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La funzione psichica della sofferenza
La funzione psichica della sofferenza
La psiche si difende. Essa conosce i trucchi del mestiere, esiste da migliaia di anni, li ha appresi per prove ed errori. La psiche sa quando deve attivarsi, quando è il momento di tirar fuori le sue risorse. Perché è vero che la psiche che teme l'angoscia si difende, ma è anche vero che la psiche sprofondata nella sofferenza dà fondo a tutto ciò che possiede.
La mente è plastica, nel bene e nel male. Essa mira alla migliore sopravvivenza possibile, considerato l'ambiente familiare e sociale in cui si trova. Se è quindi vero che la plasticità della psiche crea le patologie dello sviluppo, si incista di psicosi in un ambiente non protetto, è pur vero che quella stessa plasticità consente di accedere a una spinta, a un miracolo, a una risorsa di cui non supponeva essa stessa l'esistenza. Questa spinta prende di solito i contorni dell'aiuto magico, della inaspettata manna dal cielo, dell'intervento del divino sul terreno: e tutto questo sempre nel momento di massima disperazione e perdizione.
Tutto questo discorso mi serve per sottolineare il ruolo propulsivo della crisi e della sofferenza psichica. Nulla si produce nella quiete, nella perfetta e cristallizzata immobilità. Il cambiamento origina dal dislivello, dal disequilibrio, dalla caduta, dalla bassezza drammatica nella quale ci possiamo trovare. Questo in qualche modo ce lo dice anche la fisica.
Ci si rialza solo dopo essere caduti. Essere in basso aiuta a vedere le cose in modo differente, e fa convergere le energie residue. Dal fango, dall'inferno, dalla bassezza morale ci si slancia verso i cieli, il paradiso, le altezze della giustizia. Chi non conosce la paura, chi non la tocca e non la elabora trasformandola, chi non vi affonda fin quasi a esserne soverchiato e riesce a uscirne indenne, non può conoscere la sua vera forza, che è la profondità della sua debolezza.
Nessuno psicoterapeuta può guidare il paziente fuori da territori che non ha egli stesso esplorato. Lo psicoterapeuta deve aver conosciuto la sconfitta umiliante. Ma deve pure averla raffinata, mutata, distanziata e superata. Deve averla resa una ferita al contempo aperta e chiusa. Chi fugge il dolore tutta la vita perché sente di non poterlo reggere non mette in salvo né se stesso né gli altri. Le guide, nei passaggi drammatici dell'esistenza, sono i perdenti, gli sconfitti, coloro che conosco le vie segrete, coloro che hanno vissuto le condizioni più umilianti senza esserne stati assorbiti, senza esserne diventati parte. Questo è il grande mistero, la natura non comprensibile del dolore psichico: esso piega e riscatta, schiaccia e innalza, umilia o nobilita. Nessun vuole razionalmente soffrire. Ma non c'è energia trasformativa maggiore che nella malattia. Non c'è alto senza basso, purezza senza lordura. Il fiore più bello ha radici nelle tenebre, nella terra profonda abitata dai vermi.