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Mare




Il mare è un elemento centrale nella vita dei popoli
mediterranei, che lo considerano sotto un duplice profilo,
venerandolo (Poseidone-Nettuno ne è il dio presso Greci e
Romani) e temendolo allo stesso tempo. La letteratura antica
esprime questa consuetudine e questa ambivalenza già a
partire da Omero, che lo indica, tra l’altro, con l’epiteto di
«divino», ma ne descrive allo stesso tempo la vastità e le
insidie: Odisseo, il naufrago più illustre dell’antichità,
accosta i pericoli delle onde a quelli della guerra (Odissea
5,224 s.). In contesti differenti, viene anche indicato come
infedele (in quanto mutevole e pericoloso: Pittaco in Diogene
Laerzio 1,11) e ingiusto o infido (Properzio 1,15,11 s.;
Ovidio, Amori 2,11,1 s.). Il mare compare di frequente in
relazione alla navigazione e ai venti che lo condizionano,
mettendo a rischio la vita del mercante (v. NAVIGANTE).
Esiste, tra l’altro, una tradizione proverbiale che include il
mare tra i mali che toccano all’uomo, insieme al fuoco e alla
donna (cfr. Tosi 1991, 623 s.).
Nella tradizione esopica si rileva una certa diffidenza
rispetto al mare, che compare come un elemento della
narrazione, generalmente in riferimento a pesci, pescatori o
naufraghi, molto più spesso che come personaggio. I
repentini mutamenti del suo stato ingannano gli uomini:
questa situazione si verifica puntualmente in relazione ai
personaggio del navigante o del naufrago. Non stupisce,
dunque, che, allettato dai possibili guadagni del commercio
e pronto a prendere incautamente il largo, il pastore finisca
per perdere il suo carico a causa di una tempesta: qui il
mare, curiosamente, pare avido di datteri (Esopo 311 Ch.);
ma non lascia scampo nemmeno agli animali che si danno al
commercio (Esopo 250 Ch.). Va ricordato che nel mondo
esopico cielo, terra e mare sono realtà nettamente distinte: il
gabbiano che cerca cibo in acqua finisce per morire (Esopo
193 Ch.), l’alcione perde il suo nido travolto dalle onde (28
Ch.); ma vale anche il contrario: il granchio, pur essendo un
animale marino, va sulla terra ed è pertanto vittima
designata della volpe (Esopo 150 Ch.). Il mare è protagonista
di due sole favole: in una si contrappone ai fiumi che lo
accusano di alterare le loro acque (Sintipa 4); nell’altra
(Esopo 245 Ch.) addossa ai venti la responsabilità del suo
comportamento ambiguo, ora tranquillo ora in tempesta (la
fonte potrebbe essere un distico di Solone, fr. 12 W2, in cui il
mare, che si agita solo a causa dei venti, è descritto come «il
più giusto tra tutti gli elementi naturali»). Questa narrazione
presenta un’anomalia rispetto al codice narrativo della
favola, poiché il mare si trasforma in una donna (la
metamorfosi è tipica piuttosto di altri generi, come il mito o
la fiaba). Probabilmente in questo processo narrativo gioca
un ruolo rilevante la memoria della figura delle Nereidi, le
cinquanta figlie del dio marino Nereo e di Doride, ninfe
protettrici del mar Mediterraneo, pronte a salire in
superficie per assistere i naviganti.






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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