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Sogni




Somnia, quae ludunt animos volitantibus umbris,
Non delubra deum nec ab aethere numina mittunt,
Sed sua quisque facit.

Ma perché, quando tutti i vostri sensi sono spenti nel sonno, ce n'è uno interno che resta vivo? Perché, mentre i vostri occhi non vedono più e le vostre orecchie non odono niente, tuttavia nei vostri sogni vedete e udite? Il cane, in
sogno, va a caccia: abbaia, insegue la sua preda, la divora. Il poeta crea versi dormendo, il matematico vede figure, il metafisico ragiona, bene o male: ne abbiamo esempi stupefacenti.
Sono forse i soli organi della macchina corporea che agiscono? È l'anima pura, che, sottratta all'imperio dei sensi, gode dei suoi diritti in piena libertà? Se gli organi da soli producono i sogni della notte, perché non produrranno da soli le idee del giorno? Se l'anima pura, tranquilla per il riposo dei sensi, agendo da sé, è l'unica causa, l'unico soggetto di tutte le idee che vi
vengono dormendo, perché tutte quelle idee sono quasi sempre irregolari, irrazionali, incoerenti? Come! proprio nei momenti in cui l'anima è meno turbata, c'è maggior turbamento in tutte le sue fantasie? Essa è in libertà, ed è pazza! Se
fosse nata con idee metafisiche, come han confermato tanti scrittori che sognavano ad occhi aperti, le sue idee, pure e luminose, dell'essere, dell'infinito, di tutti i primi principi, dovrebbero ridestarsi in lei con la massima energia, quando il
suo corpo giace addormentato; e mai si sarebbe tanto buoni filosofi come quando si sogna.
Qualunque sistema abbracciate, qualunque vano sforzo compiate per provare a voi stessi che la memoria sommuove il vostro cervello e che questo sommuove la vostra anima, dovete riconoscere che tutte le vostre idee vi
vengono nel sonno senza il vostro consenso, anzi vostro malgrado; la vostra volontà non vi ha nessuna parte. È dunque certo che potete pensare per sette o otto ore senza avere la minima volontà di pensare: anzi, senza nemmeno esser sicuri
di pensare. Riflettete su questo, e cercate d'indovinare quale sia la composizione dell'animale.
I sogni sono sempre stati un grande oggetto di superstizione: niente di più naturale. Un uomo, vivamente turbato per la malattia della sua amante, sogna di vederla moribonda; essa muore l'indomani: gli dei, dunque, gli han
predetto la sua morte.
Un generale d'armata sogna di vincere una battaglia, e in effetti la vince: gli dei l'hanno avvertito che avrebbe vinto.
Si tiene conto solo dei sogni che si sono avverati; gli altri li dimentichiamo. I sogni hanno una grossa parte nella storia antica, così come gli oracoli.
La Vulgata traduce così la fine del versetto 26 del capitolo XIX del Levitico: «Non darete peso ai sogni.» Ma la parola «sogno» non è nel testo ebraico: e sarebbe strano che si condannasse l'osservazione dei sogni nel medesimo libro
in cui si narra che Giuseppe diventò il benefattore dell'Egitto e della sua famiglia per avere spiegato tre sogni.
L'interpretazione dei sogni era cosa tanto comune che non ci si limitava ad essa: bisognava anche indovinare ciò che un altr'uomo aveva sognato. Nabucodonosor, avendo dimenticato un sogno che aveva fatto, ordinò ai suoi maghi d'indovinarlo, minacciandoli di morte se non ci fossero riusciti; ma l'ebreo Daniele, che era della scuola dei maghi, salvò loro la vita indovinando il sogno del re e interpretandolo. Questa storia e molte altre potrebbero servire a
provare che la legge degli ebrei non vietava l'oniromanzia, che è la scienza dei sogni.







Bibliografia


Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico

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