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Psicosomatica




L'importanza della medicina psicosomatica può essere illustrata dal fatto che il 50-80% dei pazienti che ricorrono a un medico generico soffrono di disturbi psicosomatici. Tra i pazienti ospedalizzati per disturbi di competenza internistica si può calcolare vi sia il 30-40% di malati psicosomatici. I dati sulla percentuale di affezioni psicosomatiche in altri campi della medicina presentano forti variazioni (in dermatologia sino all'80%). Tendenzialmente, la frequenza delle affezioni psicosomatiche è in continua ascesa. È questo un problema tanto più rilevante in quanto la maggior parte dei medici, data la formazione ricevuta all'università, non ha in genere la preparazione necessaria per trattare in modo efficace tali pazienti. Su circa 2.000 pazienti dei gabinetti psicanalitici e psichiatrici degli istituti di ricerca e di insegnamento della Deutsche Akademie fur Psychoanalyse si sono riscontrati circa 1.600 casi di disturbi psicosomatici di varia gravità.
Appunto lo stretto intreccio di sintomatologia somatica e sintomatologia psichica mostra chiaramente quanto sia necessaria una medicina psicosomatica come scienza medica interdisciplinare. D'altra parte, del concetto di ‛psicosomatica' si dovrebbe fare anche un uso globale, se non si vuole che si riproduca una concezione fondamentalmente dualistica.
I concetti di psicosomatica e di medicina psicosomatica presentano oggi una molteplicità di significati e caratterizzano una molteplicità di indirizzi tutt'altro che unitari, in cui a malapena si può rintracciare una certa comunanza di impostazione, di campo di ricerca e di modo di lavorare. Alla psicosomatica psicanalitica si affianca la psicofisiologia sperimentale, quale si è sviluppata sulla base delle fondamentali ricerche di Bernard (v., 1855), Pavlov (v., 1951-1952), Cannon (v., 19202 e 1932) e altri, nonché, e soprattutto, nel quadro della cosiddetta ricerca sullo stress (v. Seyle, 1950). Bisogna inoltre menzionare la ricerca epidemiologica della medicina sociale (Pflanz, 1956, 1962, 1972), che, nel senso di una Soziomatik (v. Schaefer, 1966), si sforza di indagare le condizioni sociali dell'insorgenza e del decorso della malattia.
Anche all'interno della psicosomatica psicanalitica, infine, esistono modelli diversi di spiegazione dell'evento morboso.
Se la guardiamo nella prospettiva della storia della scienza, la psicosomatica è sin dall'inizio un problema centrale della psicanalisi, dato che la psicanalisi è nata proprio dal confronto con un problema psicosomatico: quello della sintomatologia organica dell'isteria e della nevrosi d'angoscia. Sin dai suoi primi scritti sull'isteria e sulla nevrosi d'angoscia Freud (1894) elaborò le due concezioni psicosomatiche che ancor oggi definiscono nel contempo la base e il problema della ricerca psicosomatica. Freud distinse in linea di principio due diverse cause dei sintomi somatici psichicamente condizionati: da un lato il sintomo ‟come conversione nel somatico di un conflitto nevrotico"; dall'altro, il sintomo come ‟equivalente dell'attacco d'angoscia". I veri e propri sintomi somatici psichicamente condizionati erano per lui i sintomi di conversione, tenendo presente che con ‟conversione" egli designava un salto dallo psichico nel somatico (Freud, Die Abweher-Neuropsychosen, 1894). Come in tutte le psiconevrosi, secondo l'opinione di Freud, attraverso il sintomo (nel caso della conversione, il sintomo somatico) l'Io si libera da un conflitto con spinte pulsionali inconsce. Se il conflitto inconscio viene portato alla luce, si ha la guarigione. Una causa completamente diversa dell'insorgenza di sintomi somatici è ravvisata da Freud nel caso del sintomo come equivalente dell'attacco d'angoscia nella cosiddetta nevrosi d'angoscia. E dato che la sintomatologia somatica e la soggiacente angoscia del paziente non gli sembravano affrontabili per via psicanalitica, ne trasse la conclusione che in questo caso non si trattava di una rappresentazione rimossa o di un conflitto intrapsichico. Il sintomo organico era da lui inteso come una deviazione dell'eccitazione somatica, alla quale viene, per così dire, impedito l'accesso allo psichico. Secondo Freud, il problema della nevrosi d'angoscia e della nevrosi attuale non offre alla psicanalisi alcun punto d'attacco, e deve quindi essere lasciato alla ricerca medicobiologica.
Si delinea a questo proposito sin dall'inizio una spaccatura della medicina psicosomatica in due correnti, l'una orientata in senso psicanalitico e l'altra in senso organicistico. Freud assegna i sintomi somatici di conversione, e quindi le psiconevrosi, al campo di competenza della psicanalisi, e i sintomi somatici come equivalenti dell'attacco d'angoscia, quali si presentano nella nevrosi d'angoscia, a quello della medicina biologico-organica.
È dunque possibile ripartire gli ulteriori tentativi di indagare e trattare psicanaliticamente le affezioni psicosomatiche in due indirizzi principali: da un lato, si ha il tentativo di estendere il modello della conversione a quei ‛processi somatici abnormi' ai quali, secondo Freud, non poteva essere attribuito un significato psichico; dall'altra, ci si sforza di affrontare il problema della sintomatologia psicosomatica attraverso un'estensione e una differenziazione del concetto freudiano di ‛equivalente', rendendo cioè intelligibili anche quelle affezioni psicosomatiche cui non soggiace conflittualità nevrotica.
La prima descrizione sistematica della psicodinamica, e del trattamento psicanalitico, di un'affezione psicosomatica in senso stretto è dovuta a P. Federn (Über ein Beisplei von Libidoverschiebung während der Kur, 1913), con l'interpretazione dell'asma bronchiale di un paziente come effetto della fissazione della libido al tratto respiratorio.
Già nel 1917 G. Groddeck, assumendo un'erogeneità primaria di tutti gli organi, rifiutava di restringere l'ambito delle affezioni psicosomatiche al modello della conversione. Egli ravvisava nelle pulsioni dell'Es i fattori responsabili del fatto che i processi psichici, all'incirca come nel sogno, trovano un'espressione simbolica corporea (v. Groddeck, 1917). In modo analogo F. Deutsch (v., 1924 e 1953) qualificava la ‟corrente di conversione nel somatico", presente anche nei soggetti sani, come un linguaggio corporeo che serve ‟unicamente alla difesa dalla libido ingorgata relativa a frammenti di affetti che, sommandosi, sovraccaricano l'inconscio". Egli intendeva ogni sintomo somatico come espressione di questa incessante corrente di conversione, cioè espressione di conflitti nevrotici esattamente come nel caso degli altri disturbi psichici. Questo concetto di linguaggio corporeo, considerato come un processo incessantemente operante, è a parer mio il contributo fondamentale di Deutsch.
Il vero fondatore della moderna medicina psicosomatica è F. Alexander (v., 1934 e 1950; v. Alexander e altri, 1968). Mentre Deutsch ha elaborato il suo concetto di linguaggio corporeo nel solco del superamento del modello della conversione, Alexander ha battuto un'altra strada. Egli insiste sulla distinzione sistematica tra fenomeni di conversione e disturbi organici delle affezioni psicosomatiche, da lui interpretati come ‟nevrosi vegetative". La distinzione tra i due gruppi di sintomi viene definita sia in termini psicodinamici sia in termini psicologici. Alexander (v., 1950) interpreta la nevrosi vegetativa come la ‟reazione fisiologica degli organi vegetativi a stati emotivi che si ripresentano periodicamente". Il processo organico in se stesso non ha perciò ‟alcun significato psicologico e non può essere interpretato né espresso con concetti psicologici, diversamente dai sintomi isterici di conversione, che recano in se stessi un determinato contenuto rappresentativo" (1954). Secondo me, il contributo fondamentale di Alexander consiste nell'aver interpretato psicodinamicamente gli stati emotivi soggiacenti all'evento morboso organico e nell'aver quindi elaborato il concetto di una ‟logica delle emozioni" (1934 e 1935), che si è dimostrato straordinariamente fecondo per la comprensione e lo studio del linguaggio corporeo. Nel quadro di queste riflessioni, Alexander - ricorrendo spesso all'uso di una terminologia biologica - ha sottoposto la teoria classica delle nevrosi a una vasta revisione. Il suo obiettivo era quello di conseguire una sistematica ‛funzionalizzazione' psicodinamica dell'apparato teorico della teoria classica delle nevrosi.
Un importante contributo all'elaborazione di una psicosomatica psicanalitica è quello dovuto a V. von Weizsäcker (v., 1933 e 1954). Ciò che importa a Weizsäcker è ‟non concepire lo psichico come un mero fattore aggiuntivo dell'evento morboso"; si tratta invece ‟sulla base della psicanalisi, di imparare a intendere anche l'evento morboso organico come un'alterazione di senso e di connessione significativa". Scopo dei suoi sforzi, come ebbe a dichiarare in seguito, era quello di abbozzare ‟un quadro globale genetico-dinamico dell'uomo [...] nel quale fossero bensì contenuti i concetti informatori della psicanalisi, ma che andasse in misura decisiva oltre la psicologia, abbracciando la costellazione ambiente-organismo". Punto di partenza della sua elaborazione teorica è quindi la relazione tra medico e paziente, corrispondente al ‛laboratorio interpersonale' elaborato da Freud. In ciò non soltanto egli era interessato ai contenuti psichici delle comunicazioni del paziente, ma tentava ‟di creare con il malato una situazione, in cui le sue stesse funzioni organiche potessero cominciare a parlare e quindi venire ascoltate". Le comunicazioni del paziente erano intese da Weizsäcker ‟come l'espressione di una valida percezione dei propri processi vitali; esse devono essere prese sul serio e interpretate come testimonianza della propria autopercezione". Weizsäcker era così il primo a includere nelle sue argomentazioni la dinamica interumana, per quanto, in verità, limitatamente al piano teorico. Nell'insieme, gli stava a cuore una certa impostazione teorica piuttosto che la preoccupazione terapeutica: l'accento batte sulla comprensione più che sul trattamento.
Il problema del contenuto del sintomo viene sostituito dal problema del tipo e delle modalità del comportamento sintomatico e da quello del suo posto nell'insieme dei vissuti e dei comportamenti del paziente. La questione delle parti dell'Io attive nella genesi del sintomo e del comportamento sintomatico è essenziale nella ricerca degli psicologi dell'Io.
In questo senso P. F. Schilder (v., 1925) si occupa dei disturbi dell'immagine corporea inconscia. Lo schema corporeo viene studiato come formazione biologica, come formazione psicologica e come formazione sociale. Esso appare come un tutto dinamico, composto di impressioni tattili, visive, termiche e dolorose, nonché di sensazioni trasmesse dal vestibolo, dalla muscolatura e dagli organi interni. Sussistono inoltre intime relazioni con i bisogni pulsionali e con le esperienze interpersonali in campo sociale. Di conseguenza, i disturbi dell'immagine corporea si rispecchiano nei disturbi delle relazioni dell'individuo con se stesso, con gli altri e con l'ambiente in generale. In base a questa concezione, Schilder concepisce in ultima analisi le relazioni sociali come relazioni tra immagini corporee.
La connessione tra sviluppo psichico, i suoi disturbi e la vita corporea è stata studiata da M. Schur (v., 1950, 1953 e 1955). Sulla base delle ricerche di psicologi dell'Io come Hartmann, Kris e Loewenstein, Rapaport e anche A. Freud, Schur perviene alla seguente ipotesi: il comportamento desomatizzato è il risultato di un predominio del processo secondario, reso possibile dalla neutralizzazione dell'energia pulsionale. Le azioni dell'Io risultano desomatizzate quando l'Io lavora con energia pulsionale desomatizzata, ed è quindi possibile rispondere all'angoscia ed elaborarla sul piano del processo secondario. In questo caso, secondo Schur, non ci sono manifestazioni somatiche di scarica dell'eccitazione. La risomatizzazione delle modalità di reazione è concepita da Schur come indizio di una regressione dell'Io, nel cui corso, in luogo del processo secondario, emerge il processo primario e anche l'energia pulsionale neutralizzata viene sostituita da energia pulsionale non neutralizzata o regressivamente ‛deneutralizzata'. Secondo Schur, i sintorni psicosomatici insorgono allorché, data una situazione di forte aggravio dell'equilibrio psicodinamico in cui si verifichi un'improvvisa irruzione di materiale inconscio sotto forma di desideri pulsionali preedipici o edipici, si produce un'incrinatura nella formazione delle difese dell'Io. Schur sottolinea espressamente che questi processi difensivi sono da concepire come i precursori della difesa vera e propria, la quale è allora ‟non soltanto investimento, ma anche inizialmente azione e scarica".
In definitiva, anche per Schur nel sintomo psicosomatico si rivela un destino delle pulsioni; il suo approccio, improntato alla psicologia dell'Io, si limita a indagare i disturbi delle funzioni dell'Io, disturbi in seguito ai quali le spinte pulsionali infrangono la difesa dell'Io provocandone la risomatizzazione regressiva.
Alla comprensione delle reciproche connessioni tra vita corporea e vissuti dell'Io hanno dato un notevole contributo le ricerche di P. Federn (v., 1913, 1926 e 1952). Nei suoi lavori, improntati alla psicologia dell'Io, Federn si è soprattutto sforzato di raggiungere una comprensione degli ‛stati dell'Io'.
Sempre nella stessa chiave, Federn (v., 1926) ha studiato l'investimento libidico dei confini dell'Io. Egli concepisce il sintomo somatico come il risultato, sulla base di un insufficiente investimento dei confini dell'Io e quindi di un conseguente sentimento patologico dell'Io, di un'elaborazione cronicamente egodistonica del dolore psichico.
A. Mitscherlich e C. de Boor (v., 1973) concepiscono la reazione psicosomatica come una rimozione secondaria nel soma. In un primo tempo, la sintomatologia sarebbe ‟classicamente nevrotica" e ‟vagamente disfunzionale", ma senza ‟correlati organici dimostrabili". Solo la ‟seconda fase della difesa dal conflitto" conduce a una ‟risomatizzazione", associata a una ‟regressione della rappresentazione del conflitto sulla sofferenza somatica". Questa seconda fase della rimozione è denominata da Mitscherlich (v., 1954) rimozione secondaria nel soma; essa si rende necessaria quando, a causa di una minaccia interna o esterna, le ‟classiche forme nevrotiche di difesa" non sono più in grado di fronteggiare gli impulsi minacciosi provenienti dall'Es. De Boor (v., 1965) tenta di illustrare il concetto della difesa a due fasi con una delucidazione del rapporto tra difesa e conversione. Egli distingue i sintomi somatici della conversione isterica dalla sintomatologia organica facendo appello ai differenti contenuti pulsionali di cui sono espressione. Ad onta dell'ampliamento della teoria ortodossa, le riflessioni di de Boor e Mitscherlich corrispondono dunque al modello delle pulsioni e delle istanze, giacché mantengono la concezione ristretta della funzione dell'Io e interpretano la sintomatologia psicosomatica non come scissione dell'Io, bensì come rimozione a due fasi, nella quale è conservata l'integrità dell'Io e delle sue funzioni.
Per concludere questa breve rassegna, diremo che le teorie psicanalitiche oggi diffuse della medicina psicosomatica seguono modelli eclettici, basati comunque sulle impostazioni sopra delineate.
Degne di menzione sono inoltre le recenti ricerche, condotte in genere su materiali clinici, che forniscono una descrizione dei rapporti tra reazioni psicosomatiche, depressive e psicotiche.
Così W. Dorfman (v., 1974) sottolinea che la depressione è spesso associata ad affezioni psicosomatiche: essa può essere tanto il fattore scatenante di un'affezione psicosomatica quanto il suo risultato.
L. R. Loeb e collaboratori (v., 1973) riferiscono il caso di una coppia di gemelli, dei quali l'uno ha sviluppato un'affezione psichica e l'altro un'affezione somatica. La ragione di questa differenza è ravvisata nelle diverse esperienze compiute nell'interazione con l'ambiente.
H. Meng (v., 1934) sottolinea la somiglianza delle affezioni psicosomatiche con le psicosi. Egli ha formulato il concetto di ‛psicosi d'organo' per quei disturbi organici psicogeni, che risalgono a un disturbo primario dell'Io corporeo.
E. F. Kerman (v., 1946) ha descritto l'insorgere, in un soggetto sofferente di asma bronchiale, di reazioni psicotiche dopo l'eliminazione dei sintomi con mezzi farmacologici e la successiva ricomparsa dell'asma dopo un trattamento psichiatrico.
Da questa rassegna emerge come una nuova intelligenza delle affezioni psicotiche richieda: a) una comprensione globale della malattia, cioè una comprensione del malato anziché una spiegazione astratta della malattia; b) una comprensione dinamica della malattia, che, in luogo di una dinamica pulsionale intesa biologicamente, abbracci l'ambiente sociale e la dinamica di gruppo del malato; c) una comprensione strutturale della malattia, che spieghi in modo adeguato la variabilità dei sintomi; d) un metodo terapeutico, che contrapponga alla pluridimensionalità delle affezioni psicosomatiche una gamma altrettanto pluridimensionale di trattamenti.


2. La malattia psicosomatica e la struttura dell'Io

L'intento della scuola di Berlino è di porre in relazione la ricerca nosologica con l'esplorazione delle concezioni terapeutiche, sulla base di un modello integrato della personalità che consideri l'uomo come un essere determinato dalla dinamica di gruppo, dalla struttura dell'Io e dalla psicogenesi (intendendo, con quest'ultimo termine, la dimensione biografica, la peculiare conformazione della personalità). Il condizionamento dell'uomo da parte della dinamica di gruppo si riferisce al gruppo familiare, in cui l'uomo cresce e riceve una funzione nella dinamica di gruppo. Tale dinamica di gruppo viene interiorizzata nella struttura dell'Io, la quale costituisce un intreccio pluridimensionale di funzioni dell'Io, che rappresentano a loro volta il potenziale d'azione dell'Io. Le funzioni dell'Io sono un'espressione misurabile della struttura dell'Io. Lo sviluppo della personalità e dell'Io è da me inteso come un confronto incessante per l'identità nel quadro di un gruppo. In questo processo interumano, nel quale l'esperienza compiuta entro la dinamica del gruppo primario lascia la sua impronta inconscia, le singole strutture e funzioni dell'Io si differenziano in quanto fattori regolativi dinamici - e misurabili - del comportamento. Le singole funzioni dell'Io, di peso e rilievo differente, formano insieme una trama che, nella sua globalità e nella sua configurazione quale si presenta nell'hic et nunc di ciascuna personalità, costituisce l'identità dell'individuo. Deficit strutturali si manifestano anche in deficit delle funzioni dell'Io.
Vorrei ora introdurre la nozione di ‛buco nell'Io'. Nella struttura dell'Io è centrale l'identità dell'Io, che dal canto suo sta in connessione strutturale e funzionale con le altre funzioni dell'Io. Uno sviluppo deficitario della struttura dell'Io dà luogo al ‛buco nell'Io', il quale viene, per così dire, colmato da pseudoidentità della specie più diversa, come per esempio dall'identità apparente del malato psicosomatico.
È possibile classificare la molteplicità dei disturbi psicosomatici secondo l'entità del soggiacente deficit dell'Io. Dal grado di gravità del disturbo somatico si può ricavare la seguente suddivisione fenomenologica: 1) reazione psicosomatica leggera; 2) sintomo nevrotico di conversione; 3) disturbo psicosomatico funzionale; 4) affezione psicosomatica grave.
Le reazioni psicosomatiche leggere, come infezioni, infreddature passeggere ecc. - quali si presentano anche in soggetti non psicosomatici - e reazioni a sentimenti di rabbia, angoscia e lutto - quali compaiono per esempio in situazioni di separazione - non indicano necessariamente un deficit nella struttura dell'Io.
I sintomi somatici nel senso di un'autentica sintomatologia di conversione sono relativamente rari. A rigore, compaiono soltanto nella percezione sensoriale e nella motilità volontaria e rientrano nel quadro classico dell'isteria.
Il gruppo di gran lunga più vasto è quello dei malati psicosomatici che soffrono dei cosiddetti disturbi psicosomatici funzionali: questi disturbi, che non presentano alterazioni morfologicamente osservabili, sono caratterizzati da frequente variabilità ed è spesso possibile riconoscervi con chiarezza una connessione psicofisica. Rientrano in questa categoria le cosiddette distonie neurovegetative, i disturbi della circolazione, i disturbi cardiaci neurovegetativi, ecc. Disturbi psicosomatici del genere si riscontrano in quasi tutti i pazienti borderline con deficit dell'Io.
All'altro estremo dello spettro stanno le malattie psicosomatiche gravi, che presentano di norma mutamenti organici morfologicamente osservabili, come nel caso dell'ulcera gastrica, della colite ulcerosa, dell'asma bronchiale, dei calcoli biliari, dei calcoli renali, delle malattie allergiche e di varie affezioni dermatologiche.
Parlando della comprensione strutturale delle affezioni e reazioni psicosomatiche, mi limiterò nel seguito alle malattie psicosomatiche gravi. Dal modello di personalità basato sulla struttura dell'Io e sulla dinamica di gruppo derivano anzitutto i seguenti elementi essenziali.
1. L'affezione psicosomatica deriva da un deficit nella struttura dell'Io.
2. Il nocciolo dell'affezione psicosomatica è costituito da un disturbo dell'identità; in altre parole, l'identità apparente serve a difendere il malato psicosomatico contro sentimenti di vuoto profondo, di angoscia esistenziale di separazione e di abbandono, nonché contro l'aggressività distruttiva.
3. La struttura dell'Io del malato psicosomatico e i disturbi delle funzioni dell'Io sono caratterizzati dai tratti seguenti: a) aggressività carente; l'aggressività non viene cioè esternata, bensì rivolta contro la propria persona, quindi contro il proprio corpo; b) narcisismo patologico, associato a una mancanza di ‛energia sociale'; c) delimitazione dell'Io eccessivamente rigida (verso l'esterno come verso l'interno) nei confronti dei sentimenti, divenuti inconsci, di rabbia e di abbandono; d) un'affettività disturbata e un disturbo nei contatti umani, conseguenze di un deficit centrale, che si esprimono nell'insufficiente interesse per gli altri; e) forme specifiche di disturbi psicosomatici del pensiero.
4. Il deficit nella struttura dell'Io, che caratterizza il malato psicosomatico, presenta rassomiglianze con la psicosi, come può vedersi nell'esperienza clinica, nei casi - spesso descritti dalla letteratura - di scambio tra sindrome psicosomatica e psicosi.
5. Strutturalmente e psicogeneticamente l'affezione psicosomatica è in stretta relazione con la depressione. In ogni malato psicosomatico si riscontra la depressione, come in ogni depresso sono ravvisabili sintomi psicosomatici.
6. La psicogenesi delle affezioni psicosomatiche dev'essere situata nella primissima infanzia, nel primo anno di vita.
7. La genesi dei disturbi psicosomatici va ricercata nella relazione con una madre che solo in caso di malattia fisica dà al bambino tempo e cure amorevoli. Tutta la sua attenzione va al corpo malato del bambino, che è l'unico oggetto dei loro rapporti. La madre stessa abbisogna, per il proprio equilibrio psichico, della malattia del bambino: assistendo il bambino, può infatti avvertire se stessa come esistente.
8. Le affezioni psicosomatiche sono ‛dipendenti dal gruppo'. È possibile ravvisare strutture familiari tipiche associate alle affezioni psicosomatiche.
9. La conferma narcisistica, di cui il bambino ha bisoguo, si concentra sul corpo malato. Dato che le cure materne sono limitate al corpo malato, si produce un deficit narcisistico, che viene colmato dal sintomo psicosomatico. L'affezione psicosomatica è dunque contrassegnata da un narcisismo patologico, associato a una mancanza di energia sociale.
10. L'affezione psicosomatica si differenzia radicalmente dalla nevrosi, i cui sintomi di conversione - reversibili - non costituiscono sindromi psicosomatiche in senso proprio. Ciò ha conseguenze non soltanto sul piano teorico, ma anche su quello del trattamento.
11. Dal punto di vista della teoria sociale, l'affezione psicosomatica è il risultato di una società ostile all'identità.
Nella costruzione teorica della nostra scuola, alla base dell'affezione psicosomatica sta un intreccio degli aspetti psichici e degli aspetti biologici della personalità, oltre a influssi dell'ambiente sociale. Le affezioni psicosomatiche - dalla conversione nevrotica ai disturbi funzionali, alle malattie psicosomatiche gravi - sono da intendersi come il correlato di una gamma analoga di deficit dell'Io. La gravità dell'affezione organica corrisponde all'intensità del disturbo psichico, cioè al deficit nella struttura dell'lo.
Nella nostra impostazione in chiave di struttura dell'Io e di dinamica di gruppo, una specificità d'organo ha un'importanza subordinata. Al contrario, la gravità della manifestazione somatica è correlata con il tipo di deficit nella struttura dell'Io.
Nelle affezioni psicosomatiche, la scelta d'organo è spiegabile con identificazioni con membri malati del gruppo primario. Il paziente, in quanto portatore di sintomi, svolge un ruolo all'interno dell'omeostasi del gruppo familiare. All'interno della famiglia si riscontrano non solo sintomi diversi nel corso dello sviluppo della personalità, ma anche reazioni di varia natura, come sintomi psicosomatici, depressione, dipendenza da droga e ossessione. Può accadere che un membro della famiglia appaia affatto sano, mentre il membro più debole viene in certo modo spinto nella malattia e serve da portatore della malattia. Osservazioni analoghe sulla dinamica familiare sono state compiute negli studi sulla schizofrenia (v. Bateson e altri, 1956) e nella ricerca sul cancro (v. Bahnson, 1980).
La natura del sintomo psicosomatico come espressione di un disturbo dell'identità diventa chiara quando si osservi la rigida difesa del malato psicosomatico, difesa che serve a salvaguardare la sua pseudoidentità. Il sintomo psicosomatico dev'essere inteso come una sorta di ponte comunicativo; il malato psicosomatico, cioè, può stabilire contatti solo a condizione di esser malato. Con una dinamica siffatta il paziente si difende dalla solitudine, che gli riesce di norma intollerabile. In questa tensione tra vicinanza umana, sentita come una necessità vitale, e contemporanea difesa dal contatto si sviluppa l'ambivalenza profondamente radicata del malato psicosomatico, la quale, inoltre, rende spesso difficile l'instaurazione di un'alleanza terapeutica.
‛Punto archimedeo' dell'evento morboso nel paziente con reazioni psicosomatiche è il disturbo delle funzioni egoiche centrali dell'Io corporeo, l'aggressività e il narcisismo. A proposito della distruttività, essa dev'essere concepita come una ferita della personalità (sempre secondo il modello della struttura dell'Io), che si manifesta in disturbi di vasta portata nella zona centrale della personalità, specialmente nell'identità e nei processi di delimitazione sia verso l'interno che verso l'esterno.
Il disturbo della funzione egoica centrale dell'aggressività costituisce l'elemento di collegamento tra sintomatologia psicosomatica, depressione e reazione psicotica. Mentre il paziente con reazioni psicosomatiche rivolge la sua distruttività contro il proprio corpo, nel depresso la distruttività si rivolge contro la sfera psichica. Nella psicosi la distruttività dissolve i confini dell'Io, col risultato che - andato interamente perduto il senso di realtà - il paziente, per difendersi da una profonda angoscia di annientamento, cioè dalla completa dissoluzione dell'Io, ‛agisce' al di fuori, nell'ambiente, ogni sentimento di rabbia e di angoscia.
A un trattamento che si concentri sui sintomi, o a un'eliminazione dei sintomi per via farmacologica, il paziente psicosomatico può rispondere o con una reazione depressiva, se la distruttività viene rivolta contro la dimensione psichica dell'Io, o con una reazione psicotica, se la distruttività dissolve i confini dell'Io. A un siffatto quadro clinico vorrei dare il nome di ‛psicosi dell'Io corporeo nel quadro della struttura dell'Io' (Ich-strukturelle Körper-Ich-Psychose).
La formazione della struttura dell'Io nell'individuo può essere indagata mediante il test di struttura dell'Io, elaborato da me e dai miei collaboratori. Dal test si può ricavare un quadro differenziato della personalità globale del paziente (v. Ammon, 1976).
Dallo studio della funzione egoica dell'aggressività risulta che: 1) il gruppo di controllo si differenzia in misura significativa dal gruppo dei malati psicosomatici, dei depressi, dei pazienti con reazioni psicotiche e dei pazienti borderline, quanto al grado - elevato - di aggressività costruttiva; 2) il gruppo dei malati psicosomatici, dei depressi e dei pazienti con reazioni psicotiche si differenzia in misura significativa dal gruppo di controllo per valori superiori nella scala del deficit di aggressività, e dal gruppo dei pazienti borderline per valori inferiori nella scala dell'aggressività distruttiva. Questi risultati corrispondono alla teoria dell'aggressività che io vado sostenendo dal 1968.
Nell'indagine della funzione egoica di delimitazione dell'Io diviene chiaro anche il nesso di interdipendenza tra reazione psicosomatica e depressione. Dallo studio di questa funzione dell'Io risulta che: 1) il gruppo dei pazienti psicosomatici e quello dei pazienti depressi non si distinguono quanto all'entità del disturbo nella delimitazione dell'Io sia verso l'interno che verso l'esterno; 2) i pazienti psicosomatici e i pazienti depressi presentano valori significativamente più alti del gruppo di controllo nelle scale della delimitazione dell'Io compensata e della delimitazione dell'Io deficitaria.
Lo scambio tra sintomatologia psicosomatica, depressione e reazione psicotica, descritto clinicamente dagli autori sopra menzionati, trova quindi nella mia concezione una spiegazione in termini di struttura dell'Io. Desidero sottolineare che il principio in gioco nella comprensione di questi sintomi non è quello psicodinamico; è invece in gioco la concezione della struttura dell'Io come nesso di interdipendenza e come risultato delle relazioni e della dinamica di gruppo precoci, nonché della regolazione dell'Io e del progetto d'identità quali operano nella dinamica di gruppo attuale.
Deficit gravi nell'area centrale delle funzioni dell'Io costituiscono la radice comune delle malattie arcaiche dell'Io, come le affezioni psicosomatiche, la depressione e la reazione psicotica. La modalità con cui il deficit si presenta - con un'identità apparente nel malato psicosomatico, con la ‛simulazione della morte' nel depresso o con la difesa da profondissime angosce di annientamento nella reazione psicotica - è spiegabile in termini di struttura dell'Io ed è strettamente connessa con le primissime esperienze del paziente.
L'impostazione in termini di struttura dell'Io spiega come un paziente con reazioni psicosomatiche, al quale un intervento medico abbia sottratto la sua identità apparente in quanto malato psicosomatico, non possa reagire altrimenti che in chiave gravemente depressiva o psicotica. Si spiega così anche il fenomeno, frequentemente osservato, per il quale il paziente con reazioni psicotiche, per tutto il periodo in cui è affetto da una malattia somatica, è immune da reazioni psicotiche.
I deficit nell'area centrale della struttura dell'Io possono sino a un certo grado essere bilanciati da una sovracompensazione delle funzioni secondarie dell'Io, il cui compito, in generale, è quello di orientare l'uomo nella compagine sociale e in rapporto alle esigenze poste dalla realtà. Quando siano nettamente delineate ovvero sovracompensate, le funzioni secondarie dell'Io possono coprire i deficit centrali e configurare il quadro di una personalità ‛come se'. Questa dinamica è attiva in molti malati psicosomatici sino a che, come accade nelle affezioni psicosomatiche più gravi, anche le funzioni secondarie non siano adoperate per fronteggiare la malattia psicosomatica.
È tuttavia possibile, nel caso dei malati psicosomatici, ravvisare deficit specifici anche nel campo della struttura secondaria dell'Io. Bisogna a questo proposito prendere in considerazione, essenzialmente, determinate forme di disturbi del pensiero, come anche il significato, in termini di struttura dell'Io, della rimozione, degli affetti e dei meccanismi di difesa dell'Io. La conformazione di queste funzioni secondarie dell'Io è in rapporto con il deficit nella struttura centrale dell'Io, deficit di cui è in parte una conseguenza.
Mentre nella reazione psicotica l'angoscia domina la coscienza, il pensiero concretistico del malato psicosomatico ha il senso di una difesa dal sentimento e dall'angoscia e serve a evitare un confronto per l'identità. Nella sintomatologia psicosomatica si presenta di norma un iperadattamento all'ambiente esterno: nel suo più profondo significato il sintomo psicosomatico è un sintomo di sottomissione. Il paziente con reazioni psicotiche pensa in modo concretisticamente simbolico, mentre il malato psicosomatico pensa soltanto concretisticamente. Pertanto il paziente con reazioni psicotiche si distingue da quello con reazioni psicosomatiche quanto alla funzione egoica della delimitazione dell'Io. Mentre lo psicosomatico è caratterizzato da una netta delimitazione nei confronti del proprio inconscio (a questo serve appunto il suo sintomo), lo psicotico riversa le sue idee deliranti e il suo mondo rappresentativo nell'ambiente, che viene per così dire inondato di processi inconsci. Comune a entrambi è l'inibizione dell'iniziativa: manca l'iniziativa per un confronto costruttivo con l'ambiente, il che è da addebitarsi al fatto che, durante l'adolescenza, non furono mai offerte all'Io possibilità di imitazione o di identificazione.
Nell'insieme, i disturbi psicosomatici del pensiero sono caratterizzati da: 1) concretismo; 2) cancellazione della dimensione emotiva dei processi di pensiero; 3) restringimento del pensiero, nel senso di un iperadattamento all'ambiente; 4) preoccupazione per il corpo e la sua malattia; 5) assunzione delle funzioni del pensiero da parte dell'io corporeo; 6) instaurazione di relazioni oggettuali per il tramite del sintomo somatico e tendenza alla fissazione del pensiero sul sintomo; 7) liberazione, in notevole misura, dai sensi di colpa attraverso la sintomatologia somatica (diversamente da quanto accade nei pazienti con reazioni depressive); 8) incapacità di esprimere bisogni; 9) difficoltà a verbalizzare, in connessione con disturbi nella funzione egoica degli affetti.
La differenza tra disturbi del pensiero di natura psicosomatica o frutto di psicosi dell'Io corporeo da un lato e, dall'altro, disturbi del pensiero schizofrenici o psicotici in generale sta nel tipo di cattiva regolazione della delimitazione dell'Io nei confronti del sistema somatico e di quello psichico.
A differenza dei disturbi del pensiero, spesso descritti, nei soggetti con reazioni schizofreniche, i disturbi del pensiero dei malati psicosomatici sono rimasti in larga misura ignorati. Il restringimento e il carattere non integrato della personalità globale del paziente con reazioni psicosomatiche si rivelano nei sintomi tipici seguenti: dissociazione del pensiero dell'Io, incapacità di pensiero astratto, pensiero concretistico. Il pensiero simbolico del malato psicosomatico si esplica sulla superficie corporea, dove la malattia diventa simbolo. Il processo di pensiero termina con la formazione di sintomi, che funzionano nel contempo da surrogato d'identità e da portatori d'angoscia. Viene così a mancare l'angoscia come fattore di stimolo per l'ulteriore sviluppo complessivo della personalità e quindi questo sviluppo si blocca.
Vorrei qui richiamare ancora una volta l'attenzione sui disturbi linguistici del paziente con reazioni psicosomatiche, quali si manifestano tipicamente nella difficoltà a verbalizzare. Vorrei inoltre, in questo contesto, rinviare alle ricerche di Overbeck e Brähler (v., 1974), che hanno dimostrato empiricamente l'aumento dei periodi di silenzio e l'allungamento del tempo di reazione nei pazienti psicosomatici rispetto ai pazienti affetti dalle cosiddette nevrosi caratteriali.
La mia concezione dell'energia psichica è strettamente collegata al modello della struttura dell'Io. Alla concezione freudiana dell'energia psichica, interpretata in termini fisici e biologici, vorrei contrapporre il principio dell'energia sociale. L'energia sociale nasce dall'apporto narcisistico assicurato dalla madre e dal gruppo primario; ciò implica che il bambino sia preso sul serio e venga accettato in tutti i suoi bisogni e nei sentimenti che li accompagnano. Se la conferma che il bambino riceve riguarda solo certi settori parziali, e l'aggressività costruttiva viene quindi respinta in altri e diversissimi settori, egli reagisce con l'aggressività distruttiva, associata a un deficit nell'apporto narcisistico e quindi a una carenza di energia sociale. Deficit dell'aggressività e del narcisismo hanno come conseguenza che l'uomo adulto non può più adoperare costruttivamente neppure un apporto narcisistico secondario (per esempio una conferma del suo comportamento in una data situazione); anzi, la conferma narcisistica nei rapporti con gli altri è avvertita come un'offesa al proprio narcisismo patologico e dev'essere quindi ‛annullata', il che accade tipicamente in tutti i disturbi narcisistici gravi. In questo senso, la malattia psicosomatica grave dev'essere intesa anche come un suicidio strisciante.
L'affezione psicosomatica ha le sue radici in un disturbo precoce della relazione madre-bambino nel primo anno di vita e dipende dal fatto che la madre è capace di dare al figlio cure e amore soltanto se sussiste una malattia somatica. Tipica della famiglia psicosomatogena è la mancanza di rapporti, cui si accompagna una scarsa capacità di confronto. Come dinamica di gruppo scatenante, si può pensare a un matrimonio morto, trasformato in una simbiosi pietrificata. In una dinamica del genere il bambino viene sfruttato narcisisticamente, gli viene addossata ogni responsabilità, deve dare tutto e tutto sopportare. La scelta della malattia psicosomatica, in questa situazione simbiotica, appare come una via d'uscita dalla simbiosi. La malattia si presenta per così dire come una ‛terza persona', che rende possibile, dirigendo l'attenzione sul sintomo, una parziale rottura della simbiosi.
Nelle sue ricerche sulle dinamiche familiari Gisela Ammon (v., 1969, 1973 e 1979) ha potuto accertare, nel contesto di famiglie psicosomatogene, fasi preliminari di affezioni psicosomatiche in bambini dai due ai sei anni. Dalle sue ricerche risulta, tra l'altro che, se viene elaborata l'aggressività distruttiva dei genitori, gli indizi precoci di reazioni psicosomatiche nel bambino scompaiono. Mentre prima si cercava nei pazienti il ‛tornaconto della malattia', oggi siamo sempre più convinti che il ‛tornaconto della malattia' vada ricercato anche nel gruppo in cui il malato è immesso. Per l'adattamento a un gruppo morto il prezzo che il malato psicosomatico paga è il sacrificio della sua identità.
Un ripiegamento schizoide del paziente con reazioni psicosomatiche dev'essere considerato come un problema narcisistico. In tutti gli uomini l'identità dipende dalla conferma narcisistica; se questa viene negata dalla famiglia, ne consegue un divieto d'identità. Pertanto, dalla conferma narcisistica dipende non soltanto la riserva energetica dell'Io, ma anche la sua identità.


3. Il trattamento
Il profilo, in termini di struttura dell'Io, del malato psicosomatico mostra chiaramente quella che viene chiamata alexitimia e che costituisce una difficoltà per il trattamento. Manca il transfert nevrotico, il paziente non può associare liberamente nè analizzare i sogni o parlare dei suoi sentimenti: tutto ciò rende impossibile il lavoro terapeutico secondo i metodi usuali. Compare nondimeno un transfert, che vorrei chiamare ‛transfert psicosomatico'. Oltre a una certa affinità con il transfert simbiotico, il transfert psicosomatico è caratterizzato dal fatto che il paziente offre al terapeuta il suo corpo malato e bisognoso di aiuto, eludendo per questa via il rapporto diretto. Il sintomo somatico acquista così il significato di un ‛terzo oggetto', per il cui tramite il paziente cerca di stabilire un rapporto.
Nella sua vita il paziente psicosomatico non ha appreso, di norma, a confrontarsi costruttivamente con gli altri in quanto personalità fornita di una propria identità; la sua dinamica psichica, infatti, è esclusivamente quella della persona malata e bisognosa di aiuto, il che costituisce un'ulteriore difficoltà sul piano dei metodi di trattamento.
Un altro problema è rappresentato dalla facilità con cui il paziente con reazioni psicosomatiche può scivolare nella rezione psicotica, il che impone una grande cautela al terapeuta. Ogni reazione psicotica è associata a una frattura dell'Io, a un danno dell'Io, e dovrebbe perciò essere evitata. Da tutte le difficoltà sopra menzionate deriva la necessità - sul piano del trattamento - di un ‛lavoro sulla struttura dell'Io', nel quale è essenziale l'obiettivo di un recupero dello sviluppo dell'Io basato sull'alleanza terapeutica e sull'utilizzazione delle funzioni egoiche sane o solo parzialmente danneggiate. Per questa via si può colmare il deficit di apporto narcisistico e correggere le funzioni dell'Io patologicamente deformate.
Il trattamento richiede una totale dedizione da parte del terapeuta, che dev'essere disposto a sopportare ed elaborare l'aggressività distruttiva del paziente. In questo contesto può accadere che il terapeuta si addossi, per il paziente, certe funzioni dell'Io, come per esempio l'aggressività, che il paziente in un primo tempo non può vivere direttamente, aiutandolo così nella costruzione di nuove funzioni dell'Io.
Il ‛lavoro sulla struttura dell'Io' è spesso una dura lotta contro la patologia, condotta tramite l'alleanza con tutte le parti integre dell'Io. Il sintomo psicosomatico dev'essere per così dire aggirato, onde evitare una reazione psicotica e mettere il paziente in grado di portare le sue difficoltà all'interno del rapporto terapeutico.
I fattori decisivi per l'insorgenza di un'affezione psicosomatica sono spesso rappresentati da una situazione di separazione, da aumentate richieste di rendimento e da situazioni di competitività. Nell'impossibilità, dovuta a un deficit nell'aggressività, di superare tali situazioni, il paziente si rifugia nel ruolo di persona malata e bisognosa di aiuto.
Questi pazienti non sono capaci di un confronto costruttivo con gli altri e vivono ogni richiesta della realtà come un attacco alla propria persona.
L'esperienza mostra come l'elaborazione dell'aggressività distruttiva e l'insight nella sua genesi costituiscano la svolta decisiva del trattamento. Solo se si riesce a ottenere che l'aggressività distruttiva sia riconosciuta come un problema, e a rendere la sua genesi nel gruppo primario interiorizzato (e nei suoi rappresentanti attuali) accessibile al vissuto emotivo e all'insight del paziente, può essere raggiunto un livello autenticamente terapeutico - nel senso di un'elaborazione del conflitto inconscio d'identità - e può essere avviato un mutamento nella struttura dell'Io. È importante, in questo contesto, la regolazione dell'apporto narcisistico da parte del terapeuta. Il malato psicosomatico è un uomo con un grave deficit narcisistico (‛buco nell'Io'); una parte del programma terapeutico è appunto costituita dall'apporto narcisistico, che consiste nel prendere sul serio il paziente non come portatore di sintomo, ma come personalità globale con tutte le sue parti costruttive e distruttive. Analogamente, l'apporto di energia sociale deve consistere nel prendere sul serio il paziente confermandolo nelle sue parti costruttive. È anche importante conseguire una regolazione dell'equilibrio tra conferma e confronto, da cui possa scaturire un mutamento nella struttura dell'Io del paziente. In modo analogo il terapeuta si deve comportare nel trattare il transfert psicosomatico. Occorre proteggere il paziente da un transfert troppo intenso, giacché i successi dovuti al transfert sono solo momentanei e l'abbandono del trattamento comporta una ricaduta nella malattia.
Nel ‛lavoro sulla struttura dell'Io' è essenziale che anche la persona del terapeuta sia considerata sotto il profilo della struttura dell'Io: il terapeuta, per quanto possibile, dev'essere scelto tenendo conto della struttura dell'Io del paziente, cosicché il trattamento possa dispiegare la massima efficacia. A questo proposito è di particolare importanza che il terapeuta abbia la capacità di trattare le emozioni, di stabilire facilmente contatti. Un caso particolarmente favorevole sarebbe quello di un terapeuta che avesse personalmente superato una malattia psicosomatica e potesse quindi empatizzare con la sintomatologia psicosomatica del suo paziente.
Il metodo più idoneo ad affrontare il quadro clinico del malato psicosomatico è la terapia di gruppo e la terapia ambientale. Nel gruppo i ‛copazienti', nelle diverse fasi del processo psicoterapeutico, fungono l'uno nei confronti dell'altro da terapeuti ausiliari e da ‛terze persone', per il cui tramite ciascuno può avere ed esprimere sentimenti, senz'essere costretto a superare la propria angoscia di contatto.
L'importanza della terapia di gruppo si rivela in particolare nell'elaborazione dell'aggressività distruttiva. Il gruppo terapeutico può mostrarsi protettivo verso il paziente, può dargli sicurezza, così da consentirgli di filtrare la sua aggressività e di rivolgerla gradualmente contro il terapeuta o i ‛coterapeuti', contro altri membri del gruppo, contro ‛copazienti' o contro l'intera istituzione entro la quale si svolge la terapia. Nella terapia di gruppo di pazienti psicosomatici bisogna curare anzitutto la composizione del gruppo. Gruppi omogenei quanto alla sintomatologia non hanno efficacia terapeutica, nel senso di produrre un mutamento nella struttura dell'Io. In un gruppo eterogeneo, che comprenda pazienti nevrotici, pazienti con sintomi di conversione isteroidi o isterici o con nevrosi cardiaca, insieme con casi psicosomatici seri, come persone sofferenti di ulcera gastrica, di asma bronchiale o di affezioni dermatologiche gravi, può invece svilupparsi un ‛lavoro sulla struttura dell'Io'. I pazienti che reagiscono istericamente, per esempio, possono sostituirsi ai pazienti psicosomatici nell'espressione dei sentimenti, con il risultato che in entrambi i gruppi diventa possibile l'avvio di processi di mutamento nella struttura dell'Io.
Nel trattamento dei pazienti psicosomatici si possono riconoscere tre fasi, che si succedono l'una all'altra. Il ‛lavoro sulla struttura dell'Io' ha inizio con l'instaurazione dell'alleanza terapeutica mediante la comprensione empatica della personalità del paziente e delle sue difficoltà. Costituitasi un'alleanza terapeutica solida, si ricorre a una tecnica di confronto, che deve consentire la rinuncia al patologico, ‛egosintonico' sentimento dell'Io, che occupa il deficit egoico centrale del paziente e che, permettendogli una certa integrazione sul piano delle funzioni secondarie dell'Io, riveste importanza per la sua omeostasi. Lo scopo della tecnica del confronto è appunto quello di far comprendere al paziente questo comportamento patologico, dandogli in tal modo la possibilità di riconoscerlo come egodistonico e di compiere quindi i primi passi verso un mutamento nella struttura dell'Io. In questa prima fase si evidenzia in genere una relazione simbiotica con il proprio partner, relazione che il paziente ‛estorce' in quanto malato e bisognoso di aiuto, anche se può essere nel contempo in grado di provvedere alla famiglia.
La fase mediana del trattamento si riferisce all'elaborazione dell'aggressività distruttiva.
Nella fase finale si tratta di affrontare l'evento capitale per la struttura psichica del malato psicosomatico: la separazione. A questo punto tutti i sintomi rivivono uno dopo l'altro e il processo di separazione si rivela assai lungo, con la comparsa di un'intensa angoscia e di moltissime resistenze. Senza un'estesa elaborazione della separazione il paziente vive, dopo la conclusione della terapia, fortissimi attacchi di angoscia e di aggressività distruttiva che, ad onta della terapia, lo ricacciano nella sintomatologia psicosomatica e quindi di nuovo nel trattamento. La terapia del paziente psicosomatico è all'inizio una terapia della mancanza di contatti, una terapia in cui tutti gli sforzi del terapeuta per stabilire un contatto falliscono. La svolta nella terapia sopravviene quando il paziente non chiede più ‛che cos'ho?', ma ‛chi sono?', entrando quindi in un confronto per la propria identità. A questo punto egli abbandona la sua esistenza umbratile di malato psicosomatico e dà inizio a un confronto vitale con i gruppi in cui è immesso. Questo è il traguardo cui la terapia del malato psicosomatico deve mirare, se vuole ottenere un mutamento durevole. È tuttavia un traguardo che nell'usuale prassi terapeutica viene spesso ignorato: si offre invece al paziente psicosomatico un'identità apparente come malato nel quadro di una società ostile all'identità. L'allestimento di speciali reparti psicosomatici negli ospedali regionali della Repubblica Federale Tedesca e a Berlino Ovest va appunto in questa direzione. Tali reparti psicosomatici hanno un effetto nettamente antiterapeutico, in quanto lasciano i pazienti nella loro identità apparente di malati psicosomatici; potrebbero avere invece un alto valore terapeutico se utilizzassero le nozioni scientifiche esposte in questo articolo e se lavorassero con terapie di gruppo. A questo proposito è di fondamentale importanza la composizione dell'équipe terapeutica, che dovrebbe essere costituita da psichiatri, psicoterapeuti, studiosi di dinamiche di gruppo, internisti, neurologi, e altri specialisti come assistenti sociali, che curino i rapporti con la famiglia e i gruppi del paziente. Solo la cooperazione dell'intera équipe terapeutica permette di studiare il paziente in tutti i suoi nessi relazionali e di raccogliere sul suo comportamento e sulle sue abitudini di vita indicazioni che, ai fini di una comprensione dei diversi stili comunicativi, valgono spesso più di intere batterie di test psicologici.
L'esperienza mi ha costantemente insegnato che il lavoro intensivo sulla dinamica di gruppo con i membri dell'équipe terapeutica (medici, suore, infermieri, assistenti sociali), come anche con il personale amministrativo (dalle segretarie al direttore) ha un notevole rilievo ai fini terapeutici. Lavorando con pazienti psicotici e psicosomatici, infatti, è importante mettere a fuoco i propri sentimenti e problemi, che il lavoro stesso suscita, e quindi acquisire insight nel proprio comportamento (v. Ammon, Die Psychosomatik..., 1973). Un lavoro d'équipe di questo tipo ha grande importanza per il trattamento dei malati psicosomatici sia nelle cliniche sia nella prassi ambulatoriale.
I ‛gruppi Balint' (cosi chiamati dal loro fondatore, M. Balint) sono un mezzo eccellente per consentire a medici non esperti di psicanalisi o di dinamiche di gruppo l'accesso alla psicodinamica del malato psicosomatico. Nella cornice di regolari sedute, i gruppi Balint si occupano tanto dei diversi quadri clinici dei pazienti quanto dei fenomeni di transfert e controtransfert nella relazione medico-paziente e delle loro proprie dinamiche di gruppo. È evidente l'importanza che un siffatto lavoro di gruppo riveste per la ricerca e per l'insegnamento. Esso potrebbe dare un contributo essenziale all'umanizzazione della medicina e quindi all'umanizzazione della società.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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