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Malinconia
Malinconia
La malinconia, l'antica 'melancolia' (dal greco μελαγχολία, composto di μέλας, "nero", e χολή, "bile") è uno stato d'animo caratterizzato da tristezza e temporaneo affievolimento d'interessi per la realtà immediata e futura. Se il malessere diviene più profondo e pervasivo al punto da compromettere importanti funzioni vitali (sonno, alimentazione, movimento ecc.), esso assume la forma di una vera e propria malattia. Nel suo aspetto clinico il concetto di malinconia è sovrapponibile a quello di depressione endogena (v. depressione).
sommario: La malinconia come stato d'animo e la malinconia clinica. Storia del concetto. □ Bibliografia.
La malinconia come stato d'animo e la malinconia clinica
di Eugenio Borgna
La malinconia è un'esperienza psicologica e umana con la quale ciascuno di noi non può non avere a che fare nel corso della vita. Scrive
Ci sono momenti della vita in cui, al di fuori di ogni avvertibile motivazione, la malinconia galleggia improvvisamente nella nostra anima e dilaga nella nostra interiorità. In una condizione di malinconia, che si costituisce come stato d'animo e non come malattia, ci si sente svuotati di interesse e di iniziativa, e soprattutto non si riesce più a ritrovare la spontaneità e la speranza nella vita. Gli aspetti spiacevoli dell'esistenza, che quando si sta bene si dileguano rapidamente, sono vissuti come dolorosi e insormontabili. Si fa fatica a pensare a quello che ci attende l'indomani e si è risucchiati da uno stato d'animo che si nutre di tristezza e di smarrimento, di ansia e di dolore morale e che è tale da oscurare gli orizzonti della vita, inaridendo gioia e attesa, speranza e fiducia. Il tempo vissuto, il tempo interiore, che non è il tempo cronologico (il tempo obiettivo), non fluisce più spontaneamente e limpidamente, ma tende a rallentare e a disgiungersi nelle tre dimensioni mirabilmente delineate da s. Agostino: la dimensione del presente, quella del passato e quella del futuro. Quest'ultima, in particolare, tende a dissolversi e con essa la speranza, che vive solo del futuro e nel futuro, divorata dalle ombre del passato che crescono e dilagano nella nostra immaginazione e nei nostri vissuti.
La malinconia come stato d'animo è un'esperienza che non può esserci estranea e sconosciuta: nella
Quando la malinconia assume dimensioni psicopatologiche e cliniche, non più confrontabili con quelle della malinconia come stato d'animo, essa viene definita malinconia clinica, per il suo allontanarsi dai modelli normali di esperienza e il suo divenire malattia (Borgna 1999). Nella malinconia clinica la tristezza, che ne costituisce il nocciolo segreto e nascosto, nasce dalle profonde radici dell'essere: al di fuori, cioè, di motivi che ne possano costituire il fondamento. Tuttavia, la cosa più decisiva è costituita dal fatto che la tristezza viene vissuta nella sua dimensione vitale e corporea: come un 'peso', un'acuta sensazione di oppressione localizzata, in genere, al cuore, al torace o all'addome. L'espressione più intensa e straziante di una malinconia clinica si ha quando, a causa di essa, non è più possibile rivivere in sé sentimenti di dolore e di tristezza: non è più possibile cioè essere e sentirsi tristi, non si può piangere, non si hanno più lacrime, nel contesto di una desertificazione emozionale che sembra spegnere ogni emozione e ogni sentimento, non solo gioioso ma appunto anche triste. La vita interiore, insomma, tende a svuotarsi di intenzionalità: non è più portatrice di dialogo e di intersoggettività.
Come conseguenza di questa (anche se temporanea) attenuazione e, talora, cancellazione di una vita emozionale, si ha l'insorgenza di un emblematico fenomeno psichico che è chiamato estraneità, nel senso che le persone, le cose e le situazioni perdono la loro abituale conoscibilità e la loro scontata e ovvia familiarità. Si capisce, allora, come mai in una malinconia clinica i volti delle persone care non siano vissuti nella loro connotazione propria e familiare, ma piuttosto nella loro irrealtà.
Altri sintomi della malinconia clinica sono quelli che riguardano l'inibizione, e cioè la compromissione dell'iniziativa. I pazienti, la mattina in particolare, si sentono incapaci di svolgere i loro compiti quotidiani e abituali, il loro lavoro e le loro incombenze di lettura e di svago. E, ancora, si osservano paradigmatici disturbi del sonno. Si ha un'insonnia, non di rado ostinata e farmacoresistente, che presenta un andamento
In ogni malinconia clinica la disperazione e il taedium vitae assumono una grande significazione psicopatologica e clinica e stanno a fondamento del rischio della morte volontaria, del suicidio, che è, in particolare, possibile nel momento in cui la malinconia sta nascendo con la scia di angoscia che le si accompagna, e nel momento in cui essa sta guarendo: persistendo ancora la tristezza e attenuandosi l'inibizione, il suicidio si fa meta desiderata e fatale. In conclusione, la malinconia come stato d'animo sconfina talora in quella causata da ragioni psicologiche e umane, come la perdita di una persona cara, ma non ha nulla a che fare con la malinconia clinica: soltanto a questa deve essere attribuita la connotazione di malattia in senso sintomatologico e clinico. Questo tipo di patologia si cura e si guarisce con la somministrazione farmacoterapeutica che è, in ogni caso, necessaria, sia pure nel contesto di un'attitudine psicoterapeutica e umana fatta di ascolto e di immedesimazione da parte del medico; gli psicofarmaci antidepressivi, quelli di 'nuova generazione' e quelli (i triciclici) di più lontana circolazione in psichiatria, hanno diverse modalità di azione e diverse applicazioni cliniche a seconda della configurazione sintomatologica della malattia, ma sono, gli uni e gli altri, strumenti terapeutici della massima importanza. La malinconia causata da ragioni esistenziali e da motivazioni ambientali (interpersonali) ha, invece, bisogno soprattutto di relazioni di aiuto e di psicoterapia; nei suoi confronti la somministrazione di blande dosi di psicofarmaci antidepressivi assume una funzione terapeutica subalterna.
Storia del concetto
di Bruno Callieri, Anita Sama
Nell'antica medicina classica, fondata sulla teoria degli umori di Ippocrate (5°-4° secolo a.C.), la melancolia, la 'bile nera', detta anche atrabile (dal latino atra bilis), era uno dei quattro umori corporei e aveva origine nella milza; gli altri, il sangue, la bile gialla e la flemma, si trovavano rispettivamente nel cuore, nel fegato e nel cervello. Dalla buona o cattiva armonia di questi umori dipendeva la salute o la malattia. La melancolia, dunque, nasce in
Il Problema XXX, attribuito ad Aristotele, ma derivato, più probabilmente, da un rimaneggiamento del trattato di Teofrasto, deve la sua importanza storica a una tesi forte: tutti gli uomini eccezionali sono melanconici. Dunque la melancolia, pur essendo una malattia, è anche un ἦθος, una delle condizioni del genio. Alla melancolia si attribuivano comunque vari disturbi psicologici che l'attuale psichiatria collocherebbe in differenti contesti patologici, come la depressione endogena, la depressione reattiva, le psicosi epilettiche e altre forme abnormi. Dato che le cause della malattia erano attribuite al prevalere della bile nera, i rimedi prescritti erano conseguenti: espellere l'eccesso dell'umore tossico e attuare una dieta priva di cibi di colore nero e di sapore acre. Per depurare l'organismo, si ricorreva a medicamenti fortemente evacuativi, come l'elleboro, estratto dalla radice di Elleborus niger, una pianta appartenente alle Ranuncolacee, che provocava forti diarree, vomiti e qualche esito emorragico per l'irritazione delle mucose intestinali. In questo caso le feci nere rassicuravano il medico della buona riuscita del trattamento. Per eliminare l'eccesso patogeno dell'umore, si utilizzavano anche i cosiddetti metodi revulsivi: le sanguisughe, i salassi, le ventose o sostanze irritanti della pelle. Altre cure più 'dolci' consistevano in manipolazioni corporee, massaggi, frizioni con oli ed essenze profumate, al fine di suscitare la reattività del melancolico e di risvegliarne la sensibilità. Quando queste cure fallivano, o quando il malato si trovava in preda a forte agitazione o a mania furiosa, si ricorreva alle docce fredde o a un vero e proprio shock, suscitandogli un'improvvisa e intensa paura, al fine di scuoterlo, di liberarlo dalla sua follia e riportarlo alla realtà; per i più riottosi si faceva uso delle percosse e delle catene. Per i malati meno gravi, invece, si prescrivevano viaggi, distrazioni, musica e teatro, come attestano, nel 1° secolo d.C.,
Nella cultura cristiana medievale la malattia depressiva venne intesa come morbus animae, indifferenza, inerzia spirituale, accidia, e la rinuncia al linguaggio, alla volontà, all'istinto vitale e, soprattutto, alla salvezza fu considerata un peccato mortale, sì che Dante collocò gli accidiosi in un girone dell'Inferno. La malattia colpiva, in modo particolare, monaci, anacoreti, persone dalla vita solitaria e reclusa ed era attribuita all'influenza del 'demone meridiano' o, a volte, al peccato originale (Hildegard von Bingen, 11°-12°secolo). I rimedi, ereditati dalla tradizione, erano complicati da procedure magiche e da calcoli astrologici: per es., i salassi venivano praticati dopo aver consultato gli astri. La psichiatria medievale era intrisa di demonologia e, mentre i medici si occupavano delle cure fisiche, i teologi discettavano delle 'malattie dell'anima'. Comunque, prima del 14°secolo, anche considerando le malattie mentali nei termini demonologici allora prevalenti, si consigliavano anche metodi di cura razionali: per es., bagni, unguenti, diete, moderato esercizio fisico ecc., come si legge negli aforismi e precetti della Scuola salernitana. I temi della dannazione e della salvezza continuarono a influenzare l'atteggiamento verso i malinconici fino a tutto il 17° secolo; i rimedi per contrastare la malattia erano la lotta contro l'ozio,
Nell'astrologia sono riproposti antichi miti, il dio e l'astro si confondono e influiscono sulla natura e sul carattere degli uomini nati sotto il loro segno. I trattati di fisiognomia e di astrologia svolgono i principi di una 'semeiotica del melanconico', in cui il saturnino è il più sfortunato degli uomini, il più pesantemente carico di tare morali e psicologiche. Per i neoplatonici rinascimentali, tuttavia, Saturno, accanto alla follia e all''abbattimento' (depressione), favorisce le qualità intellettuali. La tradizione iconografica (si pensi, per es., alla Melancolia di
La malattia mentale poteva essere curata, ma il trattamento terapeutico, definito da Pinel 'trattamento morale', doveva essere praticato dopo un'accurata anamnesi del paziente. Esso consisteva nel suscitare passioni nel malato al fine di contrastarne lo stato morboso e di realizzarne uno più sano. Si passava da un atteggiamento di forte indulgenza a quello opposto di grande durezza, a volte di brutalità. Altre tecniche impiegate erano quelle dell'inganno, delle docce gelate e della sonda gastrica per chi si rifiutava a lungo di mangiare; questi trattamenti, tuttavia, successivamente entrati nella pratica manicomiale, erano applicati solo come estremi rimedi. Quello dell'inganno era un espediente singolare: il medico fingeva di credere al delirio del paziente, poi lo induceva a un'azione concreta che avrebbe smentito in pieno l'idea morbosa. In seguito, la doccia divenne il trattamento elettivo che avrebbe dovuto scuotere il paziente dallo stato morboso e predisporlo a successivi trattamenti. L'allievo di Pinel, J.-É-D. Esquirol, usava degli emetici per i pazienti che credevano, nella loro onnipotenza patologica, di essere sanissimi, allo scopo di convincerli della loro malattia e indurli a farsi curare. Si passò così, nel 19° secolo, a metodi che, per analogia con quelli antichi, definiremmo di 'revulsione morale' (Starobinski 1960).
Una concezione nuova, tuttavia, s'impose, alla metà dell'Ottocento, con il positivismo: quella dell'ereditarietà (come in B.-A. Morel, con la sua teoria della dégénérescence, cioè, della deviazione morbosa della specie), della costituzione congenita e dell'eziologia organica (come nel caso di T.H. Meynert e della sua teoria sull'origine della depressione dovuta a uno scarso afflusso di sangue alle cellule corticali). Alle soglie del 20° secolo emersero nuove tendenze, le quali rovesciarono completamente il punto di vista positivistico. Nella teoria psicoanalitica di
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it