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Jean Piaget
Jean Piaget
PIAGET JEAN, n. a Neuchàtel il 9 agosto 1896, m. a Ginevra il 16 settembre 1980. A ventidue anni si laurea in Biologia presso l’Università della sua città natale con una tesi in Zoologia. Subito dopo lavora alla Sorbona con H. Lipps ed E. Bleuler e collabora con A. Binet. Agli inizi degli anni Venti i suoi interessi si rivolgono ai processi di sviluppo, nel 1921 viene invitato da Cleparède all’Istituto J.J. Rousseau di Ginevra con un incarico di insegnamento e ricerca, divenendone nel 1932 direttore. In quegli anni insegna prima Filosofia presso l’Università di Neuchàtel e quindi, nel 1929, ottiene la nomina di docente di Storia del pensiero scientifico presso l’Università di Ginevra. In quello stesso anno assume la direzione del Bureau International Office de l’Education. Nel 1936 insegna presso l’Università di Losanna e nel 1940 diviene direttore del Laboratorio di psicologia dell’Università di Ginevra. Nello stesso periodo con A. Rey e M. Lambercier dà vita alla pubblicazione degli Archives de Psychologie e assume la carica di primo Presidente della Società Svizzera di Psicologia. Con Morgenthale fonda il periodico Revue Suisse de Psychologie e nel 1955, grazie alle sovvenzioni della fondazione Rockefeller, istituisce il Centre International de Epistemologie Génétique, con sede a Ginevra. La psicologia genetica di P. ci accosta alle capacità e possibilità intellettive del bambino nei diversi stadi di sviluppo; la sua è una ricerca tesa peraltro a evidenziare le molteplici esperienze che favoriscono la crescita intellettiva dell’essere umano. Nel suo lavoro P. non intende tanto determinare il momento in cui il bambino apprende l’esistenza dei diversi rapporti di ordine logico, bensì attraverso quale processo il pensiero diviene progressivamente funzionante. L’approccio di P. ne riflette la formazione biologica, ma ciò non implica l’individuazione delle spiegazioni fisiologiche del comportamento. P. infatti traspone le caratteristiche dell’evoluzione biologica alle teorie sullo sviluppo dell’individuo. Muovendo dalla considerazione che l’adattamento di una specie è sempre in funzione non solo della sua specifica natura, ma dell’intero sistema osservato, cerca di identificare le strutture di ogni livello di età e di mostrare come esse si adattino alle esigenze ambientali e come a loro volta le modifichino. Di qui il concetto di "schema" che, nel comportamento umano, diviene il corrispettivo di struttura biologica con le precipue proprietà di cambiamento e adattamento. Lo schema è un concetto complesso poiché abbraccia tanto modelli di comportamento motorio palese quanto processi di pensiero interiorizzati. Esso dunque include sia risposte semplici al livello del riflesso, sia organizzazioni altamente elaborate come la comprensione del sistema numerico. Ma l’influenza della biologia nel suo pensiero si intreccia a un altro interesse, quello filosofico, epistemologico, e infatti P. ci parla di una "epistemologia genetica". Attraverso una disamina concreta della comprensione che il bambino ha dello spazio, del tempo, della logica e della matematica, P. descrive lo sviluppo dei presupposti secondo cui il mondo ha una sua stabilità ed è costituito da oggetti permanenti che si muovono nello spazio, modificando a volte nel tempo le loro proprietà, indipendentemente dalla percezione che ne ha il bambino. Nell’infanzia si concettualizza tale assunto epistemologico fondamentale, in virtù dell’esperienza di adattamento agli altri che il bambino compie, associata al presupposto che ogni altro essere passi attraverso lo stesso tipo di esperienza. Non a caso gli studi iniziali di P. si rivolgono all’egocentrismo, evidenziando come nelle prime fasi dello sviluppo non sia possibile per il bambino ammettere punti di vista diversi dai propri. Il pensiero "animista", che indica l’incapacità di distinguere tra cose animate e inanimate, e l"’artificialismo", che presuppone la non distinzione tra oggetti realizzati dall’uomo e dalla natura, appaiono come il frutto delle sue prime ricerche. La logica è il tema intorno al quale ruota tutto il lavoro di P., un tipo di ragionamento che non può essere considerato come scontato. Le speculazioni sul tema partono dal lavoro sperimentale svolto con Binet. Nel sottoporre bambini di otto anni a test fondati sui sillogismi, P. notò il sorgere di elevate difficoltà in compiti di natura logica in apparenza semplici. Lo sviluppo della capacità logica nell’infanzia rimase da allora la costante delle sue ricerche. Si può notare che P. si muove contemporaneamente su tre direzioni di ricerca: biologica, epistemologica e logico-matematica; tre dimensioni che mette in relazione con grande sapienza per comprendere il comportamento dell’uomo e la sua psicologia. La teoria dell’intelligenza di P. si colloca su due piani: una teoria generale dell’intelligenza, indipendente dagli stadi evolutivi, e una particolare degli stadi di sviluppo intellettivo. Nella prima egli intende individuare l’origine dell’intelligenza da forme elementari di comportamento che, dal più semplice al più complesso, è un atto di adattamento. Questo è inteso come "stato fluttuante di equilibrio" tra i due processi dinamici e complementari di assimilazione (ogni nuovo dato viene incorporato in schemi mentali preesistenti senza alcun cambiamento) e accomodamento (i nuovi dati modificano lo schema preesistente adattandolo agli aspetti inattesi che la realtà dimostra di possedere). Lo sviluppo cognitivo si presenta come un lungo processo di conquista volto al miglior equilibrio possibile tra assimilazione e accomodamento, con la conseguente generalizzazione e differenziazione delle strutture cognitive ("schemi") che devono tra loro coordinarsi. Queste da uno stato globale caratterizzato da un carente equilibrio, si sviluppano nel tempo in una forma di organizzazione dotata di mobilità, permanenza e stabilità. In rapporto alla forma di organizzazione delle strutture cognitive, nella teoria dell’intelligenza correlata agli stadi, P. distingue quattro periodi di sviluppo: intelligenza senso-motoria (dalla nascita ai due anni); intelligenza rappresentativa pre-operatoria (dai due ai sette anni); operazioni concrete (dai sette agli undici anni); operazioni formali (oltre gli undici anni). Il primo periodo è caratterizzato dalla progressiva interiorizzazione di schemi senso-motori; il secondo dal conseguimento della funzione simbolica; nel terzo le operazioni mentali si organizzano intorno a dati concreti dell’esperienza, mentre nel quarto si verifica una indipendenza dall’oggetto concreto e prende spazio la deduzione ipotetica. I vari aspetti evolutivi che la teoria di P. prospetta hanno contribuito a schiudere nuovi orizzonti nelle conoscenze psicologiche del bambino, e hanno anche permesso a pedagogisti ed educatori di approntare metodologie, curricula, e piani di lavoro adeguati agli alunni al fine di favorire uno sviluppo armonico della personalità, e l’espressione migliore delle potenzialità intellettive.
Bibliografia
Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992