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Ottimismo




OTTIMISMO (optimism; Optimismus; optimisme; optimismo). – Il termine sembra sia stato adoperato per la prima volta nei «Mémoires de Trévoux» (febbr. 1737, p. 207), per definire la dottrina esposta da Leibniz nella Teodicea. In seguito il termine fu ripreso da Voltaire nel celebre opuscolo Candide, ou l’optimisme. Attualmente il vocabolo presenta due principali significati: quello acquisito appunto dalla Teodicea leibniziana (essere questo mondo il migliore dei mondi possibili), e quello, più lato, che consiste nella considerazione positiva della vita, per cui essa, nonostante i suoi mali, è giudicata essenzialmente un bene, senza tuttavia la pretesa che essa rappresenti la migliore delle vite possibili: ottimismo assoluto il primo, relativo il secondo. Ottimistiche, in senso lato, sono tutte quelle concezioni che pongono a fondamento della realtà un principio razionale. Spunti notevoli di ottimismo si possono perciò ritrovare nei filosofi greci, soprattutto in Platone («Infatti non è lecito a chi è ottimo di fare se non ciò che è bellissimo»: Tim., 30 a, 32 d, 34 b, 92 b), nonostante che il fondamentale dualismo classico, per cui accanto al principio razionale è collocata la materia, principio di irrazionalità, rappresenti un ostacolo insormontabile ad una visione della vita pienamente ottimistica. Così soltanto con la concezione monistica dello stoicismo si perviene nell’antichità a una posizione di ottimismo che sembra addirittura preludere a quella leibniziana. Essenzialmente ottimistica è la concezione cristiana, per la quale la realtà tutta, materia compresa, è creata da Dio, Sapienza e Bontà infinite. La bontà della creazione non esclude però l’esistenza del male, che ha le sue prime manifestazioni nella ribellione di Lucifero e di Adamo. Ne consegue una visione pessimistica della natura umana esposta sin dall’origine alla colpa, senza però che la fondamentale considerazione ottimistica venga meno: Dio sa trarre anche dal male il bene; il male ha certamente una funzione dialettica anche se è impossibile all’intelletto umano comprendere concretamente i superiori disegni della provvidenza divina. «Dio non solo non avrebbe creato alcun angelo, ma neppure alcun uomo, se avesse previsto la sua malvagità e nello stesso tempo avesse ignorato in vista di quali vantaggi dei buoni utilizzarlo e così adornare, quasi sotto forma di antitesi, l’ordine dei secoli, come per un bellissimo poema». Si tratta però, nella concezione cristiana, di un ottimismo sempre relativo. Tutto ciò che esiste è un bene («è necessario che ogni ente sia buono per il fatto stesso che ha l’essere»: Tommaso, De verit., q. 21, a. 2); ma il male metafisico, cioè la limitazione necessaria di ogni creatura, in quanto creatura, impedisce che possa essere raggiunto da una creatura un limite di perfezione insuperabile. Ciò implicherebbe d’altronde una limitazione della potenza e della libertà divina; quasi prevenendo la tesi leibniziana, Tommaso avverte: «di qualsiasi cosa da lui fatta Dio ne può fare un’altra migliore» (Sum. theol., I, q. 25, art. 6); «Dio potrebbe, tuttavia, fare altre cose, o aggiungerne altre a queste; e così quell’universo sarebbe migliore» (ibid.). L’ottimismo assoluto è tesi caratteristica del razionalismo moderno. Lo troviamo formulato esplicitamente in Spinoza. «Le cose sono prodotte da Dio con la massima perfezione: giacché sono state necessariamente dedotte da una natura perfettissima» (Etica, parte I, prop. XXXIII, scol. 2). Il male, il disordine non hanno realtà, perché dipendono da una veduta finalistica che è frutto dell’immaginazione umana. Ma la più classica espressione dell’ottimismo assoluto è contenuta nella Teodicea (Amsterdam 1710) di Leibniz. Tra tutti i mondi possibili presenti nell’intelletto divino, Dio ha scelto nell’atto della creazione il migliore, in ciò obbedendo all’infinita bontà sua e al criterio del meglio che rappresenta la ragion sufficiente senza la quale Dio stesso non si sarebbe determinato a creare questo piuttosto che un altro dei mondi possibili (Teodicea, 8; cfr. ancora: 116, 194, 195, 416 e passim; tr. it. di V. Mathieu Saggi di Teodicea sulla bontà di Dio, sulla libertà dell’uomo, sull’origine del male, Cinisello Balsamo 1994; Principes de la nature et de la grâce, 10; Monadologia, 90). A questa tesi si oppose Voltaire. In occasione del terremoto di Lisbona del 1755 egli scrisse il poemetto Sur le désastre de Lisbonne (Ginevra 1756) in cui contrappone al principio ottimistico il doloroso quadro delle immani sciagure che affliggono l’umanità. L’opera provocò una lettera di Rousseau a Voltaire, in data 18 apr. 1756, in cui il ginevrino difende la tesi leibniziana. Voltaire ribadisce la sua tesi nel Candide, ou l’optimisme (Ginevra 1759), nel quale la dottrina di Leibniz è posta in parodia. Nella disputa sull’ottimismo, provocata dal disastro di Lisbona, intervenne tra gli altri anche Kant con lo scritto Versuch einiger Betrachtungen über den Optimismus (Königsberg 1759). In questa fase precritica del suo pensiero Kant difende la tesi ottimistica nello spirito dell’argomentazione leibniziana. La conclusione però, di intonazione pragmatistica («se nel pericolo di errare devo decidermi [...] preferisco la buona necessità, nella quale si sta bene, e dalla quale non può derivare che il meglio»), prelude già alla fase critica nella quale egli giunge a condannare come impossibile ogni teodicea (Ueber das Misslingen alter philosophischen Versuche in der Theodizee, Königsberg 1791). La tesi ottimistica trova la sua più vigorosa ripresa nella filosofia hegeliana secondo la quale nella storia del mondo si realizza la stessa Ragione assoluta, gli aspetti negativi dell’esistenza non risultando che momenti dialettici attraverso i quali si rende attuale quell’ideale che fuori della storia concreta non è che vuota fantasia (Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, tr. it., Firenze 1947, p. 30) Ma come l’ottimismo leibniziano provocò la reazione di Voltaire, così il razionalismo ottimistico di Hegel ebbe la sua risposta nella concezione irrazionalistica e pessimistica di Schopenhauer. II principio stesso dell’ottimismo assoluto è da Schopenhauer capovolto nel principio del pessimismo assoluto (Il mondo come volontà e rappresentazione, II, tr. it. di G. Riconda, Milano 1969, p. 453). La disputa tra ottimismo e pessimismo include talvolta una concezione astrattamente oggettivistica e spesso deterministica della realtà, nella quale nessun posto vien fatto all’apporto della libera azione dell’uomo, da cui il mondo possa venire migliorato o peggiorato. Si veda quanto dice James a proposito di tale controversia: «Ricordatevi, vi prego, che ottimismo e pessimismo sono definizioni del mondo, e che le nostre proprie reazioni su di esso, per quanto piccole di volume, sono parti integranti del tutto e contribuiscono necessariamente a determinare la definizione. Può darsi anche che siano gli elementi decisivi nel determinare la definizione» (La volontà di credere, tr. it., Milano 1941, p. 65). Nel secondo Novecento, in particolare nel pensiero continentale, la tematica dell’ottimismo si contrappone nettamente a quella – assai diffusa – del crollo delle ideologie ottimistiche e del conseguente nichilismo e, in quanto tale, non viene particolarmente sviluppata. Essa tuttavia viene ripresa, in certa misura, sul piano della ragione pratica come tema del senso dell’esistenza umana e del postulato del senso.


Bibliografia

Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano 2006

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