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Noia




La noia è una condizione, transitoria o duratura, di insoddisfazione frustrante, di indifferenza inquieta e disaffezione dolorosa verso una realtà esperita come priva di significato. Tale vissuto può confinarsi a determinate situazioni ambientali, ma può anche divenire un'attitudine cognitivo-affettiva pervasiva e permanente. Possono allora attivarsi tentativi di superamento e di compenso comportamentali (per es., viaggi, acquisti, gioco d'azzardo), voluttuari (per es. tabagismo) o farmacologici (fino alla dipendenza da droghe). 

sommario: 1. I vissuti. 2. La genesi. 3. Aspetti clinici. □ Bibliografia.

1. I vissuti

L'etimologia del termine noia (e di quello francese ennui), dal latino in odio con la mediazione del provenzale enoja, rinvia a intensi sentimenti negativi nei confronti dell'ambiente e non alla lieve spiacevolezza che generalmente le si attribuisce. Lo stesso rimando si coglie nel termine spagnolo aburrimiento ("avere in orrore"). Nella lingua tedesca e in quella ebraica affiorano i significati del tempo e del desiderio: Langweile (tempo lungo) rimanda al vissuto di un tempo dilatato, che scorre lentamente e che si desidera abbia fine; Leshaamem (dalla radice aramaica amum, "offuscare, oscurare") evoca l'immagine della notte, la primitiva paura del buio e il desiderio che la notte finisca, ma include anche il significato di struggersi di desiderio per qualcosa o diventare triste per il desiderio o per l'ozio. L'etimo dell'inglese boredom si colloca a cavallo tra i denotata dei termini neolatini e tedeschi rinviando al trapanare, al monotono e fastidioso rumore della trivella (to bore). Non dissimile è il significato della parola russa skuka, la cui radice kuka significa emettere suoni ripetitivi e monotoni.
Dai vari etimi discende la ricchezza psicologica del vissuto di noia, che attinge alle radici dinamiche (motivazione, intenzionalità) e affettive (desiderio, gratificazione) dell'individuo. Per il disinvestimento oggettuale che le è proprio, la noia può talora rappresentare un blocco difensivo e un momento di distanziamento critico dalla realtà, che mette in movimento una crescita psicologica, un riadattamento o un rimodellamento dei rapporti tra mondo interno e mondo esterno. Questa noia, che appare propria di certe fasi della vita (adolescenza, presenilità), e può trascendersi e modulare una metamorfosi esistenziale, è considerata 'normale', così come quella che si manifesta in peculiari contesti situazionali (noia reattiva) e dilegua rapidamente (noia acuta). Si definisce, invece, morbosa la noia che insorge in modo immotivato (noia endogena), si mantiene nel tempo indipendentemente dalle circostanze ambientali (noia cronica) e diventa motivo di sofferenza o di compromissione funzionale e sociale.
La noia morbosa riconosce il suo primo antecedente storico nell'acedia del Tardo Medioevo, quella condizione di eretismo indolente, di perdita di fervore e di sprofondamento nella trita quotidianità in cui si imbatterono molti eremiti e cenobiti della prima cristianità nella loro fallimentare ricerca dell'incontro con il divino. Sotto connotazioni (vizio capitale, mal di vivere, disturbo dell'umore) e terminologie diverse (acedia, melancholy, spleen, ennui) questo vissuto, che risulta segnato dallo scarto inesorabile tra un reale sofferto e derisorio e un oggetto inattingibile, ha attraversato l'intera storia dell'Occidente fino all'epoca attuale. Le principali connotazioni della noia morbosa sembrano essere l'insoddisfazione, connessa alla mancanza di gratificazione nella maggior parte delle situazioni, e il vissuto pervasivo e tormentoso di assenza di un qualcosa di definito. In rapporto alle peculiarità dei singoli individui, all'età e alla fase evolutiva dello stato di noia, l'insoddisfazione può tradursi in un comportamento irrequieto, volto alla ricerca di oggetti e situazioni sempre più stimolanti (noia agitata), o declinarsi in un torpore rassegnato e disincantato (noia apatica).
La noia agitata sospinge il soggetto verso un continuo cambiamento di oggetti e mete, poiché ogni cosa raggiunta disvela la sua insignificanza, e apre la strada a condotte orali incorporative (crisi bulimiche, abuso di alcol o stupefacenti) o sospinge verso mete 'icariane' fittizie e irraggiungibili. Con il tempo, la mancata gratificazione e la conseguente frustrazione finiscono per lasciare il posto a un'indifferenza torpida e disperata, la noia apatica. La noia si accompagna inoltre a un'apparente indifferenza e allo stesso tempo a un'attesa inquieta che il mondo fornisca stimoli che possano placare lo stato di insoddisfazione. In questo contesto di attesa vana e frustrante possono affiorare sentimenti di inadeguatezza e di sconfitta e idee lugubri sotto forma di un vero e proprio gusto per la morte. I vissuti di vuoto sono inscindibili dallo stato di noia: desideri, convinzioni ed entusiasmi sembrano perduti e rimpiazzati da sentimenti di indifferenza e superficialità, responsabili di una ridotta reattività o di modalità rigide e meccaniche di adattamento agli stimoli esterni e di interazione con gli altri. La noia si associa, inoltre, a un'alterazione della temporalità: il tempo non passa mai ed è percepito dolorosamente anziché essere vissuto armoniosamente nelle cose.

2. La genesi

Nonostante la grande risonanza tematica in ambito letterario (Ch. Baudelaire, G. Flaubert, I.A. Gončarov, G. Leopardi, A. Moravia) e filosofico (A. Schopenhauer, S. Kierkegaard, M. Heidegger), questo sentimento proteiforme, oscuro ed elusivo è rimasto ai margini della riflessione psicologica (con poche eccezioni nel campo applicativo della psicologia del lavoro e della scuola) e di quella psicopatologica (da cui è stato ignorato o ricondotto a epifenomeno delle categorie diagnostiche storicamente dominanti, quali quelle di nevrastenia, psicastenia, melanconia, depressione). Ancora attualmente persiste nella cultura scientifica l'insufficiente consapevolezza dell'importanza della noia nei vissuti quotidiani normali e patologici, e si trascura dal punto di vista sociologico che la fuga dalla noia, uno dei principali obiettivi dell'uomo nella società attuale, si realizza spesso con un agire dettato da impulsi violenti e autodistruttivi. In termini psicologici la noia è stata ricondotta alla monotonia oggettiva o soggettiva degli stimoli oppure alla loro insignificanza.
Nella suscettibilità alla noia sono stati di volta in volta chiamati in causa anche altri fattori (estroversione, nevroticismo, grado di soddisfazione nella vita personale e familiare). Nel modello psicologico proposto da A.B. Hill e R.E. Perkins (1985) la noia è un'esperienza spiacevole, connotata da inquietudine, tensione emozionale e frustrazione, che si determina quando gli stimoli sono percepiti soggettivamente come monotoni e quando nella significazione della realtà vengono utilizzati pochi costrutti pertinenti alla soddisfazione del bisogno. La ricerca di motivazioni addizionali o alternative che sono messe in atto per ovviare alla monotonia soggettiva, se ha successo, può consentire di evitare la noia, altrimenti finisce per accentuarla aumentando il vissuto di frustrazione. Le teorie psicoanalitiche ripropongono, in larga misura, le concezioni romantiche della noia come immagine negativa del desiderio: la noia è il destino di chi non sa arrendersi alla propria finitudine rinunciando a un sogno di onnipotenza; è la malattia delle esistenze dilaniate dall'incorporazione avida e coatta volta a colmare un vuoto ineliminabile. Il pensiero psicoanalitico classico ha infatti identificato l'essenza della noia nel blocco dello stato pulsionale a causa della rimozione delle mete oggettuali, per la quale si ha un'eccitazione il cui scopo resta inconscio, e ha colto la sua genesi, connessa a dinamiche narcisistiche, sadico-anali, orali o voyeuristiche, nella conflittualità pre-edipica ove l'integrazione dell'Io con le istanze del Super-Io è carente.
Anche nelle successive elaborazioni della riflessione psicoanalitica l'annoiato è stato considerato un soggetto incapace di sostituire gli investimenti libidici sugli oggetti primari a causa della mancata strutturazione di un Sé sufficientemente integrato per poter effettuare investimenti evolutivi. Il Sé 'megalomaniaco' e 'grandioso' dell'annoiato è dominato da processi di idealizzazione, scissione e diniego, da conflittualità con l'ideale dell'Io o il Super-Io, e sospeso nella fase postsimbiotica dello sviluppo, nella dolorosa condizione di attesa bramosa di un oggetto primario non più disponibile. La noia si è proposta come oggetto di riflessione nella letteratura psicoanalitica non soltanto come sintomo inscritto nell'economia psichica del paziente, ma anche come indice emotivo-affettivo della relazione di transfert (v.) e controtransfert. La noia, infatti, è di frequente riscontro, se non ubiquitaria, nella relazione terapeutica ove può raggiungere un'intensità tale da impedire la prosecuzione del trattamento. In termini psicobiologici la noia è stata ricondotta a un decremento, rispetto a un livello ottimale, del livello di attivazione (arousal) corticale da cui discendono gli aspetti cognitivo-affettivi, e a un incremento di quello automatico o periferico responsabile dell'irrequietezza psicomotoria e dei sintomi neurovegetativi della noia. È stata chiamata in causa anche la compromissione dell'attenzione, funzione considerata fondamentale per esperire soddisfazione e per evitare la noia.
Nel modello della ricerca di stimolazioni di M. Zuckerman (1991), che rappresenta un'estensione della teoria del livello ottimale di attivazione, la noia si manifesta in situazioni ambientali monotone e ripetitive nei soggetti che necessitano di alti gradi di stimolazione per mantenere soddisfacenti livelli di arousal centrale e che pertanto sono alla continua ricerca di nuove stimolazioni.
Un modello più articolato della noia è quello basato su un'elaborazione di quello precedentemente descritto: in questo al costrutto dell'arousal (e quindi al dispositivo anatomo-fisiologico reticolocorticale che controlla l'arousal) si affianca quello del sistema di ricompensa (localizzato nel lobo limbico) che controlla le pulsioni appetitive e i comportamenti di esplorazione e di approccio a stimoli nuovi (funzione dopaminergica), nonché l'aspettativa e la reattività nei confronti della potenziale ricompensa (funzione noradrenergica). In questo modello la componente affettiva della noia sarebbe dovuta alla ridotta attività del sistema limbico di ricompensa (per deficit della funzione dopaminergica e noradrenergica); le componenti cognitiva e psicomotoria chiamerebbero, invece, in causa la 'depressione' dell'asse reticolocorticale (arousal). L'incremento omeostatico del sistema, che consente di ripristinare i livelli ottimali di attività catecolaminergica cerebrale, determinerebbe le sequenze psicomotorie finalizzate al raggiungimento di mete ricompensanti. I soggetti che necessitano di livelli di attivazione e gratificazione patologicamente elevati sarebbero quindi inclini alla noia e, in via difensiva, sono più portati di altri a impegnarsi in attività sostitutive, sia socialmente accettabili sia non (alcolismo, poliabuso di sostanze, gioco d'azzardo ecc.). L'ulteriore elaborazione del modello prevede un'interazione tra sistema appetizione-gratificazione (sistema di ricompensa) e sistema paura-ansia (sistema di punizione, regolato dalla funzione serotoninergica) di fronte a nuovi stimoli.
Su questa base C.R. Cloninger, D.M. Svrakic e T.R. Przybeck (1993) hanno proposto una teoria biosociale della personalità che include tre dimensioni temperamentali (una che attiva il comportamento di esplorazione e guida l'approccio alla ricompensa, una che rinforza e mantiene il comportamento ricompensante, e una che condiziona la risposta agli stimoli avversativi e che inibisce il comportamento di fronte a qualcosa d'inatteso). Ciascuna delle tre dimensioni è sottesa da uno specifico sistema neurotrasmettitoriale, dalla cui interazione funzionale derivano modelli integrati di risposta comportamentale. In accordo a questo modello la noia rappresenta l'esito dell'interazione tra stimoli gratificanti, resistenze e inibizioni.
Nella genesi della noia sono stati chiamati in causa anche gli oppioidi (v.), i quali esercitano un effetto gratificante attraverso la stimolazione dei neuroni dopaminergici dell'area tegmentale ventrale. Il sistema oppioide endogeno funzionerebbe anche come sistema euforizzante attivato dalle emozioni: secondo questa ipotesi, diversificate condizioni di eccitazione (lavorativa, erotica, sportiva) determinerebbero un'aumentata secrezione interna di oppioidi endogeni. L'interruzione dell'attività euforizzante comporterebbe, al contrario, uno stato di noia tale da riproporre gli aspetti fenomenici di una lieve sindrome di astinenza da oppiacei. Questo meccanismo potrebbe essere alla base anche delle cosiddette 'nevrosi della domenica' e delle fasi negative (insofferenza, insoddisfazione, sbadigli, vaghe cenestopatie) delle personalità lavoro-dipendenti, e renderebbe conto di varie forme di dipendenza da attività eccitanti (attività sportive, gioco d'azzardo ecc.) in cui la noia gioca un ruolo rilevante. Anche altri peptidi endogeni, quali le melanocortine, potrebbero essere coinvolti nei meccanismi psicobiologici della noia. La 'sindrome melanocortinica', dovuta a uno squilibrio del sistema a favore di questo neuropeptide, è caratterizzata infatti da sintomi simili a quelli della noia.

3. Aspetti clinici

La noia, a differenza di altri stati affettivi quali, per es., l'ansia e la depressione, è rimasta ai margini della riflessione psicopatologica e non si è affermata all'attenzione dei clinici e dei ricercatori. La noia morbosa reclama, tuttavia, un'attenta valutazione nell'area diagnostica dei disturbi depressivi minori e atipici (disforia isteroide, nevrosi della domenica, depressione da festività), dei disturbi di personalità (borderline e narcisistico), di alcuni stati psicotici (schizofrenie frenate, stati difettuali e depressivi schizofrenici), delle tossicodipendenze, ma anche della sindrome da debilitazione che è frequentemente rilevabile in quei soggetti i quali prestano la propria opera nel campo dell'assistenza sociale. Una relazione di contiguità lega la noia a stati affettivo-cognitivi quali l'apatia (in cui l'inibizione pulsionale e cognitiva e l'inerzialità pragmatica appaiono più pervasive, divenendo talora definitive) e la depressione, con cui la noia troppo frettolosamente nella pratica clinica viene identificata. Infatti essa si distingue dalla depressione per la conservazione dell'autostima, l'assenza di sentimenti di inadeguatezza e di colpa, l'orientamento temporale sul presente, il mantenimento degli investimenti oggettuali esterni, seppure virtuali o indefiniti, l'insoddisfazione per il possesso degli oggetti d'amore o per la loro mancanza piuttosto che il dolore insanabile per la loro perdita. L'interesse per la noia come costrutto psicopatologico, manifestatosi negli ultimi anni del 20° secolo, è testimoniato dall'elaborazione di vari strumenti di valutazione standardizzati, che, pur gravati da un orientamento meramente cognitivo-comportamentale, consentono di porre su basi scientifiche i rapporti che la noia intesse con le dimensioni della personalità e della psicopatologia affettiva e di definire il ruolo di questa condizione morbosa in molte sindromi cliniche.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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