Odio
La parola odio indica uno stato emotivo di grave e persistente avversione verso qualcosa o qualcuno. Passione opposta all'amore, l'odio è un sentimento d'acuta ostilità, un malanimo duraturo e violento per cui si desidera il male e la rovina di un oggetto, che può anche essere il proprio Sé o la vita propria o altrui.
L'odio si differenzia dalla semplice inimicizia e antipatia per il fatto che questi stati emotivi non comportano violenza, né implicano necessariamente il male dell'altro. Si può provare radicata antipatia nei confronti di una persona senza desiderare il suo male e nutrire progetti violenti e ostili. L'odio, che trova radice nella frustrazione, nell'invidia, nella gelosia, nella competizione, nell'ira esacerbata, nelle differenze sociali e nel desiderio di possesso e vendetta, a sua volta alimenta questi stati emotivi che, in tale modo, s'impregnano di violenza.
Stranamente questa condizione passionale, la cui ricaduta fenomenologica occupa così grande spazio nella cronaca della vita sociale e politica e che costituisce un tema di ampio rilievo nelle opere letterarie e nei media, non ha dato luogo a un'euristica dell'odio, così come è avvenuto per l'aggressività e il comportamento a essa rispondente, ampiamente studiato da antropologi ed etologi. Da parte del pensiero laico, nei secoli, non si è venuta articolando su questo argomento una riflessione strutturata, con l'eccezione della psicoanalisi, nella quale l'odio, come stato dell'animo umano frequentemente compresente a sentimenti di affetto, o come manifestazione emotiva successiva a un intenso legame amoroso, occupa un posto di grande rilievo.
Nel primo decennio del Novecento, spinto da due singolari casi di nevrosi, S. Freud inizia a interrogarsi sul ruolo esercitato dall'odio nel vissuto individuale. Il caso clinico del piccolo Hans (Freud 1909a) permette a Freud di seguire da vicino l'evolversi e il declinare di una nevrosi fobica in un bambino di 5 anni e di percepire come il dramma del piccolo sia tutto giocato sul registro dell'affetto che il bimbo prova per il padre che tuttavia, in quanto rivale nell'amore per la madre, contemporaneamente odia. L'altro caso è quello di un giovane ufficiale, noto come l''Uomo dei topi', nel quale l'odio per il padre, escluso dalla coscienza, dà forma a una grave organizzazione ossessiva: "Nella rimozione dell'odio infantile verso il padre noi ravvisiamo l'evento che sospinse irresistibilmente nell'orbita della nevrosi tutti gli avvenimenti ulteriori della sua vita" (Freud 1909b, trad. it., p. 67).
In questi articoli si possono cogliere i primi germi di quella che poi sarà la teoria pulsionale e strutturale freudiana. In essi, infatti, Freud non si limita a descrivere il mero livello fenomenologico dei conflitti, ma inizia a chiedersi da dove provenga l'odio che il piccolo Hans sposta dal padre ai cavalli e che nell'Uomo dei topi paralizza qualsivoglia scelta. Con sempre maggiore chiarezza Freud prende atto del fatto che i fattori eziologici primari dei disturbi mentali, quali le fobie e le nevrosi ossessive, vanno ricercati nelle contraddittorie e dialettiche articolazioni emotive che dal complesso d'Edipo, determinato dalla congiunzione di desideri amorosi e ostili, traggono il primo 'impasto' emozionale. Il conflitto emotivo, potenzialmente generatore di difficoltà psichiche, oltre che dall'incompleto adattamento dell'uomo a una civiltà complessa e a standard di civilizzazione troppo articolati, si rivela determinato dalle contraddittorie e ambivalenti vicende della vita intrapsichica.
Nel secondo decennio del Novecento, Freud matura la consapevolezza che la teoria meccanicistica che supporta il suo sistema - in cui si affrontano due grandi correnti istintuali, le pulsioni di autoconservazione o dell'Io e le pulsioni sessuali - e il principio del piacere/dispiacere che lo regola sono ormai da considerarsi angusti e insufficienti. La causa del disturbo psichico - che nel piccolo Hans aveva fatto risalire alla rivalità con il padre e nell'Uomo dei topi al dissidio tra la sessualità del giovane e il genitore che, in quanto portatore di divieti, si configurava come un intralcio per la sua vita sessuale, al conflitto dunque tra sessualità e amore filiale - rinviava a interrogativi connessi alla natura e alla specie.
Freud tenta una prima risposta nel 1915, nel saggio Pulsioni e loro destini, ove differenzia l'amore e l'odio, relazioni emotive che l'Io ha con l'oggetto, dalle pulsioni: l'amore è l'espressione della capacità dell'Io di soddisfare le proprie richieste, mentre l'odio rappresenta l'espressione della relazione di dispiacere che gli oggetti, in quanto esterni, provocano nel primordiale Io narcisistico, ove l'odio fa la sua comparsa alla prima percezione della presenza dell'oggetto. "Come relazione nei confronti dell'oggetto [l'odio] è più antico dell'amore; esso scaturisce dal ripudio primordiale che l'Io narcisistico oppone al mondo esterno come sorgente di stimoli" (Freud 1915, trad. it., p. 34). L'odio e l'amore, stati emotivi da sempre considerati assolutamente antitetici, non derivano, quindi, da una scissione di una primaria unità, ma hanno un'origine diversa e solo "con l'instaurarsi dell'organizzazione genitale l'amore viene contrapposto all'odio" (p. 34). Nel 1919, quando il vortice di distruttività e di odio che ha coinvolto il mondo intero in un'orribile e grande carneficina è da poco cessato, Freud ritorna sull'argomento nel saggio Al di là del principio del piacere (1920), nel quale rende esplicita una nuova teoria. Colpito dall'esplosione di odio, per anni divenuto un valore positivo fra i belligeranti, dalla frequenza e dall'irriducibilità di alcuni fenomeni psichici (ripetizione ludica di avvenimenti dolorosi, ripetizione onirica di avvenimenti traumatici, ripetizione agita di avvenimenti rimossi), Freud postula la presenza nell'essere umano di un istinto di morte, matrice di aggressività e di odio. Il principale motore della vita psichica non è, quindi, come fino ad allora aveva sostenuto, il principio del piacere, ma, al contrario, la forza di una distruttività innata. Questa ipotesi speculativa richiede una revisione della dinamica pulsionale che fino a quel momento aveva fatto da perno alla teoria freudiana. Le pulsioni sessuali e di autoconservazione - prima considerate reciprocamente antitetiche - vengono riconosciute partecipi di una medesima valenza libidica e considerate appartenenti a una medesima categoria di pulsioni: pulsioni di vita o Eros.
A esse Freud contrappone la pulsione di morte che, sorta con il passaggio alla vita delle sostanze inorganiche, tende a ristabilire nella materia la condizione precedente, a riportare cioè l'organismo allo stato inorganico. La deviazione della pulsione di morte verso il mondo esterno dà origine alla pulsione aggressiva. L'odio, come derivazione istintuale, funge da battistrada all'aggressività, all'ambivalenza, al sadismo e al masochismo, che ora assumono una nuova intelligibilità. Freud pensa che l'aggressività sia inscritta nel patrimonio genetico dell'uomo e che possa essere neutralizzata grazie alla costituzione di legami affettivi; a questo riguardo, in Perché la guerra? (1932), egli scrive: "Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all'antagonista di questa pulsione, l'Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra" (trad. it., p. 300).
Mentre gli etologi, partendo dal loro terreno di ricerca, giungono a formulare ipotesi molto simili a quelle di Freud (si pensi, per es., alle posizioni di K. Lorenz e I. Eibl-Eibesfeldt, i quali ricercano le radici dei comportamenti umani di amore e odio nella storia evolutiva della specie), le basi biologiche che supportano la tesi freudiana non convincono la maggior parte degli psicoanalisti, i quali pensano che l'aggressività che si accompagna a diversi modelli di risposta non sia riconducibile a uno specifico istinto di morte. Fa invece propria questa posizione M. Klein che riconosce nell'istinto di morte la fonte primaria degli impulsi aggressivi, e sulla dualità pulsionale (vita/morte) fonda la dicotomia inerente a ogni evoluzione umana. Klein, che sin dall'inizio ha attribuito grande importanza all'aggressività, soltanto a partire dal 1932 inizia a utilizzare il concetto di istinto di morte. Nel rudimentale Io del neonato, che si confronta con i primi bisogni pulsionali, si mettono in moto due opposte reazioni: l'impulso a soddisfarli e l'impulso a negare il bisogno o la percezione di esso, nonché, in situazioni particolari e gravide di conseguenze, ad annichilire lo stesso Io che percepisce. La distruttività, il sadismo e l'invidia primaria, che indubbiamente si nutrono di frustrazioni esterne, secondo Klein traggono origine dall'istinto di morte che, fin dall'inizio della vita, appare in conflitto con la libido. La frustrazione genera sadismo e odio, ma il sadismo originario, a suo parere, defluisce da un'aggressività che non è riducibile ad alcun dato storico. L'aggressività, parimenti, si configura come la fonte principale sia dell'angoscia sia della sofferenza mentale.
Oltre a Klein, l'odio e le sue vicissitudini sono attentamente studiati dagli analisti a lei vicini; fra questi W.R. Bion considera il legame emozionale di odio (H, hate), assieme a quello di amore (L, love) e di conoscenza (K, knowledge), un elemento primario e costitutivo della mente e delle relazioni che un individuo istituisce con il mondo. L, H e K sono emozioni fondamentali, intrinseche al legame tra due oggetti. Il desiderio di conoscere trova nell'odio e nei suoi derivati, primariamente l'invidia e l'avidità, un antagonista in grado di ostacolare o pervertire la conoscenza, il legame K. Qualora questo accada, si instaura una relazione di reciproca spoliazione e distruzione. I significati e le emozioni, in tale caso, sono privati della loro vitalità e del loro senso. Il legame K è sostituito da un legame '‒K'.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it