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Malvagio
Malvagio
Ci gridano che la natura umana è essenzialmente perversa, che l'uomo è figlio del demonio e malvagio. Niente di più stupido: perché, caro amico, tu che mi predichi che tutti sono perversi, mi fai capire con ciò che anche tu sei nato tale, che bisogna che io diffidi di te come di una volpe o di un coccodrillo. «Nient'affatto!» mi rispondi. «Io sono rigenerato, non sono né un eretico, né un infedele: di me ci si può fidare.» Ma il resto del genere umano, che è o eretico
o ciò che tu chiami infedele, non sarà dunque che un insieme di mostri: e tutte le volte che ti accadrà di parlare con un luterano o un turco, sarai sicuro che essi ti deruberanno o ti assassineranno: perché sono figli del demonio; sono nati malvagi; l'uno non è rigenerato, l'altro è degenerato.
Sarebbe ben più ragionevole, ben più bello dire agli uomini: «Siete nati tutti buoni; pensate quanto sarebbe orribile corrompere la purezza del vostro essere!» Dovremmo comportarci con il genere umano come ci si comporta con tutti gli uomini presi singolarmente. Se un canonico conduce una vita scandalosa, gli diciamo: «È possibile che voi disonoriate la dignità di canonico?» E così a un magistrato facciamo presente che egli ha l'onore di essere consigliere
del re e che deve dare il buon esempio; diciamo a un soldato, per incoraggiarlo: «Pensa che fai parte del reggimento di
Champagne!» Ad ogni individuo si dovrebbe dire: «Ricordati della tua dignità di uomo.»
E infatti, nonostante tutto, si torna sempre a questo punto: perché cos'altro significa quella frase così frequentemente ripetuta presso tutti i popoli: «Rientra in te stesso!»? Se fossimo figli del demonio, se la nostra origine
fosse criminale, se il nostro sangue fosse composto di un liquido infernale, questa frase: «Rientra in te stesso!» significherebbe: consulta, segui la tua natura diabolica, sii impostore, ladro, assassino: è la legge di tuo padre.
L'uomo non nasce malvagio, lo diventa, come diventa malato. Se dei medici gli si presentano e gli dicono: «Sei nato malato», è certo che essi, qualunque cosa dicano e facciano, non lo guariranno mai se la sua malattia è inerente alla sua natura: son loro, questi ragionatori, i veri malati.
Riunite tutti i bambini del mondo: non vedrete in loro che innocenza, tenerezza e timore; se fossero nati malvagi, malefici, crudeli, ne mostrerebbero qualche segno, come i serpentelli cercano di mordere e i tigrotti di
sbranare. Ma la natura, non avendo dato all'uomo più armi offensive che ai piccioni e ai conigli, non ha potuto dar loro
un istinto che li porti a distruggere.
L'uomo non è dunque nato malvagio. E allora perché tanti uomini sono infetti da questa peste della malvagità?
Perché quelli che si trovano alla loro testa, essendo affetti da tale malattia, la comunicano al resto degli uomini, come una donna colpita dal male che Cristoforo Colombo riportò dall'America ne diffonde il veleno da un capo all'altro dell'Europa. Il primo ambizioso ha corrotto la terra.
Voi mi direte che quel primo mostro ha sviluppato i germi di orgoglio, di rapina, di frode, di crudeltà che sono in tutti gli uomini. Riconosco che, in genere, la maggior parte dei nostri fratelli può acquistare questi difetti; ma
abbiamo forse tutti il tifo, il mal della pietra o la renella, perché tutti vi siamo esposti?
Ci sono interi popoli che non sono malvagi: i cittadini di Filadelfia, i baniani non hanno mai ucciso nessuno; i cinesi, le popolazioni del Tonchino, del Laos, del Siam, dello stesso Giappone da più di cent'anni non conoscono
guerre. E appena ogni dieci anni succede di venire a conoscenza di uno di quegli orrendi delitti che lasciano sbigottita la natura umana, nelle città di Roma, di Venezia, di Parigi, di Londra, di Amsterdam, dove la cupidigia, madre di tutti i delitti, è estrema.
Se gli uomini fossero essenzialmente malvagi, se nascessero tutti soggetti a un essere tanto malefico quanto sventurato, che, per vendicarsi del suo supplizio, ispirasse loro tutti i suoi furori, vedremmo ogni mattina i mariti assassinati dalle mogli e i padri dai loro figli, così come si vedono all'alba delle galline sgozzate da una faina venuta a
suggerne il sangue.
Se c'è un miliardo di uomini sulla terra, ed è già molto, ciò significa, all'incirca, cinquecento milioni di donne che cuciono, filano, nutrono i loro figli, tengono in ordine la loro casa o la loro capanna e sparlano un po' delle loro
vicine. Non vedo quale gran male possano fare sulla terra queste povere innocenti. Su questo numero di abitanti del globo, ci sono almeno duecento milioni di bambini, che certamente non ammazzano né saccheggiano, e circa altrettanti vecchi o malati, che non ne hanno la capacità. Restano tutt'al più cento milioni di giovani robusti e capaci di delitti. Di
questi cento milioni, ce ne sono novanta continuamente occupati a lavorare la terra, tenacemente, perché fornisca loro
cibo e vesti; a costoro non resta molto tempo per commettere il male.
Nei restanti dieci milioni sono comprese le persone oziose e i buontemponi, che vogliono passarsela tranquillamente; gli uomini di talento, dediti alle loro professioni; i magistrati, i sacerdoti, evidentemente interessati a condurre una vita pura, almeno in apparenza. Non resteranno, dunque, che alcuni politici, sia secolari, sia regolari, che
vogliono sempre far tremare il mondo, e alcune migliaia di vagabondi che vendono i loro servigi a questi politici. Ora,
non c'è mai un milione di queste bestie feroci impiegate insieme nello stesso momento; e in questo numero comprendo anche i briganti da strada. Avremo dunque, al massimo, sulla terra, anche nei tempi più disastrosi, un uomo su mille che potrà dirsi malvagio; e non sempre è tale.
C'è, dunque, infinitamente meno male sulla terra di quel che si dica e si creda. Senza dubbio ce n'è ancora troppo: si vedono sventure e delitti orrendi; ma il piacere di lamentarsi e di esagerare è tanto grande che, al minimo graffio, si grida che la terra gronda sangue. Siete stato ingannato? Tutti gli uomini per voi sono spergiuri. Un uomo di
temperamento malinconico che abbia patito un'ingiustizia vede l'universo pieno di dannati, così come un giovane gaudente che, dopo l'opera, va a cena con la sua bella, non pensa affatto che nel mondo esistono anche degli sventurati.
Bibliografia
Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico