Il termine deriva del greco μύϑος,
il cui significato originario è "parola, notizia, novella", oppure
"cosa", e indica una storia tradizionale di carattere generale che
fonda e narra l'origine di vari aspetti della realtà naturale e umana.
Successivamente, con l'introduzione del λόγος,
inteso come racconto caratterizzato dal pensiero razionale e
riflessivo, il concetto di mito viene ad assumere, per contrasto, un
carattere fantastico e fabulatorio. Entrambi i termini corrispondono,
sebbene in modo diverso, all'intento di conoscere e interpretare il mondo.
Nel 19° secolo, nell'ambito della linguistica comparata, rifiorirono
gli studi sulla mitologia antica e l'osservazione delle somiglianze tra
racconti mitologici antichi e costumi dei popoli di interesse
etnologico indusse gli studiosi a considerare i miti un elemento
irrazionale e 'selvaggio' del pensiero umano. La nozione del mito,
dunque, come forma 'primitiva' di pensiero, distinta dal pensiero
logico e scientifico e dotata di autonomia conoscitiva ed espressiva, è
alla base delle varie teorie interpretative elaborate in sede
filosofica, storico-religiosa, antropologica e psicologica. In
quest'ultimo ambito prevale l'interpretazione psicoanalitica, secondo
la quale il mito sta a rappresentare la proiezione dell'inconscio e
costituisce l'espressione dell'attività autonoma della psiche. La
rappresentazione del corpo nel mito è caratterizzata da molteplici
trasformazioni: le narrazioni di metamorfosi, frequenti nella mitologia
antica e moderna, possono essere interpretate come l'espressione di un
malessere psichico manifestato per via somatica.
sommario:
1. La metamorfosi nella mitologia. 2. L'interpretazione psicoanalitica.
3. Mitologia personale e metafore somatiche. □ Bibliografia.
1. La metamorfosi nella mitologia
La
mitologia greca è ricca di metamorfosi somatiche. Notissimo è, per es.,
il mito di Apollo e Dafne: la giovane ninfa, consacrata a Diana, ha
fatto voto di rinunciare all'amore, ma Apollo se ne innamora e cerca
invano di convincerla a cedergli; Dafne fugge, Apollo la insegue, ma
quando sta per afferrarla essa, dopo aver invocato l'aiuto del padre,
si trasforma in alloro, che diverrà la pianta sacra al dio. Dafne
perdendo le sue sembianze umane preserva la sua purezza, e Apollo,
nella sventura del suo amore, arriva a trascenderlo. Le arti figurative
hanno illustrato spesso questo mito (basti pensare al famoso gruppo di
G.L. Bernini), che ha avuto una notevole risonanza anche in ambito
letterario. Riprova della sua diffusione è, per es., il riferimento di Empedocle,
quando sostiene che per un uomo virtuoso possono esserci solo due
destini felici dopo la morte: essere trasformato in alloro o in leone.
La descrizione più completa e suggestiva è comunque quella contenuta -
in ambiente latino - nelle Metamorfosi di Ovidio, il quale nel suo
poema riporta altri affascinanti racconti incentrati sul tema del
cambiamento e della trasformazione sotto l'influsso di forze
sovrannaturali. Abbondano soprattutto le metamorfosi in piante di
creature nel pieno della giovinezza, che segnano il passaggio da una
forma bella a una altrettanto bella, a indicare la sublimazione della
sofferenza.
Fra
le altre metamorfosi famose della mitologia greca, si possono
ricordare: quelle di Adone ucciso dal cinghiale e dal cui sangue nasce
l'anemone; di Eco che perde l'abbondanza e l'iniziativa del linguaggio
per aver parlato troppo; di Narciso che si sottrae alla legge
universale non acconsentendo ad amare nessuno e assume la forma di
fiore; di Io amata da Giove e tramutata in giovenca per evitare le ire di Giunone;
di Siringa che per sfuggire a Pan prega la terra di trasformarla in un
letto di giunchi, usati poi dal dio per fabbricare la sua zampogna; di
Callisto mutata in orsa da Artemide, adirata per la sua bellezza. E
ancora: Aretusa diviene
una fonte, Driope e Lotide si trasformano in fiore di loto. Nella
mitologia latina, l'Asino d'oro di Apuleio narra la metamorfosi di
Lucio in asino e, dopo ogni sorta di peripezie e travagli, il suo
ritorno alle sembianze umane per intervento di Iside,
al cui culto egli si consacra. Tutti questi miti possono essere letti
in chiave di rappresentazione della tragicità della condizione umana,
che insegue un bene che si sottrae sempre, oppure di metamorfosi del
desiderio, che passa da forme materiali e sensuali all'essenza ideale,
alla bellezza assoluta e alla sublimazione dal terreno al divino, o
ancora possono essere interpretati quale modo di esprimere
un'intollerabile sofferenza psichica, come nel caso di Niobe, pietrificata dopo la morte dei figli.
La
trasformazione somatica permea anche la mitologia più moderna:
tuttavia, oggi il riferimento non va più al sovrannaturale e al divino,
ma rimane ancorato al corpo stesso, vissuto come veicolo di espressione
del malessere. La metamorfosi è dunque la rappresentazione esteriore di
una modificazione interna, psicologica o biologica. A questo proposito,
l'esempio più significativo è quello della Metamorfosi di F. Kafka,
dove la trasformazione del protagonista in insetto repellente è il
portato delle angosce del soggetto, ma soprattutto del meccanismo di
identificazione proiettiva della madre, che con il suo odio modifica
concretamente il corpo del figlio. Il corpo trasformato diviene,
dunque, il veicolo per rappresentare le modificazioni interiori, come
avviene nel caso dei disturbi della cenestesi, sensazioni soggettive di
sofferenza corporea in senso lato, di solito localizzate in una regione
o in un organo, e senza causa organica, e nei disturbi somatoformi,
costituiti da sintomi fisici che suggeriscono una malattia fisica in
condizioni in cui non è dimostrabile alcuna patologia organica. Il
meccanismo di base è la tendenza a esprimere e a comunicare sentimenti
e sensazioni come disturbi fisici: il sintomo rappresenta dunque una
modalità aspecifica di espressione della sofferenza conflittuale,
mediante la quale i conflitti profondi vengono neutralizzati con la
trasformazione in espressione corporea. In effetti, la manifestazione
per via somatica di sentimenti ed emozioni è una modalità di
comunicazione arcaica, che risale a quel momento storico, presente
nella vita di ogni individuo, in cui l'emozione non è mentalizzata.
Anche
nell'antichità, il mito del corpo è caratterizzato soprattutto
dall'assenza della mente. Ciò è evidente, per es., nella lirica di
Saffo, A me pare uguale agli dei, che descrive l'amore e la gelosia
della poetessa, esclusa dall'incontro tra un uomo e una donna. Mentre
si dovrebbero trovare espressi contenuti mentali, emozioni, tormento,
dolore psichico, la mente risulta completamente assente e campeggia
solo il corpo con le sue funzioni: "[...] il cuore si agita nel petto
[...] la voce si
perde sulla lingua inerte [...] un fuoco sottile affiora rapido alla
pelle [...] buio negli occhi [...] rombo del sangue alle orecchie [...]
tutta in sudore [...] tremante [...] come erba patita scoloro [...]".
La poesia descrive, cioè, solo una serie di manifestazioni corporee:
turbe della frequenza e del ritmo cardiaco, turbe del linguaggio, turbe
vasomotorie, deficit del visus, acufeni, alterazione cenestesica, un
quadro, insomma, vicino all'attacco di panico. Soprattutto colpisce
come si tratti di un quadro interamente somatico, e come in nessuna
parte di questa poesia d'amore compaiano riferimenti metaforici al
mentale, allo psichico, all'emotivo: ogni parola serve a descrivere
precisi fenomeni del corpo, soggettivi od obiettivi, ma unicamente
somatici.
2. L'interpretazione psicoanalitica
Una grande espressione di trasformazione corporea è quella descritta da S. Freud in
Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo (1923), in cui Freud
trattò come materiale analitico il manoscritto che si riferiva a un
pittore vissuto nel 17° secolo, affetto da nevrosi demoniaca,
manifestatasi con convulsioni in chiesa e con apparizioni del diavolo
sotto forma di drago. Il pittore, il cui defunto padre si era opposto
alla sua vocazione di artista, avrebbe stretto il patto con il diavolo
perché, depresso, non riusciva a lavorare e si sarebbe impegnato a
essere suo figlio per nove anni; viene così espresso il conflitto tra
la nostalgia del padre e la sfida, la paura nei suoi confronti in
quanto severo e castratorio. La tesi di Freud è che i draghi, i demoni
e i diavoli che li sottendono siano espressione del mondo interno,
rappresentando pulsioni rimosse. Inoltre il drago, o il demone
teriomorfo, è perturbante, cioè estraniante e terrorizzante al tempo
stesso: l'apprensione e il turbamento ineffabili nascono dal fatto che
qualcosa che era familiare, domestico, non lo è più. Il drago infernale
libera proiettivamente dai sensi di colpa, oppure ne allevia fortemente
la pressione, scorporandoli e concretizzandoli all'esterno: "I demoni
sono, a nostro avviso, desideri cattivi, ripudiati, che derivano da
moti pulsionali che sono stati respinti o rimossi. Noi non facciamo
nulla di più che eliminare la proiezione nel mondo esterno ipotizzata
dal medioevo a proposito di tali entità psichiche; noi riteniamo che
esse abbiano avuto origine nella vita intima dei malati dove in effetti
dimorano" (Freud 1923, trad. it., pp. 525-26). In Totem e tabù (Freud
1912-13), l'animale totemico simboleggia il padre, e i due tabu a esso
connessi (non uccidere il totem e non avere rapporti sessuali con donne
appartenenti a lui) coincidono con i delitti edipici e con i desideri
primordiali del bambino; in questo senso, il totemismo, inteso come
metamorfosi del padre, origina dalle condizioni del complesso edipico:
"L'atteggiamento emotivo ambivalente, che caratterizza ancor oggi nei
nostri bambini il complesso paterno e si prolunga spesso nella vita
dell'adulto, si estenderebbe altresì a quel sostituto del padre che è
l'animale totemico" (trad. it., p. 145). Il padre diviene totem per
placare il senso di colpa che deriva dal desiderio di ucciderlo e per
soddisfare la fantasia infantile di ottenere da lui protezione, cura e
indulgenza, impegnandosi in cambio a tutelare la sua vita, non tentando
di eliminarlo. Allo stesso modo, il pasto totemico, che coincide con
l'uccisione del totem, ma che permette l'identificazione con esso e
l'appropriazione dei suoi attributi, è accompagnato dall'atmosfera
festosa che caratterizza l'infrazione solenne del divieto, ma anche dal
lutto e dal compianto. Diviene evidente, così, perché il desiderio
incestuoso di possedere la donna del totem-padre sia pervaso, nei miti,
dal senso di colpa, per cui i giovani amanti delle dee madri sono
destinati a una vita breve e a punizioni castratorie da parte degli dei
padri, che assumono sembianze animali, come Adone e Attis.
3. Mitologia personale e metafore somatiche
Come
si è accennato precedentemente, la trasformazione corporea, così
frequente nei miti, può essere considerata il portato della sofferenza
psichica, derivante dai conflitti profondi e dai sensi di colpa
edipici. D'altronde, se si considera il problema dal versante opposto,
è possibile rilevare che sovente i pazienti utilizzano il linguaggio
del corpo per esprimere un dolore mentale e che la narrazione della
mitologia personale spesso si serve di metafore somatiche. Per es., la
nostra lingua è ricca di metafore che coinvolgono il cuore come organo
per indicare un investimento emotivo intenso; il dolore toracico può
così assumere una dimensione comunicativa, diventare cioè una modalità
narrativa del proprio mondo interno e, da evento somatico, divenire un
mezzo di comunicazione simbolica delle emozioni. Questo processo
corrisponde alla tendenza a palesare e sperimentare dolore e sintomi
somatici, non confermati da dati obiettivi, attribuendoli a malattie
fisiche e a cercare aiuto per questo. Ogni sintomatologia cardiaca ha
la sua peculiare espressività: la contrazione dei muscoli facciali o di
quelli sternocleidomastoidei, il portare le mani al petto per indicare
la costrizione precordiale, o al collo per riferire il senso di
soffocamento e così via. Ma, nel caso del cuore, anche le espressioni
metaforiche usate per simbolizzare il dolore sono molteplici: il cuore
stretto nella morsa dell'angoscia; essere colpito al cuore; avere male
al cuore; il cuore che si spezza a causa di una separazione
intollerabile o di una vera e propria rottura somatica; oppure il cuore
che si intenerisce, espressione intrisa di elementi nostalgici; e
ancora il cuore che batte veloce nella rabbia, è pesante nella
tristezza ecc. Tutte queste sono espressioni simboliche di emozioni
mentali. Nel caso del dolore toracico, il sintomo non è solo
espressione di un'emozione, ma diviene una struttura espressiva
dell'unità psiche-soma, una sorta di equivalente affettivo il cui
significato può sfuggire al paziente. In questo senso, il sintomo
somatico può essere considerato uno stile espressivo, una modalità
soggettiva per comunicare con gli altri. In sintesi, il dolore viene di
solito espresso in termini simbolici e mentali, e questo consente di
evitare lo scarico somatico; d'altro canto, quando la metafora mentale
fallisce nel comunicare la sofferenza, il dolore diviene somatico. Per
es., è possibile che il simbolismo del dolore di cuore, del crepacuore,
del peso al cuore, espresso in genere in termini mentali, divenga
estremamente concreto quando manca la possibilità di mentalizzare; in
altre parole, il dolore emotivo può entrare nella mente come dolore
mentale consapevole, oppure diventare esterno, come dolore somatoforme.
Esistono dunque due modi di manifestare la sofferenza psichica: uno
primitivo, esterno, come dolore d'organo; l'altro mediato dalla
formulazione verbale, quale sintomo espresso come metafora del dolore
mentale. Nella mitologia, nella quale non esisteva la metafora della
mente, il malessere psicologico poteva essere espresso e scaricato solo
mediante la via somatica e la trasformazione corporea. Allo stesso
modo, in ognuno di noi, quando la mente fallisce nella sua funzione di
attenuatrice del dolore, avviene una sorta di metamorfosi, nella quale
il corpo viene modificato ed esperito come malato.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it