzione centrale nella percezione di sé, le sue modalità influenzano fortemente la costituzione della personalità. Un'educazione al controllo sfinterico prematura, rigida e punitiva favorisce il sorgere di una personalità sadica, che cerca di realizzare un controllo ossessivo sulla realtà. Verso i 3 anni la libido si concentra sulla zona fallica. Per la bambina si tratta dell'equivalente del fallo, il clitoride. In questa fase le pulsioni precedenti si collocano in posizione secondaria e permarranno anche durante l'età adulta, quando saranno utilizzate durante i preliminari del rapporto sessuale. Mentre precedentemente la libido sessuale raggiungeva la soddisfazione tramite oggetti parziali (il seno e le feci), la libido fallica si rivolge a un oggetto totale: il genitore di sesso opposto. La fase fallica, che va dai 3 ai 6 anni, corrisponde al periodo edipico (v. complesso), quando il bambino ama di un amore passionale la madre e la bambina il padre. Si tratta di una prima fase della sessualità che si svolge prevalentemente nell'immaginario ed è destinata a scomparire sotto il sipario della rimozione, per cui nulla di quelle intense esperienze sarà poi ricordato nell'età adulta. Il bambino, tuttavia, ha vissuto nella realtà psichica ciò che Sofocle attribuisce a Edipo: amore per la madre e odio per il padre rivale. Passioni impossibili, non solo per l'inadeguatezza del suo corpo, ma anche per il divieto dell'incesto che proibisce alla libido umana di concentrarsi sui suoi primi oggetti d'attaccamento, i genitori appunto. In tal modo s'impone il massimo di lontananza là dove esiste il massimo di vicinanza. Uno scopo è stato però raggiunto, quello di connettere indissolubilmente il desiderio con l'interdetto, di sperimentare il limite che la civiltà umana oppone all'incondizionata soddisfazione della libido. Questa prima, fondamentale rinuncia viene attuata dagli educatori tramite la minaccia dell'evirazione, tanto più spaventosa in quanto, durante la fase fallica, il bambino ha concentrato la sua libido sui genitali. In questo periodo la zona libidica è già quella adulta ma la differenza consiste, secondo Freud, nel fatto che i bambini e le bambine, finché sono sessualmente immaturi, non conoscono che un solo sesso, quello maschile. Per entrambi l'identità sessuale è organizzata intorno al fallo, per cui si tratta di averlo, per i maschietti, di ritenersi castrate, per le bambine. La concentrazione della libido sul fallo induce quella paura di castrazione in cui Freud riconosce il prototipo di ogni ulteriore forma di angoscia. Poiché non si può essere privati di ciò che non si ha, l'equivalente consiste per le donne nel timore di perdere l'amore.

Verso i 7 anni d'età la vicenda edipica scompare, coperta da una profonda amnesia, con la stessa naturale puntualità con cui a un certo punto, dice Freud, cadono i denti di latte (Freud 1924). La libido, distolta dai genitori, viene rimessa dentro di sé (narcisismo secondario). Si tratta però di una libido che ha assunto la forma dei suoi oggetti per cui l'Io, multiplo, diviene un precipitato dei suoi investimenti oggettuali. La fase successiva (dai 7 ai 10 anni) è detta di 'latenza' perché la libido appare come sopita e le pulsioni erotiche sospese. Non a caso, questo periodo viene utilizzato, in ogni società, per i fondamentali processi di acculturazione delle nuove generazioni. Infine l'ultima fase, ovvero quella della genitalità, corrisponde al riconoscimento della differenza e della specificità sessuale. La libido, definitivamente concentrata sulla zona genitale ‒ e cioè il fallo per i maschi, la vagina per le femmine ‒ si indirizza a un partner eterosessuale esterno alla cerchia familiare (esogamia). Tuttavia le fissazioni precedenti, nelle zone orale e fallica, non scompaiono completamente. Esse predominano nelle perversioni e rimangono, sebbene in posizione secondaria, anche nei rapporti cosiddetti normali.

Oltre alle zone erotiche fondamentali, la libido può distendersi sull'intera superficie corporea (come accade per la sessualità femminile), oppure concentrarsi in qualsiasi altra parte. Investita sugli occhi, sullo sguardo, anima le spinte scopiche che possono soddisfarsi nell'immediatezza del voyeurismo perverso, oppure sublimarsi nelle conoscenze più elevate. Benché nei nevrotici la fissazione in determinate fasi sia particolarmente vischiosa, nei momenti di difficoltà la libido può sempre retrocedere nelle zone dove aveva lasciato, per eccesso di frustrazioni o di gratificazioni, parte delle sue energie. Essa si comporta infatti come le popolazioni nomadi del deserto che, per sfuggire al pericolo, ritornano sui propri passi accampandosi là dove possono ritrovare postazioni precedenti. Come si è visto per la fase anale, ogni carattere è contraddistinto da una particolare dislocazione della libido. La quantità, la qualità e la modalità con cui vengono utilizzate le energie in dotazione costituiscono lo stile proprio di ogni personalità. Vi è tuttavia un modello generale che orienta la diagnosi, la terapia e la profilassi psicoanalitiche.

Nell'organismo equilibrato la libido è fluida ma non anarchica, ben ripartita tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, tra amore di sé e amore dell'altro. Organizzata sotto il primato della genitalità, è tuttavia capace di regredire a zone somatiche e forme precedenti di organizzazione, nonché di animare una molteplicità di meccanismi difensivi, dal più elementare, la rimozione, al più complesso, la sublimazione. L'importante è che non reagisca coattivamente, adottando nelle diverse situazioni un'unica, ripetitiva, modalità di adattamento. La persona matura è quella in grado di utilizzare tutte le sue risorse, spostando le cariche libidiche a seconda delle prestazioni richieste. È capace di amare, lavorare, giocare, fantasticare e creare: attività che più di altre rappresentano il compimento della vita umana.






Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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