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Mentalizzazione
Mentalizzazione
Il primo a fare un uso professionale di questo termine è stato G. Stanley Hall, uno dei fondatori della psicologia statunitense, nel 1885.
Attualmente Oxford English Dictionary propone due significati di mentalizzare: costruirsi o raffigurarsi nella mente, immaginare o dare una qualità mentale a qualcosa, e sviluppare o coltivare mentalmente o stimolare la mente.
Fonagy definisce la mentalizzazione una forma di attività immaginativa (ciò che gli altri pensano non possiamo conoscerlo ma solo immaginarlo) per lo più preconscia che interpreta i comportamenti umani in termini di stati mentali intenzionali.
La capacità di intendere il Sé come agente mentale non è innata ma si evolve nell'infanzia attraverso il contatto con menti più mature.
La mentalizzazione ha una componente intrapsichica e una interpersonale che consente all'individuo di distinguere tra realtà interna ed esterna, tra equivalenza psichica e far finta, tra processi intrapsichici e comunicazioni interpersonali. Ecco alune definizioni del concetto di mentalizzazione: tenere a mente la mente, considerare gli stati mentali propri e altrui, comprendere i fraintendimenti, vedere se stessi dall'esterno e gli altri dall'interno, attribuire una qualità mentale alle cose o sviluppare una prospettiva mentale.
La mentalizzazione si sviluppa attraverso interazioni reciproche all'interno di un legame interpersonale significativo tra la figura di attaccamento e il bambino. Il Sé psicologico si sviluppa attraverso la percezione del fatto che un'altra persona ci pensa come soggetti dotati di stati mentali.
Intorno ai 9 mesi il bambino sviluppa una cornice di riferimento teleologica, cioè si aspetta che le azioni dell'agente siano razionali e finalizzate a uno scopo. Si tratta di una modalità conoscitiva prementalistica in cui il bambino crede solo a ciò che vede.
Nel secondo anno di vita il bambino comincia a interpretare le azioni degli agenti come derivate da desideri, bisogni e intenzioni. Inizia a formarsi una comprensione implicita delle vere e delle false credenze, si impegna in un gioco immaginativo, acquisisce un linguaggio capace di rappresentare gli stati interni.
Nei primissini anni di vita il mondo esterno e quello interno restano poco separati e permane la cosiddetta equivalenza psichica: gli stati mentali sono equiparati alla realtà. L'equivalenza comporta onnipotenza e onniscienza. Considerare reale una fantasia comporta la paura di distruggere il mondo quando si hanno fantasie distruttive e cariche d'odio e comporta che, nel caso venga maltrattato, il bambino si convince di averlo meritato.
La modalità di far finta è il complemento evolutivo della equivalenza psichica. L'esperienza interna di fantasia (sperimentata per esempio nel gioco) si separa dal mondo reale e dona al bambino piacere perché può essere vissuta liberamente senza il rischio di ripercussioni reali.
Intorno ai 4 anni l'equivalenza psichica e il far finta si integrano facendo emergere una capacità riflessiva capace di prendere in considerazione la relazione tra interno ed esterno.
Tra i diversi fattori che possono compromettere il normale sviluppo della mentalizzazione ci sono i traumi psicologici precoci. Il pensiero in caso di trauma può subire una inibizione a causa delle reali intenzioni malevole dell'altro. In altri casi un disagio precoce può alterare i normali meccanismi dell'arousal inibendo le aree corticali collegate alla metalizzazione. In altri casi ancora il trauma determina una attivazione del sistema di attaccamento rendendo il bambino dipendente dal genitore abusante.
La inibizione della capacità di mentalizzazione può essere una difesa dai contenuti mentali dell'altro.
Bibliografia
Lingiardi V., Gazzillo F., La personalità e i suoi disturbi, Raffaello Cortina, Milano, 2014