Home


Alexander Lurija




LURIJA ALEXANDER R., n. a Kazan nel 1902, m. il 14 agosto 1977. Esponente di spicco, insieme a L.S. Vygotskij e A.N. Leontjev, della scuola storico-culturale. Si laurea all’Università di Kazan alla Facoltà di Scienze Sociali. È promotore, nonché segretario, della Scuola Psicoanalitica di Kazan (seconda, in ordine di tempo, a quella di Mosca) e scrive articoli, negli anni che vanno dal 1922 al 1927, per l’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse. In seguito, a partire dal 1927, si allontana gradualmente dalla psicoanalisi, fatto questo cui forse non è estraneo l’incontro con la psicologia della Gestalt (alcuni esponenti della quale, in particolare K. Koffka e K. Lewin, egli ha modo di conoscere di persona). Lavora, a partire dal 1923, all’Istituto di Psicologia di Mosca con L.S. Vygotskij e A.N. Leontjev. Nel 1930 pubblica, in collaborazione con Vygotskij, gli Studi sulla storia del comportamento. Nel 1937 si laurea in Medicina all’Università di Mosca. Durante la seconda guerra mondiale svolge attività di medico sul fronte russo e si dedica allo studio delle lesioni cerebrali e dei loro effetti. Dirige, sempre a Mosca, il Laboratorio di Neuropsicologia e insegna al Dipartimento di Psicologia. L. può essere considerato il fondatore della neuropsicologia ed è, dopo I.P. Pavlov, il più noto degli psicologi sovietici del Novecento. Numerosi suoi scritti sono tradotti in Occidente. Ampio lo spettro dei suoi interessi: psicoanalisi, psicologia dell’età evolutiva, relazioni esistenti tra lesioni cerebrali e processi psicologici, funzione regolatrice del linguaggio sul comportamento, funzioni corticali superiori, memoria. Il nome di L. è legato, in particolar modo, alla fondazione della disciplina nota con il nome di neuropsicologia, termine con cui egli intende l’analisi delle basi erebrali dell’attività psichica dell’uomo. Si tratta di applicare metodi psicologici allo studio dell’organizzazione funzionale del cervello, a partire dall’analisi delle modificazioni comportamentali dovute a lesioni cerebrali localizzate. Uno dei principali obiettivi della neuropsicologia è di pervenire all’individuazione della struttura interna dei processi psicologici. Fondamentale, in questa ottica, è il concetto di "sistema funzionale". I sistemi funzionali, che A. A. Uchtomskij chiama "organi funzionali" e di cui si sono occupati in psicologia L. S. Vygotskij e in fisiologia P. K. Anochin, sono neoformazioni ontogenetiche che funzionano allo stesso modo dei normali organi, cioè di quelli dotati di costanza morfologica. Essi operano come se fossero un unico organo e possono avere una struttura diversa (variante) pur rispondendo allo stesso scopo (invariante). L. distingue tre sistemi o unità funzionali: l’unità che presiede alla regolazione del tono e della veglia (dipendente dal tronco encefalico superiore, dalla formazione reticolare e da parte del sistema limbico), l’unità che presiede alla registrazione, all’analisi e alla memorizzazione delle informazioni (dipendente dalle aree temporali, occipitali e parietali della corteccia cerebrale), l’unità che presiede alla programmazione, al controllo e alla regolazione del comportamento (dipendente dalle aree frontali della corteccia cerebrale). Dall’azione concertata di queste tre unità funzionali dipende ogni comportamento e ogni attività mentale dell’uomo. Ciò porta, inevitabilmente, a una revisione delle nozioni di "sintomo" e "localizzazione". Se l’attività mentale è un sistema funzionale complesso, tale da implicare la mobile sinergia di un gruppo di diverse aree corticali in vista del conseguimento di un risultato costante (invariante), una lesione in una di queste aree può condurre alla disintegrazione dell’intero sistema funzionale. Ciò significa che il sintomo non può rivelarci la sua localizzazione. Se i processi psichici sono sistemi funzionali, inoltre, perde ogni significato il tentativo di volerli localizzare in aree delimitate del cervello. Ciò è appunto reso vano dal fatto che i sistemi funzionali sono "dislocati" sulla superficie del cervello e, quindi, le aree di loro appartenenza possono trovarsi distanti le une dalle altre. Per quanto riguarda il linguaggio, L. non condivide l’ipotesi formulata dalla scuola pavloviana che lo concepisce come insieme di riflessi condizionati, ma sviluppa e sistematizza l’idea mediata da Vygotskij, in base alla quale il linguaggio condiviso dal bambino con l’adulto come forma di comunicazione viene in seguito interiorizzato dal bambino e funge da organizzatore della vita psichica, da programmatore e guida del comportamento. L. ribadisce, in tutti i suoi scritti sull’argomento, l’esistenza di una funzione regolatrice esercitata dal linguaggio nei confronti del comportamento, funzione che egli ritiene definitivamente formata verso i quattro anni e mezzo-cinque anni, in coincidenza dell’avvenuta maturazione dei lobi frontali. Tale funzione regolatrice presuppone, da una parte, l’acquisizione linguistica mediata socialmente e, dall’altra, la maturazione delle funzioni del cervello. L. porta inoltre il proprio interesse di studioso sugli aspetti clinici, cioè sulla relazione tra lesioni cerebrali e linguaggio. Decisiva sotto questo aspetto è l’incidenza della sindrome frontale (derivante da lesioni nei lobi frontali). L’alterazione dei processi verbali, infatti, pregiudica quella funzione regolatrice del comportamento cui presiede il linguaggio. Un soggetto frontoleso, dunque, pur continuando a parlare, perde la possibilità di servirsi del linguaggio per regolare il proprio comportamento. Il danno risulta tanto più grave in quanto è sulla base dell’attività linguistica che si formano e si attuano i processi mentali più elevati. Ne consegue che, stante l’importante ruolo rivestito dalla terza unità funzionale, altre gravi alterazioni conseguono alla sindrome frontale, e coinvolgono la regolazione dell’attivazione, l’attività motoria, la capacità di risolvere problemi. Permanendo fedele a una impostazione di tipo clinico, L. persegue l’obiettivo (che del resto ritiene ancora lontano dall’essere realizzato) di una sintesi tra fisiologia e psicologia. Anche in ciò si rivela degno continuatore e sistematizzatore delle idee e delle intuizioni di L. S. Vygotskij, la cui opera riconosce come decisiva nell’evoluzione della psicologia sovietica e verso il quale non manca, in più di un’occasione, di sottolineare il proprio debito di studioso. In quest’ottica la neuropsicologia può essere intesa anche quale esito privilegiato della scuola storico-culturale. Anche per L., come per Vygotskij, uno dei principi fondamentali della psicologia è l’analisi della formazione storica delle categorie psicologiche. Le categorie fondamentali della psicologia non hanno carattere di universalità e di immutabilità, sia essa naturale o spirituale, ma sono dipendenti dalla storia sociale e mutano a misura dei suoi mutamenti. È inoltre prerogativa specifica del cervello umano, rispetto a quello animale, formare nuovi nodi funzionali tra le singole aree del cervello per l’organizzazione del comportamento. Tutto ciò implica, in ultima analisi, il disegno d’una nuova costruzione della psicologia come scienza storica.

Bibliografia


Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992

Torna agli articoli