Sirene
Nell'Odissea le Sirene vengono descritte come due fanciulle che stavano in mare, e con la dolcezza del loro canto allettavano talmente i naviganti, che per ascoltarle essi rimanevano fermi sul luogo, infino a tanto che vi morivano. Ulisse, per consiglio di Circe fecesi legare all'albero della nave e turò di cera le orecchie dei suoi compagni onde egli potè sentirne la musica e sottrarsi ali influenza di quelle affascinaci. Il numero delle Sirene fu in seguito cresciuto a tre, alle quali furono dati vari nomi da diversi scrittori. Dicevansi comunemente fighe di Tersicone o, secondo altri, di Melpomene e di Acheloo.
Altri
invece le prendono per la bellezza, per la lascivia e gli allettamenti
delle meretrici, anzi per le stesse meretrici, e si finse che cantando
addormentassero i naviganti, e che accostatesi alle navi, li
uccidessero poi, perchè così avviene ai miseri i quali vinti dalla
piacevolezza delle rapaci donne, chiudono gli occhi dell'intelletto,
così che esse poi fanno ricca preda e quasi li divorano. Perciò gli
antichi qualche volta le dipinsero in verdi prati sparse di ossa umane,
come se con ciò volessero mostrare la rovina e la morte che accompagna,
ovvero vien dietro ai lascivi piaceri, e specialmente quelli delle
meretrici; le quali in viso e nei gesti sembrano vergini, come
Partenope, e in apparenza sono ben ornate, ma impudiche come Leucosia,
e nelle parole sono dolci e lusinghiere come Ligia, cioè le tre Sirene.
E' da rotare che per essere fatale il canto delle Sirene, esse
divennero quasi Geni della morte, per cui invalse la consuetudine di
riprodurne le figure su monumenti sepolcrali. Vedi Eloquenza.
Bibliografia
Ronchetti G., Dizionario illustrato dei simboli, Hoepli, MIlano, 1928