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Psicofisica





PSICOFISICA (psychophysics; Psychophysik; psychophysique; psicofísica). – La psicofisica è la disciplina, sorta con E.H. Weber e G.T. Fechner nei decenni centrali dell’Ottocento, che studia le relazioni che intercorrono tra la sensazione (che appartiene alla dimensione soggettiva e psicologica) e la stimolazione che l’ha prodotta (che riguarda la dimensione fisica). Lo sviluppo di metodi di misurazione psicofisici è stato un punto di partenza importante per la nascita e l’affermazione della psicologia sperimentale. La sensazione è un’impressione soggettiva, che corrisponde a una data intensità dello stimolo. Pur essendo un fatto individuale e soggettivo, la relazione tra sensazione e stimolo (la relazione psicofisica) non è arbitraria, ma sistematica, cioè funziona nello stesso modo in tutte le persone. Non tutti i fatti fisici inducono una sensazione. Ognuno dei nostri sensi, infatti, recepisce solo un tipo specifico di evento fisico: nell’udito, ad esempio, variazioni di compressione dell’aria entro certe frequenze; nella vista, radiazioni elettromagnetiche limitate alla banda della luce. Non siamo in grado di trasformare in sensazioni altri fenomeni fisici, come gli ultrasuoni o gli infrarossi. Riusciamo, dunque, a cogliere solo una parte degli eventi fisici che ci circondano e, inoltre, abbiamo un secondo limite: siamo in grado di avere una sensazione specifica solo se lo stimolo ha una certa intensità. Uno stimolo, infatti, deve raggiungere un livello minimo affinché possiamo avvertire una sensazione. Questo livello è detto soglia assoluta. Sotto questa soglia gli stimoli (detti infraliminari) sono presenti, ma non sono avvertiti dall’individuo. Solo gli stimoli al di sopra della soglia assoluta (sovraliminari) producono in noi la sensazione corrispondente. Si distingue anche tra soglia assoluta iniziale, cioè l’intensità minima di uno stimolo per essere percepito, e soglia assoluta terminale, cioè il tetto massimo d’intensità di uno stimolo oltre il quale la sensazione cessa (ad esempio, un rumore troppo forte induce una sensazione di dolore e non più una sensazione uditiva, una luce eccessiva ci abbaglia e non ci permette di vedere). Si definisce, inoltre, una soglia differenziale, che consiste nella differenza minima tra due stimoli affinché si abbiano due sensazioni recepite come differenti. Due stimoli troppo simili per intensità, sotto la soglia differenziale, saranno infatti percepiti come la stessa sensazione.

SOMMARIO: I. I metodi psicofisici. - II. Rilevazione del segnale. - III. Le leggi psicofisiche.

I. I METODI PSICOFISICI. – I metodi di misura per rilevare le soglie assolute e differenziali tengono conto della variabilità individuale nella capacità di cogliere gli stimoli e le differenze tra essi. Per questo motivo, le soglie sono stabilite quando uno stimolo (o una differenza tra stimoli) viene rilevato almeno nel 50% dei soggetti. Ad esempio, uno stimolo molto debole può essere aumentato finché i soggetti non dicono di percepirlo, oppure uno stimolo percepibile viene indebolito finché i soggetti non lo sentono più (metodo dei limiti). Questo metodo non è esente da errori, dal momento che la direzione della serie degli stimoli (dallo stimolo debole verso quello più forte o viceversa) influisce sulla soglia assoluta dichiarata dal soggetto. Nel metodo dell’aggiustamento, invece, è il soggetto a dover regolare l’intensità dello stimolo (ad esempio con una manopola) per determinare il punto in cui ritiene di iniziare a recepirlo. E ancora, nel metodo degli stimoli costanti, si cerca di evitare l’influenza dell’ordine di presentazione degli stimoli sottoponendo il soggetto a stimoli variabili casualmente, alcuni sotto e altri sopra la soglia, chiedendo poi in quali casi ha avvertito la sensazione oppure non l’ha avvertita. Per le soglie differenziali si usano metodi simili, confrontando però coppie di stimoli. Uno stimolo di riferimento viene accostato a uno stimolo di confronto, e si chiede al soggetto se è in grado di rilevare una differenza oppure se non è in grado. In questo procedimento possono insorgere errori, come l’errore del campione, per cui lo stimolo di riferimento tende ad essere sovrastimato rispetto a quello di confronto, e l’errore di posizione, per cui la differenza di ordine o disposizione nello spazio può influire sulla stima del soggetto. Attraverso questi metodi è stato possibile delineare una mappa molto dettagliata della sensibilità umana nelle sue diverse modalità visive, uditive, olfattive ecc.

II. RILEVAZIONE DEL SEGNALE. – La psicofisica si basa sull’assunto che un soggetto sia in grado di rilevare fedelmente la presenza o l’assenza di uno stimolo. In realtà l’individuo, che è di fronte al problema di stabilire se sussiste o meno uno stimolo, deve prendere una decisione in cui si può cadere in errore. In particolare, questo processo di decisione consiste nella capacità di distinguere l’eventuale presenza dello stimolo (o segnale) rispetto al rumore di fondo. I recettori dell’occhio, ad esempio, possono attivarsi anche senza che vengano stimolati dalla luce, fatto che spiega come mai a occhi chiusi non vediamo mai un buio assoluto, ma un rumore di fondo di sensazioni visive. In una condizione in cui dobbiamo rilevare la presenza di un segnale visivo molto debole, è facile confondere questo stimolo con il rumore di fondo, o scambiare per rumore lo stimolo reale. Si hanno quattro possibilità in un compito di rilevazione del segnale: a) un soggetto può dire che c’è il segnale, e questo esiste realmente (hit); b) un soggetto può affermare che c’è il segnale, e invece è presente solo il rumore di fondo (falso allarme); c) un soggetto può sostenere che non c’è il segnale, quando questo in realtà sussiste (omissione); d) un soggetto può rispondere che non c’è il segnale, e correttamente esso non è presente (rifiuto corretto). In questa casistica i fattori in gioco sono la sensibilità dell’apparato sensoriale nel discriminare gli stimoli, e la propensione del soggetto a essere «prudente» o «incline all’azzardo». Nel primo caso, si tende a compiere più errori di omissione, ma a commettere meno falsi allarmi; nel secondo caso, al contrario, si tende a dare più falsi allarmi, ma a evitare più omissioni. Questo significa che nella ricerca psicofisica non contano solo le capacità recettive dell’organismo, ma anche i suoi atteggiamenti soggettivi durante il processo di decisione. Recentemente, per valutare la percezione di uno stimolo e la rilevazione del segnale, ci si è avvalsi di modelli probabilistici che tengono conto degli aspetti soggettivi della sensazione (signal detection theory). Secondo questa «teoria della detezione (o rilevazione) del segnale», fattori di giudizio interni e individuali, cognitivi ed emotivi, influenzano la percezione dello stimolo, così come fattori fisici esterni. La ricerca delle probabilità che le variabili fisiche e di personalità, implicate nel processo di rivelazione di un segnale, influenzino i processi decisionali diviene un modello sperimentale per dar conto della correttezza di un giudizio percettivo. I modelli di decisione costruiti in base alla signal detection theory sono, in tal senso, suscettibili di essere applicati nei numerosi contesti inerenti il problem solving (diagnosi mediche, decisioni in ambito economico ecc.).

III. LE LEGGI PSICOFISICHE. – L’origine della psicofisica va fatta risalire alle ricerche del medico tedesco H.E. Weber. Egli aveva scoperto nel 1834 una relazione tra il variare dell’intensità dello stimolo e la soglia differenziale per discriminare uno stimolo differente dal primo. Se si prende, ad esempio, un peso di 100 grammi, esso può essere discriminato da un peso di 102 grammi, risultando quindi una soglia differenziale di 2 grammi. Questa soglia, però, cambia al variare dell’intensità dello stimolo iniziale: non riusciamo, infatti, a distinguere un peso di 200 grammi da uno di 202 grammi, ma solo da uno di 204 grammi. Tale osservazione portò Weber a stabilire una relazione, chiamata legge di Weber, per cui il rapporto tra lo stimolo iniziale e la soglia differenziale necessaria per distinguere uno stimolo differente è costante. L’esempio dei pesi mostra che la costante di Weber è 0,02 (per 100 grammi la soglia differenziale è 2 grammi, per 200 è 4 grammi ecc.). Più la costante è piccola, maggiore è la sensibilità discriminativa di un apparato sensoriale. Il fisico G.T. Fechner riprese nel 1860 gli studi di Weber e cercò di capire in che modo una sensazione varia al variare dell’intensità di una stimolazione. Individuò così una legge, detta legge di Weber-Fechner, la quale asserisce che l’intensità della sensazione è proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo. Più precisamente:

S = k log R + C

dove S indica l’intensità della sensazione, R (Reiz = stimolo) l’intensità dello stimolo, k la costante di Weber e C una costante integrativa. Questa formula significa che, all’aumentare dell’intensità dello stimolo, la sensazione aumenta secondo un andamento logaritmico, cioè cresce rapidamente all’inizio per poi crescere sempre più lentamente. A valori sempre più elevati di stimolazione, la sensazione aumenta sempre di meno fino a un limite (soglia assoluta terminale). Questo fatto corrisponde al principio descritto da Weber: per stimoli bassi la soglia differenziale, per avere due sensazioni differenti, è bassa (riesco a distinguere una variazione di illuminazione passando da una stanza illuminata con una candela a una stanza illuminata da due candele); per uno stimolo alto la soglia differenziale, per poter indurre sensazioni distinguibili, è invece molto alta (in due stanze illuminate dal sole, per avere la sensazione che una è più luminosa dell’altra, ho bisogno di aggiungere una lampada di molti watt). Queste scoperte della psicofisica classica hanno avuto molte applicazioni in campo industriale e medico, e hanno suggerito un metodo di studio che fu ripreso da altri settori della psicologia sperimentale, come nell’analisi dell’intelligenza, della memoria, dell’apprendimento. In anni successivi (1957), S.S. Stevens sviluppò la cosiddetta psicofisica soggettiva a partire dall’osservazione che i metodi psicofisici tradizionali non permettono di afferrare direttamente il giudizio sensoriale di un individuo. Egli introdusse un metodo definito stima di grandezza, basato sul presupposto che i soggetti sono sempre in grado di associare una sensazione a un numero e diventare, in un certo senso, essi stessi degli strumenti di misura della sensazione in rapporto allo stimolo. Ad esempio, si fa sentire a una persona un suono, dicendo che esso ha intensità 10; in seguito, si fanno sentire suoni di differente intensità e si chiede al soggetto di associarli a un altro numero. Così, per esempio, se il soggetto ha la sensazione di un suono d’intensità doppia, indicherà il numero 20, se invece l’intensità gli appare dimezzata, il numero 5. Con questo metodo Stevens scoprì che la relazione tra il giudizio sensoriale delle persone (S) e l’intensità dello stimolo (I) è una funzione di potenza, che varia a seconda della modalità sensoriale:

S = k I n

(dove k è una costante). Ad esempio, per quanto riguarda la luminosità, la potenza n è 0,33; cosicché, in modo simile a come è descritto dalla legge di Fechner, la sensazione giudicata (S) aumenta sempre più lentamente all’aumentare dell’intensità dello stimolo luminoso (I). Per il giudizio riguardante la lunghezza di una linea, n equivale a 1, cioè l’aumento dello stimolo (la lunghezza del segmento) resta sempre linearmente proporzionale al giudizio soggettivo sulla sua lunghezza. Nel caso dello shock elettrico, invece, n è pari a 3,50, ovvero la sensazione giudicata aumenta sempre più rapidamente all’aumentare dell’intensità dello stimolo.



Bibliografia


Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano 2006

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