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Suicidio
Suicidio
Il termine suicidio (formato sull'analogia del latino homicidium e composto da sui, genitivo del pronome riflessivo, e -cidio, dal tema di caedere, "tagliare a pezzi, uccidere") indica l'atto di togliersi deliberatamente la vita. L'atto suicida e la pulsione che lo sottende possono avere origini molto diverse; entrambi comunque presuppongono sempre un grave indebolimento dell'istinto di conservazione, se non addirittura la sua inversione, eventualmente da mettersi in rapporto con determinati tratti caratterologici.
sommario: 1. Definizioni. 2. Ipotesi esplicative. 3. Aspetti epidemiologici e demografici. 4. Fattori di rischio. 5. Prevenzione. □ Bibliografia.
1. Definizioni
É. Durkheim (1897) definisce il suicidio come morte risultante, direttamente oppure indirettamente, da un atto positivo o negativo della vittima, consapevole delle conseguenze del proprio gesto; in modo più moderno ed essenziale, l'Enciclopedia britannica lo definisce un atto umano con cui un soggetto si autoinfligge intenzionalmente la cessazione della vita. Appare più difficile, invece, inquadrare concettualmente il comportamento suicidario non letale, indicato generalmente come 'tentativo di suicidio'. In teoria, quest'ultima locuzione dovrebbe essere riservata ai soggetti che sopravvivono per cause non previste e fortuite e coincidere così con il 'suicidio mancato'; in realtà, essa non viene mai usata in tal senso, ma indica tutti i tentativi che escludono un reale pericolo di morte, comportando spesso una connotazione di scarsa gravità, se non di dimostratività, e di atto da non prendere in considerazione perché privo di una vera intenzione suicidaria. Molte sono state le proposte relative a una terminologia adatta a esprimere la gradualità dell'intenzionalità suicidaria, differenziando fra tentativo di suicidio lieve, grave, suicidio preterintenzionale. E. Stengel e N.
2. Ipotesi esplicative
Nell'antichità classica, con l'eccezione di Platone e di Aristotele, era considerato razionale il suicidio del 'saggio' (gli stoici lo chiamavano 'ragionato'), quale espressione di una libera ed estrema scelta: manifestazione di tale libertà assoluta sarebbero i suicidi di Socrate, Demostene, Catone Uticense e Seneca. Con l'avvento del cristianesimo l'atto suicida iniziò a essere valutato negativamente, come un peccato da perseguire. In particolare Agostino e Tommaso d'Aquino lo condannarono fermamente perché contrario alla volontà divina e tale pensiero divenne dominante nella teologia cattolica. A distanza di qualche secolo, gli illuministi affermarono di nuovo
La tesi psichiatrica ritiene che i soggetti che si suicidano soffrano di una malattia mentale e siano portati alla decisione estrema da una modalità di pensiero e da contenuti affettivi che spiegano la loro impossibilità di continuare a vivere. Tale posizione, che prende l'avvio con gli esordi della moderna psichiatria, è in parte avvalorata dalla constatazione che la maggior parte dei soggetti suicidi soffre, oppure ha sofferto in passato, di un disturbo psichiatrico. Il suicidio tende pertanto a essere ritenuto un sintomo di un quadro più generale di compromissione del funzionamento psichico. Si deve tuttavia tenere presente che una certa percentuale di soggetti suicidi non rientra in nessuna categoria psichiatrica e che il comportamento appare trasversale all'interno dei quadri clinici e non legato alla loro gravità. Peraltro, le condizioni psicopatologiche, anche se talvolta determinanti, non possono mai cogliere l'esistenza del soggetto in toto, anche se possono rappresentare una modalità in certi casi preminente. In genere, l'approccio psicologico (Deshaies 1947) valorizza a fondo la storia personale del soggetto e le sue conflittualità, per cui il suicidio verrebbe a essere una sorta di soluzione alle difficoltà della vita individuale.
La prospettiva psicoanalitica si lega all'interpretazione freudiana della malinconia (v.; Freud 1917), per cui il suicidio viene ipotizzato come un 'omicidio mancato': l'aggressività viene orientata su di sé in quanto la presenza di un Super-Io troppo rigido e punitivo non consente di rivolgerla verso l'esterno. Tale contributo, pur restando fondamentale, è stato integrato da altre ipotesi, ove è valorizzato un narcisismo onnipotente che non tollera i limiti ed è terrorizzato dall'angoscia della perdita di Sé come negli schizofrenici iniziali. La morte viene così attuata o per affermare un'illusoria libertà assoluta, o per cancellare magicamente i conflitti, o per raggiungere un Nirvana come condizione fusionale e di pace: morte come un sonno buono e ritorno al grembo materno. Più semplicemente, talvolta, il suicidio è espressione di una fragilità della persona che non riesce a operare delle scelte o delle rinunce, né subire delle perdite: il suicidio sarebbe vissuto come controllo e superamento di un vicolo cieco. Secondo la tesi sociologica, sviluppata da Durkheim, all'origine del suicidio vi sono soltanto fatti sociali, ambientali, economici, culturali.
Esistono tre tipi di suicidio:
1) anomico, proprio delle situazioni di cambiamento dei valori e di crisi sociale con mancato adeguamento alle regole;
2) egoistico, legato alla persona e conseguente a un eccesso di individualismo e a una carenza di coesione comunitaria, per cui l'individuo prevale sull'Io sociale da cui è alienato e fa riferimento solo alle proprie risorse;
3) altruistico, ove è la socialità a predominare, e il comportamento può assumere aspetti di sacrificio a vantaggio della comunità, sicché, contrariamente all'anomico, il soggetto si sente determinato e coartato dalle attese sociali. È ormai generalmente condivisa l'opinione che il comportamento suicidario non sia mai rapportabile a una causa specifica, ma rimandi sempre a molti fattori ove gli aspetti sociali, ambientali e individuali, nella loro componente biologica e psicologica, appaiono saldamente intrecciati. Non esiste quindi un modello comune cui fare riferimento, né una specifica personalità suicidaria.
È pertanto indispensabile usare un approccio multidisciplinare, avvalendosi di un'ottica 'interattivo-integrazionista' e considerando, quindi, sia i fattori soggettivi sia quelli extrasoggettivi che si influenzano reciprocamente. Vengono così riconosciute alcune variabili che singolarmente possono anche essere ininfluenti ma che, interagendo e sommandosi ad altre, diventano determinanti.
Tale orientamento viene espresso in maniera specifica da S.J. Blumenthal (1988), il quale descrive cinque aree di vulnerabilità:
1) diagnosi psichiatrica;
2) disturbi di personalità;
3) fattori psicosociali e ambientali;
4) elementi genetici e familiari;
5) fattori bioumorali. Diventa così possibile che alcuni soggetti, in cui si riscontra il maggior numero di questi elementi, siano considerati a rischio suicidario più di altri.
3. Aspetti epidemiologici e demografici
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), circa 800.000 persone all'anno morirebbero per suicidio. I dati delle statistiche ufficiali sono tuttavia sempre in difetto. Essi rilevano comunque una grande differenza fra le nazioni: i paesi dell'
4. Fattori di rischio
Esistono, sulla base di indagini epidemiologiche e di constatazioni empiriche, fattori che, specie se raggruppati, danno luogo a un aumento del rischio suicidario in confronto alla popolazione generale. Naturalmente il primo di questi fattori è rappresentato dal parasuicidio: il comportamento suicidario non riuscito tende a essere ripetuto, e la ripetizione aumenta ulteriormente il rischio; è stato calcolato che un parasuicida su 10 morirà suicida, con una probabilità maggiormente elevata nei primi 6 mesi. La presenza di una diagnosi psichiatrica, attuale o passata, è il fattore più correlato con il rischio suicidario, secondo alcuni di 12 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Pertanto, il contributo specifico dei disturbi psichici appare senz'altro elevato. Le patologie più frequentemente associate sono i disturbi dell'umore, che rappresentano da soli il 65-90% dei suicidi con diagnosi psichiatrica. Si tratta, in particolare, di disturbi bipolari e di depressioni maggiori, soprattutto nei momenti di 'viraggio' e nelle prime fasi di malattia. Anche l'alcolismo è ben rappresentato nelle fasi avanzate. La schizofrenia è pure ritenuta un rischio grave, non tanto nelle fasi floride o sotto l'effetto di allucinazioni, quanto invece nei periodi di remissione, o nell'insorgenza della psicosi. Altre patologie sono le demenze nel periodo iniziale, le tossicomanie e i disturbi di personalità, specialmente di tipo antisociale e borderline (particolarmente a rischio di parasuicidio). A questi fattori possono aggiungersi eventi negativi, come i lutti, le separazioni, la rottura di relazioni, le perdite genitoriali, il crollo economico e sociale, la vergogna, l'umiliazione, il carcere, le vicende giudiziarie, la violenza sessuale e quella in famiglia, e le malattie fisiche specie se invalidanti (sclerosi multipla e altre malattie, sistemiche), dolorose (neoplasie) o a forte contenuto emotivo (AIDS). Altri dati relativi al rischio possono ricavarsi da fattori biologici e familiari.
La ricerca, ancora in fase iniziale, sulla correlazione fra marker biologici e comportamento suicidario ha preso in considerazione molti aspetti fra cui i livelli di cortisolo, l'immunità cellulare e, in particolare, il metabolismo della serotonina nel
5. Prevenzione
Dal momento che, come si è detto in precedenza, non appare possibile riferirsi a una causa specifica, ma piuttosto a una multifattorialità molto complessa, l'orientamento più ragionevole sulla prevenzione è quello di valorizzare e prevedere più programmi come quelli elencati di seguito:
1) ricerca e conoscenza precisa del fenomeno e delle sue caratteristiche, in rapporto alla realtà locale;
2) informazione, sensibilizzazione e preparazione degli operatori sanitari, della scuola, del sociale, con unità specialistiche sul problema del suicidio;
3) creazione di centri anticrisi e linee di ascolto con specialisti e volontari che diano una disponibilità immediata per chiunque ne senta la necessità;
4) intervento su gruppi a rischio, cioè su persone che possono essere oggetto di attenzioni mirate e programmate, come, per es., adolescenti con problemi maturativi, anziani che vivono soli, vittime di violenza e, in particolare, soggetti che hanno già in precedenza tentato il suicidio;
5) identificazione e cura dei disturbi psichici, data la consapevolezza del loro legame forte, anche se non specifico, con il comportamento suicidario;
6) promozione di tutti i programmi che possano favorire tanto la salute mentale quanto il benessere psichico. Inoltre, rimane fondamentale sviluppare un atteggiamento personale che preveda la possibilità di avere una vicinanza emotiva, di ascolto e di empatia, che sono le più specifiche attitudini per riconoscere una persona a rischio suicidario, sia che questa si trovi in una condizione psicopatologica, sia che viva più semplicemente una condizione bloccata dell'esistenza e che non veda soluzioni se non quella di togliersi la vita. Solamente considerando il suicidio dal punto di vista interno di una persona, lo si potrà comprendere, e solo così si potrà dare un senso a un comportamento che se da un lato appare come una consapevole rottura con
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it