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Persona




Sul piano filosofico il concetto di persona è stato inteso in tre fondamentali accezioni che si sono succedute nel tempo: come sostanza primaria e indivisibile, composta di corpo e anima, quale è stata teorizzata nel pensiero cristiano; come autorelazione dell'individuo, secondo il modello cartesiano e l'interpretazione idealistica che identificano la persona, rispettivamente, con l'Io-coscienza e con l'autocoscienza; come relazione con il mondo, nell'ipotesi esistenzialista che, rifiutando la riduzione dell'essere umano alla coscienza, concepisce l'individuo come essere-nel-mondo. Nella prospettiva di un'antropologia personalistica, che ricapitola le varie posizioni in un progetto di summa contemporanea, persona è sintesi di corpo e spirito, totalità indipendente ma aperta alla trascendenza, centro di libertà e responsabilità.

Sommario: 1. Storia del concetto. 2. La riflessione filosofica del Novecento. 3. Diritto e psicologia. 4. Eccedenza di persona rispetto a individuo, soggetto, Io, Sé, esistente. □ Bibliografia.

1. Storia del concetto
Persona è uno dei termini impiegati all'interno della cultura occidentale per indicare l'essere umano. Si usa a livelli diversi: nel linguaggio quotidiano, in quello giuridico e in quello filosofico. La scelta del vocabolo è implicitamente o esplicitamente motivata da una serie di connotazioni che un'analisi filosofica può, e deve, rintracciare. L'obiettivo di tale indagine consiste nel mettere in evidenza il significato peculiare del termine nella sua connessione/distinzione con altri, solo apparentemente sinonimi, come: uomo, essere umano, individuo, soggetto umano, Io, Sé, esistente, coscienza, autocoscienza. È necessaria, allora, una semantizzazione sottile della parola prima di tentarne una definizione. Nella tradizione filosofica occidentale sono state proposte alcune definizioni che forniscono una stratificazione di significati, peraltro ancora validi. All'interno del vasto continente dell'antropologia filosofica che si pone la questione "Che cosa è l'essere umano?", si tratta di stabilire quali elementi siano evidenziati o presupposti quando si sceglie consapevolmente il termine persona, con l'avvertenza che spesso esso è usato in modo 'vuoto', come sinonimo di altri. Da questo punto di vista è utile ripercorrere la storia del concetto per coglierne il significato teoretico.
Nato nella dimensione culturale del teatro, forse quello etrusco (phersu), sicuramente quello romano (persona), il termine ha originariamente il significato di 'maschera'. Nel senso del 'rappresentare' entra nell'uso giuridico romano e quindi nella retorica: personam gerere, ci testimonia Cicerone, intendendo in questo modo che si può fare anche la parte di altri senza perdere la propria individualità. Nello stesso senso venne introdotto nel linguaggio filosofico dallo stoicismo popolare per indicare i compiti rappresentati dall'uomo nella vita, e in particolare è presente in Epitteto: l'essere umano è persona perché "come l'attore di un dramma" rappresenta una parte che gli è stata assegnata dal destino e che lo pone in relazione agli altri (Manuale, 17). Emerge qui un primo significato, appunto quello di 'relazione', che si manterrà poi anche nel linguaggio teologico, nel quale il termine entra con decisione assumendo uno spessore prima sconosciuto.
Nella determinazione teorica del rapporto trinitario in Dio, presente nella tradizione ebraica (accanto a Jahvè vi sono la figura del Messia e quella della Sapienza) ed esplicitato nella predicazione di Cristo ("Io e il Padre siamo una cosa sola": Giovanni 10, 20), i Padri della Chiesa in Oriente e in Occidente profusero tutte le loro energie nell'elaborare definizioni razionali che potessero rendere comprensibile quello che veniva considerato un mistero della fede. Nella lingua greca due parole, l'una presente nella speculazione filosofica neoplatonica, ὑπόστασις, l'altra nel linguaggio quotidiano, πρόσωπον, furono usate, attraverso lunghe controversie, per indicare i componenti della Trinità: nella lingua latina fu scelta invece la parola persona alla quale furono affiancate substantia e natura. In realtà πρόσωπον e persona rendevano la parola ebraica paneh, "volto", rispettivamente nella traduzione della Sacra Scrittura dei Settanta e nella Vulgata. Furono poi utilizzate per indicare le 'persone' divine e introdotte nell'esplicitazione della Trinità da Ippolito (Contra Noetum) e da Tertulliano (2°-3° secolo), che sembra essere stato il primo a usare trinitas e persona.
Πρόσωπον non ha mai il significato di maschera, piuttosto di 'ciò che cade sotto gli occhi', 'ciò che si vede': pertanto la possibilità di passare dal termine greco a quello latino persona non era facile, e tuttavia forse Tertulliano lo usa traducendo proprio il biblico πρόσωπον (volto di Dio). La difficoltà dell'uso delle due parole, persona e πρόσωπον, risiedeva nella loro debolezza: la prima indicava un''apparenza', la seconda una 'manifestazione' e quindi, pur salvando un aspetto importante della Trinità, quello relazionale, non rimandavano a una sostanzialità, a differenza di ὑπόστασις, che possedeva il vantaggio di significare 'sussistenza'. Ma neppure ὑπόστασις risolveva completamente la questione perché, provenendo dalla filosofia di Plotino e indicando i gradi di emanazione dall'Uno, cioè l'Intelletto e l'Anima, come derivati da esso, non consentiva di porre sullo stesso piano le tre 'persone'. Era necessario, allora, che questi termini assumessero un significato 'sostanziale' e indicassero qualcosa di diverso per poter essere utili a esplicitare il rapporto trinitario. Persona, allora, doveva indicare, e indica nelle intenzioni di Tertulliano, una 'presenza effettiva', così come ὑπόστασις doveva sempre più assumere il significato di οὐσία, "sostanza" (Adversus Praxean). Le controversie trinitarie e cristologiche dei primi secoli del cristianesimo ruotano intorno a tali problematiche, che è opportuno richiamare perché dal loro svolgimento e dalla loro soluzione dipende anche la nascita del termine persona applicato all'essere umano. E ciò accade con Agostino (4°-5° secolo), nella cui riflessione esso serve a indicare l'essere umano nella sua singolarità come substantia singularis atque individua, tanto da rendere lo stesso pensatore perplesso nei confronti della sua applicazione nell'ambito trinitario (De Trinitate). Ma proprio per la stretta connessione che Agostino pone fra il piano umano e quello divino, per cui la realtà creata è specchio della Trinità, entra ormai nel pensiero cristiano la connessione fra persone divine e persona umana, nonostante l'incommensurabilità dei due livelli. È su questi piani che continua a lavorare la speculazione filosofica conducendo Boezio (5°-6° secolo) a proporre la definizione di persona che rimarrà classica in tutto il Medioevo, ottenuta attraverso un processo logico-deduttivo che parte dall'attribuzione del termine persona dai componenti della Trinità a ciò che vive sensibilmente ma ha una sostanza razionale: persona è "sostanza individuale di natura razionale" (De duabus naturis et una persona Christi, 3).
Si tratta dell'esplicitazione della tesi agostiniana che Tommaso d'Aquino (13° secolo) porterà a compimento stabilendo esplicitamente l'analogia fra il piano umano e quello divino. Egli sostiene che l'essere umano non è l'essere ma ha l'essere, perché lo riceve per partecipazione da Colui che è ipsum esse subsistens e lo ha come actus essendi di una forma, quella razionale, che si concretizza nella 'carne' e nelle 'ossa' (Summa theologica). Singolarità e individualità assumono un significato specifico nell'essere umano in quanto persona, il quale, proprio per tale ragione, ha, rispetto all'Universo, una posizione predominante, perché è sede di libertà di autocoscienza e si realizza nella relazione con gli altri (secondo la sistemazione teorica proposta, tra 14° e 15° secolo, dal teologo domenicano G. Capreolo, uno dei più importanti interpreti dell'Aquinate). Tutti questi temi saranno presenti nella speculazione successiva, anche se in molti casi senza il riferimento al contesto teologico e metafisico posto da Tommaso. Sulla singolarità insiste in modo particolare G. Duns Scoto (13°-14° secolo) introducendo l'importante concetto di haecceitas, intesa come 'principio di individuazione', ultima entità positiva che si aggiunge all'essenza specifica per costituire in concreto l'individuo nella sua singolarità esistenziale; alla persona egli dà l'appellativo di ultima solitudo (Ordinatio III).
Come si evince da quanto esposto, il pensiero cristiano ha 'creato' dal punto di vista dell'antropologia filosofica e teologica i concetti di persona umana e persona divina, servendosi per la sua elaborazione teorica della lezione biblica, secondo la quale l'essere umano è stato creato a immagine e somiglianza della persona divina, e delle categorie filosofiche greche. È importante quindi soffermarsi sul periodo medievale come momento e luogo di fondazione del concetto qui in questione. Dal punto di vista della 'persona' ciò che le età moderna e contemporanea hanno proposto non è altro, in negativo o in positivo, che un'esegesi del pensiero filosofico cristiano. Nell'umanesimo fiorentino si concretizza e si tramanda la visione antropologica già delineata nel Medioevo con un significativo spostamento dell'attenzione sull'essere umano che, pur non essendo chiamato esplicitamente persona, mantiene tuttavia le caratteristiche di corporeità, spiritualità e razionalità già indicate e stabilisce la sua centralità, microcosmo, come essere libero e responsabile anche se sempre dipendente da Dio. Ha la capacità di foggiare sé stesso, secondo G. Pico della Mirandola (De hominis dignitate, 1486), e per la sua centralità è in grado di contemplare le cose divine, secondo M. Ficino (Theologia platonica 1469-74). Qui, invero, l'espressione usata è quella di homo e non di persona, ma l'interpretazione antropologica proposta dagli umanisti ha lo stesso contenuto di quella stabilita dai medievali.
Nel corso dell'età moderna il concetto di persona così come era stato impostato nei risultati del pensiero medievale perde le sue connotazioni, non sempre a causa di una negazione radicale di esse, ma per la sottolineatura di singoli aspetti già contenuti nel concetto stesso e tuttavia assolutizzati. Da un lato si insiste con R. Descartes sul tema della coscienza, del cogito come il rendersi conto di sé. Emergono, così, quegli aspetti sopra indicati, la coscienza e l'autocoscienza, che però si legano ancora in Descartes con una visione sostanziale dell'essere umano formato da due res, cogitans et extensa. Tutto ciò è messo fortemente in questione da J. Locke, per il quale è fondamentale il tema dell'identità personale e della coscienza: tema che caratterizza le posizioni di G.W. Leibniz (che insiste però anche sull'identità fisica e reale come una componente della persona) e, attraverso Ch. Wolff, si presenta in I. Kant. Tale impostazione è anche lo specchio, da un lato, dell'emergenza del tema gnoseologico e della centralità che esso assume trascinando con sé l'aspetto rilevante della coscienza; e dall'altro, proprio per questo, della difficoltà di dare un'interpretazione 'sostanziale' alla persona. Sembra che si riproponga il significato iniziale di maschera, e ciò è chiaro nelle interpretazioni empiristiche di Locke e D. Hume.
D'altra parte, anche se il razionalismo tende ancora a dare una connotazione 'forte' e sostanziale alla persona, privilegia comunque l'aspetto della consapevolezza e della razionalità, ponendo in tal modo sotto il profilo teoretico una questione fondamentale: persona è solo chi è consapevole, oppure chi ha la capacità in senso potenziale di esserlo? La prima posizione sembra prevalere nell'età moderna; il tema dell'autoconsapevolezza dell'essere umano in quanto razionale è presente in Kant, che porta a compimento le prospettive dell'età moderna avviando una riflessione che enuclea tutti gli attributi positivi della persona: anzitutto l'autodeterminazione dal punto di vista etico, ponendo in primo piano la questione della libertà, che sarà una costante nel pensiero filosofico e politico occidentale. La sostanzialità metafisica della persona è negata oppure posta in ombra ed emerge, piuttosto, la sua consistenza etica attraverso la quale si arriva anche a postulare l'immortalità dell'anima (come accade in Kant).
L'idealismo torna a inserire la singolarità personale in uno sfondo metafisico che è, però, l'assolutizzazione della stessa soggettività, con il rischio di assorbire la persona nella totalità (si pensi all'Io di J.G. Fichte e allo Spirito-Ragione di G.W.F. Hegel). La reazione a tale posizione si attua attraverso due filoni: quello che nega, perlomeno in linea teorica, la visione spirituale dell'essere umano e la riduce alla struttura sociale (K. Marx) o a quella biologico-psicologica (L.A. Feuerbach) che dall'Ottocento si prolunga nel Novecento; e, in opposizione a esso, un ritorno a una visione della persona che tenta di ricostituirla nella sua unità metafisica o almeno nella sua dimensione spirituale, pur non ignorando il momento della corporeità (si pensi allo spiritualismo italiano, con A. Rosmini e V. Gioberti, o a quello francese della fine del secolo, con E. Boutroux e H. Bergson).

2. La riflessione filosofica del Novecento
Il pensiero del Novecento, nella sua complessità, raccoglie i frutti del cammino già percorso articolandosi in vari orientamenti che assolutizzano alcune questioni già poste. Tre grandi correnti trattano ancora in modo esplicito della persona: la fenomenologia tedesca, il neotomismo e il personalismo, nati in ambiente francese. La comparazione fra questi indirizzi fa emergere la specificità del concetto che dovrebbe essere indicato con quel termine.
Nell'ambito fenomenologico, fu E. Husserl a introdurre il termine nella sua indagine parlandone in molti luoghi, ma esplicitamente e a lungo nel 2° volume di Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1928). La fenomenologia dell'essere umano muove dall'analisi degli atti presenti nella coscienza nella quale si riflette e si specchia tutto ciò che lo costituisce; alcuni atti, come quello percettivo, rimandano al corpo, altri, come gli impulsi, alla psiche, altri infine, come quelli volontari che sono alla base delle decisioni o gli atti intellettuali, alla dimensione dello spirito. La persona è costituita, allora, da queste tre dimensioni che la caratterizzano specificamente, e la coscienza è il luogo della consapevolezza che consente la descrizione degli atti stessi e quindi il rinvio alle diverse dimensioni.
La fenomenologia prosegue per certi versi sulla linea tracciata dall'età moderna; tuttavia accade ciò che era accaduto anche a Descartes: la coscienza rimanda ad altro, nel caso di Descartes alla sostanzialità della res cogitans, nel caso di Husserl al Leib (corpo vivente psicofisico, che costituisce la grande 'scoperta' della fenomenologia) e al Geist (spirito) che hanno una loro consistenza, ma la questione della loro sostanzialità in senso metafisico viene lasciata da parte, prevalentemente ignorata, non esplicitamente contestata. Anche nella posizione di M. Scheler, esponente della scuola fenomenologica che ha dedicato un'attenzione particolare al problema, la persona appare come concreta unità ontologica di atti diversi per essenza; essa si presenta in confronto con gli altri esseri come possedente atti liberi e volontari che chiamiamo 'spirituali' (Scheler 1916).
La fenomenologia constata, quindi, l'insufficienza delle 'riduzioni' dell'essere umano a un piano puramente biologico e psichico, proprie della corrente positivista, o a forme utilitaristiche ed economicistiche, rivendicandone la spiritualità che si manifesta in modo emblematico anche nella sfera etica e religiosa, e ciò sia in Husserl (1893-1917) sia in Scheler (1921). Il cammino speculativo della discepola più vicina a Husserl, E. Stein, riassume in modo emblematico tutte le tematiche indicate procedendo a 'ritroso'. Muovendo infatti dalle analisi antropologico-fenomenologiche di Husserl, prosegue con un suo itinerario di approfondimento in direzione fenomenologica (Stein 1917) analizzando ex novo il tema della persona e studiando la comunità come 'persona di persone', avente una sua personalità, per approdare, infine, allo studio della filosofia 'classica', greca e medievale. Il tema dell'essenza, caratteristico della scuola fenomenologica, le consente di stringere un legame non estrinseco con la tradizione filosofica del passato, tornando a conferire all'essenza stessa, oltre al suo valore gnoseologico, messo in evidenza da Husserl, anche quello metafisico, e riproponendo quindi il tema della sostanzialità della persona umana. In questo recupero del tema metafisico, che si presenta con una sua assoluta novità in quanto coniuga i risultati dell'analisi fenomenologica con le indagini agostiniane, tomiste e scotiste, come mostra la sua opera più matura Endliches und ewiges Sein (pubblicata postuma nel 1962), Stein si incontra con il neotomismo francese di J. Maritain.
L'originalità della posizione della Stein consiste nella proposta di un agostinismo rivisitato alla luce dei risultati ormai acquisiti delle analisi fenomenologiche sull'essere umano: si veda il tema della coscienza e quello della temporalità, quest'ultimo propriamente agostiniano. Pertanto, la struttura formale della persona consiste nell'unicità del suo Io cosciente che comprende la sua specificazione essenziale, attribuendo a ogni altro Io la medesima unicità e particolarità. In tal modo, l'indagine fenomenologica ha consentito un lavoro di scavo evidenziando il corpo come elemento essenziale e imprescindibile, non presupposto esistente in modo, acritico ma colto nel suo significato attraverso gli atti della coscienza, e mediante lo stesso procedimento esplora la dimensione psichico-spirituale; ha scavato poi all'interno di quest'ultima per trovare un nucleo profondo nel quale si sperimenta la presenza dell'Altro, immanente e al tempo stesso trascendente. Inoltre l'indagine sull'apertura agli altri Io consente di dischiudere il significato più proprio dell'intersoggettività, o meglio dell'interpersonalità, anch'essa acquisizione peculiare delle analisi condotte da Husserl. Secondo Stein, tutto ciò non può essere sottovalutato con un semplice ritorno al passato; le concordanze con i pensatori medievali, che hanno 'creato' il concetto di persona, devono essere sottolineate, ma nulla può essere trascurato che possa chiarire meglio l'essere umano. La complessità della sua costituzione consente anche di comprendere le diverse discipline che vengono elaborate negli ultimi due secoli: la biologia, la psicologia, la sociologia. L'essere umano è quindi oggetto delle scienze della natura, ma la sua costituzione spirituale esige la fondazione delle scienze dello spirito. L'analisi di quest'ultimo consente di approfondire il significato della dimensione religiosa, e dunque di elaborare una fenomenologia della religione, di giustificare la teologia e infine l'esperienza mistica. I risultati dell'indagine di Stein, che si pone come una sintesi completa, un grande progetto di summa contemporanea, coincidono con quelli di Maritain (1942), il quale rielabora le indagini di Tommaso d'Aquino, ma in un certo senso si ferma a esse guardando con sospetto la svolta coscienziale delle età moderna e contemporanea. Egli ritorna decisamente alla visione sostanzialistica dell'essere umano come composto di corpo e anima; la persona è un microcosmo e ha una dignità assoluta (riprendendo la concezione degli umanisti), è una totalità indipendente (riprendendo la concezione di Tommaso), è in relazione con gli altri e si apre a una vita comunitaria. Tutto ciò gli sembra già detto e sostenuto nell'età medievale, alla quale, pertanto, è necessario ritornare riproponendo lo sfondo metafisico dell'Essere.
È per questa ragione che Maritain non condivide la proposta proveniente da una corrente che ha fatto della persona il nucleo della ricerca, il personalismo. Anche in questo caso, pur essendo simili i risultati, le prospettive divergono riguardo alla mancata attenzione verso lo sfondo metafisico che caratterizza il personalismo già nel suo fondatore, E. Mounier.
Eppure, se c'è una corrente filosofica che esalta la persona, questa è proprio quella personalistica, ma la persona sembra rimanere inizio e fine di un processo che tende a rifiutare l'elaborazione razionale a favore di una visione antintellettualistica (Stefanini 1957). In ogni caso, come afferma Mounier (1935) nel suo manifesto programmatico, se la persona è un assoluto, deve distinguersi dall'Assoluto, cioè da Dio. Sono presenti nel pensiero di Mounier sia la visione spirituale della persona sia l'apertura alla trascendenza, ma questa è affermata sotto il profilo più religioso che metafisico. Il personalismo come stile filosofico si avvicina maggiormente alla fenomenologia, pur non possedendo il rigore teoretico e analitico di quest'ultima; ambedue le correnti caratterizzano con la loro impostazione la sensibilità filosofica del Novecento e quindi si discostano dal neotomismo. È Stein che attua la sua sintesi personale dimostrando la compatibilità delle diverse posizioni: il tema della persona è presente nei tre orientamenti con caratteristiche pressoché identiche (sintesi di corpo e spirito, totalità indipendente ma aperta alla trascendenza, centro di libertà e responsabilità), ma la sua giustificazione teorica e il procedimento seguito al fine di ottenerla sono, come si è rilevato, differenti.

3. Diritto e psicologia
Ci si può chiedere se il termine persona venga usato nella sfera del diritto e nella psicologia con le connotazioni sopra indicate. Si è già detto che nella cultura latina esso venne utilizzato nell'ambito giuridico, ma a questo proposito è necessario notare che la natura stessa del diritto romano, per il suo carattere 'reale', inteso come res iusta - il furtum non è l'atto del rubare, ma la cosa rubata -, impediva che emergesse il momento soggettivo; ciò persiste ancora nell'età medievale mentre si sta elaborando il concetto di persona. Solo nell'età moderna, parallelamente a quanto accade nel campo filosofico, si delinea il soggetto del diritto, per cui non si tratta più della res iusta, ma della facultas o qualitas moralis, come dice Ugo Grozio nel De iure belli et pacis (1625). Si tratta dell'insistenza sulla libertà e responsabilità personali sancite in primo luogo dalla capacità giuridica, attraverso la quale si afferma il concetto di soggetto di diritto. La relazione che lo riguarda è solo 'dominativa' e concerne le cose, mentre i rapporti fra i soggetti, secondari ma necessari, trovano un centro di unificazione, spesso del tutto artificiale, nella persona dello Stato, intesa quale persona giuridica, com'è testimoniato dal contrattualismo.
Ciò si inserisce nella distinzione elaborata nel diritto privato fra persona fisica e persona giuridica, che rimanda all'esistenza degli esseri umani al di fuori del diritto, ma tutelati dal diritto, nel primo caso, oppure li considera esistenti soltanto perché c'è il diritto, nel secondo caso. In questa corrente di pensiero, la persona è colta quindi nella sua individualità, e soltanto secondariamente come appartenente a una collettività, secondo le teorie liberali che si affermano con la Rivoluzione francese. Non bisogna ignorare l'altra visione politico-giuridica, prevalente nella cultura tedesca, secondo la quale il momento comunitario e collettivo predomina su quello individuale: in ambiti diversi e anche in prospettive filosofiche differenti questo elemento è presente in Hegel, F. Tönnies e in Stein (1922).
Nella seconda metà del Novecento, epoca da alcuni definita della 'postmodernità', si va sempre più diffondendo, sotto la spinta delle idee elaborate dalla cultura occidentale, la questione dei diritti dell'uomo. Il termine scelto è quello di uomo e non di persona (quest'ultimo rimane comunque fondamentale nel campo propriamente giuridico) e il suo contenuto riguarda una serie di diritti fra i quali quello alla vita, alla libertà e al proprio corpo, che possono essere compresi sotto il titolo 'autonomia della persona'. Si propone allora la questione sulla possibilità di essere persona senza possedere una reale autonomia; infatti, se si rivendicano i diritti umani per gli esseri incapaci, indifesi o emarginati, ciò significa che non è accettato come dato indiscusso che siano persone, e ciò coerentemente con l'idea, elaborata nell'età moderna, che la persona è tale se autonoma e consapevole di sé. Si sta diffondendo tuttavia la consapevolezza che si può essere persona potenzialmente, senza poter agire come tale. Nell'ambito della psicologia al termine persona è generalmente preferito quello più tecnico e specifico di 'personalità', come organizzazione fra i molteplici elementi che costituiscono la persona, quali il carattere, il temperamento, l'intelletto, il fisico, cioè la volontà, l'emozione, l'intelligenza, la configurazione corporea e in particolare quella neuroendocrina; tutto ciò in relazione all'adattamento totale all'ambiente, come sottolinea per es. H.J. Eysenck (1953).
Per sua natura la psicologia è una scienza che analizza la psiche, quindi, in riferimento a quanto si è detto, solo un aspetto dell'essere umano; tuttavia ha considerato tale dimensione prevalente fino al punto di assolutizzarla. D'altra parte, anche senza una teorizzazione esplicita in questa direzione, dalla sua origine alla fine del 19° secolo la psicologia ha preteso di dire l'ultima parola sulla costituzione dell'essere umano nella sua totalità, in alcuni casi tentando di sottrarre l'analisi del tema antropologico alla filosofia, in altri cercando un accordo con essa. Si tocca a questo proposito un argomento cruciale per la cultura occidentale, il rapporto, cioè, fra la filosofia e le scienze, che, nate sul terreno filosofico, sottopongono a indagine vari momenti della realtà sostituendosi con i loro metodi e procedimenti alla filosofia stessa. Mentre le scienze della natura hanno compiuto questa operazione in modo quasi indolore, per le scienze umane, proprio perché affrontano direttamente il terreno antropologico, si pongono più difficoltà o resistenze. Tutto ciò si riflette anche sul tema della persona, a causa della tendenza, legittima da parte della psicologia, a privilegiare il rapporto psicofisico e a insistere sulla componente psichica dell'essere umano.
Poiché il grande campo della psicologia si divide fra ricerche teorico-descrittive e prassi diagnostico-terapeutiche dei disturbi che possono affliggerla, l'interpretazione globale dell'essere umano non è irrilevante soprattutto ai fini terapeutici. La persona assunta nella sua complessità corporea-psichica-spirituale non sempre è alla base delle indagini e degli interventi nel settore della psicologia, in cui si manifestano anche due tendenze estreme, la riduzione dell'essere umano alla dimensione biologica, da un lato, oppure a quella sociologica, dall'altro. Un caso particolare di sintesi del momento latamente filosofico e di quello psicologico è presente nell'antropoanalisi fenomenologica o della psicopatologia fenomenologica, come dimostrano le posizioni di D. Cargnello (1977) e di B. Callieri (Callieri-Castellani 1969). Non a caso quest'ultimo preferisce sostituire il termine 'intersoggettività', mutuato dalla corrente fenomenologica, con 'interpersonalità' per sottolineare l'insufficienza della parola 'soggetto'.

4. Eccedenza di persona rispetto a individuo, soggetto, Io, Sé, esistente
Il concetto espresso dal termine persona fra quelli impiegati nel Novecento per indicare l'essere umano sembra mantenere legami più forti con la tradizione 'classica' per la completezza di aspetti che racchiude. Si è già notato che la parola può essere usata in modo 'vuoto' ma, se le si attribuisce un reale valore semantico, essa si deve distinguere da altri termini che compaiono all'interno della tematica antropologica. Muovendo da ciò che è più generale, si potrebbe proporre una schematizzazione che procede nel modo seguente: il tema antropologico, preso nella sua ampiezza, è un grande contenitore di prospettive diverse e a volte divergenti. Le risposte date nel percorso storico della cultura occidentale sono state molteplici e differenziate e spesso racchiuse sotto un unico 'titolo': individuo, persona, termini classici usati nella cultura antica e in quella medievale; soggetto, Io, Sé, esistente, prevalentemente presenti nelle età moderna e contemporanea. Ognuno di essi mette in risalto un momento peculiare dell'essere umano che è opportuno evidenziare per far emergere comparativamente il significato di persona.
Individuo, termine usato già da Aristotele, coglie l'unità e l'indipendenza che l'essere umano condivide con altre realtà; lo stesso filosofo greco deve aggiungere infatti che la razionalità è l'elemento caratterizzante dell'uomo, definendolo 'animale razionale'. Si tratta di un'interessante analisi comparativa che colloca la realtà umana all'interno del cosmo pur distinguendola; è un metodo molto efficace che la fenomenologia del Novecento segue, confrontando gli esistenti per farne emergere le caratteristiche. Soggetto è una parola che etimologicamente sembrerebbe esprimere una sorta di passività, mentre invece indica la centralità dell'essere umano come fonte di comprensione della realtà, ma anche come realtà che comprende sé stessa; tra le caratteristiche del soggetto emerge, così, proprio quella della consapevolezza di sé, la coscienza che accompagna l'essere umano nelle sue operazioni teoriche e pratiche e si manifesta in modo peculiare come autocoscienza. Questa interpretazione risulta dominante da Descartes fino alla fenomenologia, passando attraverso l'idealismo tedesco.
Io è un termine che esprime l'autoconsapevolezza dell'essere umano in modo diretto, appunto prima persona, usato in particolare da Descartes, Husserl, Fichte, con un progressivo allargamento dal piano gnoseologico a quello metafisico.
Sé è usato nel linguaggio filosofico ma in modo specifico nel linguaggio psicoanalitico, in particolare quello junghiano, ed esprime il momento più profondo e connotativo dell'essere umano.
Esistente è termine della corrente esistenzialista che si ispira all'analitica di M. Heidegger, il quale rispetto all'essere umano focalizza il momento esistenziale in modo così puntuale ed esclusivo da non poter usare alcun altro vocabolo come sinonimo. Questa scelta rende da un lato stringente e dall'altro riduttivo il suo procedimento di messa in evidenza delle caratteristiche del Dasein (essere-nel-mondo) in Sein und Zeit (1927). Heidegger muove una critica, inizialmente sotterranea poi sempre più esplicita, nei confronti di Husserl, dalla cui scuola egli proviene, in quanto ritiene che la complessa analisi fenomenologica, la quale attraverso l'epoché (la 'contemplazione disinteressata') conduce alla coscienza consentendo di ricostruire la struttura dell'essere umano come formata dal corpo vivente psicofisico e dallo spirito, sia ancora legata a una visione antropologica da superare. Nella cultura francese il tema dell'esistenza diventa l'unica chiave interpretativa dell'essere umano, com'è testimoniato da J.P. Sartre, che l'assolutizza tanto da negare qualsiasi altro piano esistenziale e quindi Dio in quanto Essere, e da G. Marcel, che considera l'esistenza umana aperta alla trascendenza, ma solo sotto il profilo della dimensione religiosa e non quello di una ricerca razionale di tipo metafisico.
Conclusivamente si deve constatare che rispetto ai momenti sopra considerati la persona li racchiude tutti non assolutizzandone uno a esclusione di altri. L'essere umano in quanto persona è individuo, è soggetto, può declinarsi in prima persona, è costituito da un sé ed è esistente, ma tutto ciò sia potenzialmente sia attualmente. Certamente, la realizzazione e quindi l'attualizzazione piena della persona si ha nel momento coscienziale, ma è persona anche chi è solo potenzialmente tale, perché possiede una corporeità psichicamente caratterizzata e lo spirito, anche se non esercita attivamente le sue potenzialità, come è implicito, benché confusamente, nell'estensione dei diritti umani a chi è menomato, incapace, emarginato, immaturo. Ciò non significa, d'altra parte, che le persone siano caratterizzate da un'assoluta uguaglianza; il termine persona si riferisce a caratteristiche strutturali comuni e prevede che si ritenga possibile metterle in evidenza o attraverso una descrizione essenziale oppure attraverso un'indagine metafisica (in ciò consiste la differenza fra fenomenologia e neotomismo): la persona è messa in crisi da chi non ritiene che tali procedimenti filosofici, o altri a essi simili, siano validi. È evidente che all'interno di questa generalità, o meglio essenzialità, sono distinguibili i singoli esseri umani con le loro connotazioni peculiari, per i quali essere persona significa sì possedere le caratteristiche indicate, ma anche essere unici e irripetibili, non in una solitudine egoistica, ma al contrario in una costante relazione interpersonale.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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