Piacere
Senso di viva soddisfazione che deriva dall’appagamento di desideri fisici o spirituali o di aspirazioni di vario genere. In senso assoluto (come trad. del gr. ἡδονή e del lat. voluptas), è contrapposto a dolore e variamente considerato nelle diverse scuole filosofiche, in rapporto all’ideale supremo della vita.
La
considerazione filosofica della natura del p. è oggetto di discussione
vivacissima già nell’età socratica, in cui costituisce il tema
fondamentale dell’antitesi fra etica cinica, che considera il p. come
il massimo nemico in quanto induce l’animo a schiavitù, e l’etica
cirenaica, per la quale il p. è il movente fondamentale dell’azione.
Tra queste due estreme valutazioni il platonismo e l’aristotelismo
assumono una posizione più o meno intermedia. Platone, rilevando che il
motivo socratico della necessaria attraenza (cioè piacevolezza) del
bene finisce per far coincidere il bene col piacevole, giunge nel Gorgia a una prima svalutazione del p. e quindi nel Fedone alla
teoria della necessaria liberazione dell’anima dalla corporeità del
piacere. Per Aristotele il p. accompagna sempre l’attività umana quando
essa realizza e mette in atto le sue potenzialità: è massimamente buono
e conveniente quando si accompagna ad attività teoretico-contemplative.
L’epicureismo collega il p. alla soddisfazione di un bisogno, ma
preferisce a questo ‘p. in movimento’ il ‘p. stabile’, concepito come
apatica assenza di dolore. Nel Medioevo, la tendenza ascetica e la
rinuncia ai beni terreni conducono a una concezione negativa del p.,
che sarà rivalutato nell’Umanesimo e nel Rinascimento con la riscoperta
dell’epicureismo (➔
1. Principio del piacere(ted. Lustprinzip) Secondo
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it